Nell’ottobre del 2015 Ron Klain, che era stato capo di gabinetto del vicepresidente, Joe Biden, ha scritto una email a John Podesta, pietra angolare del sistema di potere della famiglia Clinton incaricato di guidare la campagna elettorale di Hillary. «Per loro sono certamente morto, ma sono felice di essere parte del team di Hillary», ha scritto Klain, accettando un incarico nella macchina elettorale che un anno più tardi si sarebbe schiantata contro Donald Trump. 

Il «loro» di cui Klain parlava nel messaggio indicava il clan di Biden, una rete storica di consiglieri che aveva lavorato a lungo per preparare la candidatura del vicepresidente dopo il secondo mandato di Barack Obama, ipotesi poi naufragata dopo una campagna interna guidata dalla gentile e inflessibile risolutezza di cui solo Obama è capace.

Tra il mondo di Biden e quello dei Clinton i rapporti non erano idilliaci (eufemismo) e Klain, che era stato un bideniano di ferro, aveva capito al volo come sarebbe finita la partita e aveva improvvisato un cambio di casacca con i tempi giusti. Stare con la fazione dei Clinton in quel frangente aveva un prezzo che Klain era disposto a pagare: essere «morto» agli occhi dei suoi vecchi sponsor.

Ma a Washington non si muore (politicamente) così in fretta, e infatti Biden ha nominato Klain come capo di gabinetto, dicendo che il suo contributo «è stato inestimabile nel corso dei molti anni in cui abbiamo lavorato insieme» e ricordando i tempi non necessariamente felici ma decisivi in cui il consigliere ha contribuito a «salvare l’economia americana e ha affrontato una spaventosa emergenza di sanità pubblica», in qualità di commissario per la gestione dell’epidemia di Ebola, nel 2014.

Ma il motivo per cui Biden lo ha scelto è la sua «profonda, varia esperienza e capacità di lavorare con persone dell’intero spettro politico», il che è «esattamente ciò che cerco in un capo di gabinetto della Casa Bianca»: sono formule ufficiali per dire che il presidente vuole accanto a sé esperti della navigazione di Washington, frequentatori di palazzi a bassa intensità ideologica, negoziatori scafati e non innovatori o puristi dell’identità della sinistra.

Sono caratteristiche che torneranno utili soprattutto considerando i ballottaggi di gennaio al Senato in Georgia, che potrebbero confermare la maggioranza repubblicana. Se questo succederà, com’è probabile, il presidente avrà bisogno accanto a sé di una figura in grado di mediare con il leader del Senato, Mitch McConnell, il quale sta strategicamente evitando abbandonare Trump nel suo delirio paranoico sulle elezioni rubate proprio perché ha ancora disperatamente bisogno dei voti della base trumpiana per mantenere il controllo del Senato. Klain corrisponde perfettamente all’identikit, e pazienza se per un periodo Biden e i suoi lo hanno messo fuori dalle liste dei consiglieri graditi. 

Morte e resurrezione

Benché nel quadretto dell’amministrazione che verrà il cattolico sia Biden, Klain è un grande esperto di morte e resurrezione. Ha passato gli anni bui di Trump praticando l'attività che questo tipo di figure politiche padroneggiano meglio nelle fasi di transizione: fare soldi. Lo ha fatto come consigliere del fondo d’investimento Revolution Llc, diretto da Steve Case, fondatore di Aol e figura chiave nel merge con Time Warner del 2003, quella che nelle business school americane viene convenzionalmente studiata come la peggiore fusione della storia.

Nel frattempo Klain ha ripreso i contatti con Biden e vecchi alleati, ha fatto ammenda per la sbandata clintoniana ed è stato reintegrato nel gruppo. Nella prima riunione nel quartier generale di Philadelphia per pianificare la campagna elettorale di Biden c’era anche Klain, assieme a Steve Ricchetti, Valerie Biden Owens, Bruce Reed, Mike Donilon e Anita Dunn: i nomi non dicono molto al grande pubblico, ma le figure le conosciamo tutti, avendone viste le parodie in House of Cards e in una lunga lista di film e serie televisive sulle macchinazioni del potere a Washington, gestite da personaggi che con disinvoltura cambiano ruoli, si adattano ai cambiamenti del clima politico e si riciclano continuamente.

Klain è stato, in ordine sparso, assistente di un giudice della Corte suprema, capo dell’ufficio legale di un deputato democratico, avvocato per uno dei più importanti studi americani, direttore dello staff del gruppo democratico al Senato, lobbista del colosso dei mutui Fannie Mae, consulente della campagne elettorale di Bill Clinton e John Kerry, capo di gabinetto del procuratore generale degli Stati Uniti e ha ricoperto la stessa carica per Al Gore quando era vicepresidente. Kevin Spacey lo ha interpretato nel film Recount, sulla vicenda del complicatissimo riconteggio dei vioti in Florida nel 2000 che ha dato infine la vittoria a George W. Bush.

Anche in quella fase è incappato in un incidente simile a quello andato in scena fra Biden e i Clinton. Pur essendo un uomo di Gore, è stato accusato dai pretoriani del vicepresidente di essere stato troppo incline a parteggiare per Clinton negli anni alla Casa Bianca, ed è stato messo poco gentilmente alla porta dal suo ex capo.

Genio multiforme

Klain è dotato di quel particolare genio multiforme che viene solitamente premiato dalle regole non scritte della gestione del potere della capitale. Risolve problemi della natura più diversa, parla con tutti, non c’è grana che non voglia accollarsi. Chi lo conosce dice che il suo vero talento è quello di vedere i problemi molto prima che atterrino sulle scrivanie dei suoi superiori.

Biden lo ha sempre voluto accanto a sé nella preparazione dei dibattiti, perché «può predire le domande che verranno fatte al candidato con un tasso di precisione del 95 per cento», come ha detto una volta Tom Donilon, ex consigliere per la sicurezza nazionale negli anni di Obama.

In tempi di pandemia, la sua nomina è stata letta come un segno che Biden, contrariamente a Trump, crede nelle competenze, e dunque si affida a chi ha già gestito un’emergenza sanitaria. Ma quando è stato nominato «zar» per il contenimento di Ebola, è stato duramente criticato proprio perché non aveva alcuna competenza o esperienze pregresse nella politica sanitaria. Era, invece, un grande esperto di crisi politiche, gestione dell’immagine, capacità negoziali e di leadership. All’università di Georgetown teneva un corso su come riabilitare l’immagine dei politici dopo una gaffe.

Nella scelta di Klain si può leggere anche un messaggio mandato da Biden all’ala sinistra del partito, la cui sensibilità non può accordarsi con il profilo di un operatore di palazzo di vecchia scuola. I dati sui flussi elettorali non si sono ancora sedimentati, ma le prime analisi dicono che i candidati più radicali non hanno avuto il successo travolgente che speravano. Un esempio: in Nebraska la candidata della sinistra-sinistra Kara Eastman è stata sconfitta da un repubblicano in un distretto dove però Biden ha vinto di sette punti percentuali. Casi come questo danno fiato alla teoria bideniana che il futuro dei democratici vada cercato al centro, e rendono credibili le voci sul fatto che Bernie Sanders ed Elizabeth Warren non avranno posti di rilievo nell’amministrazione.

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