Il titolo della pagina satirica del settimanale americano New Yorker del 15 settembre non sembrava uno scherzo: «Trump dice che la terra si rinfrescherà se tutti accendono l’aria condizionata».

Proprio come in piena pandemia il presidente americano Donald Trump aveva promosso l’assunzione di un antimalarico – la idrossiclorochina – per combattere il Covid-19, il New Yorker ipotizzava che in risposta alla crisi per il cambiamento climatico potesse illustrare una teoria «basata sulla matematica» per la quale se tutte le persone del mondo azionassero l’aria condizionata nello stesso momento la temperatura terrestre scenderebbe di miliardi di gradi.

Nella realtà ci è mancato poco che Trump dicesse una cosa simile. Discutendo con il governatore della California, Gavin Newsom, e un gruppo di altri amministratori locali a proposito degli incendi che hanno devastato almeno due milioni di ettari di terreno negli stati della costa occidentale, forzando decine di migliaia di persone ad evacuare ed uccidendone più di trenta, Trump ha detto: «Presto farà più fresco».

E a chi ha ribattuto facendo notare che la scienza non sembrava pensarla allo stesso modo, Trump ha risposto: «Non credo che la scienza lo sappia».

Pompieri impegnati in California (AP Photo/Noah Berger)

Il presidente anti scienza

«Non abbiamo mai avuto un presidente anti scienza come questo», dice lo scienziato Jonathan Overpeck, preside della School for environment and sustainability presso la University of Michigan. Nei suoi quattro anni di presidenza Trump ha smantellato e indebolito enti e politiche a difesa dell’ambiente, sostenendo che penalizzassero l’economia.

Tra queste quelle approvate durante la presidenza di Barack Obama per ridurre le emissioni di diossido di carbonio delle autovetture e migliorare la qualità delle acque di scarico delle centrali a carbone. L’Amministrazione Obama aveva richiesto alle aziende produttrici di rendere i veicoli il 4,7 per cento più efficienti ogni anno, mentre Trump è riuscito ad abbassare la soglia all’1,5 per cento, meno di quanto il settore si fosse impegnato a fare al di là di ogni imposizione da parte del governo.

Stessa cosa vale per le centrali a carbone. Nel 2015 era stata approvata una legge per la quale si chiedeva agli impianti di implementare entro il 2023 metodi innovativi per ridurre l'immissione di metalli pesanti come arsenico e mercurio nelle acque di scarico e dunque l’inquinamento di laghi e fiumi.

Trump ha posticipato la scadenza di due anni e ha esentato diversi impianti dal doversi adeguare alle norme, con la scusa del declino del settore: avrebbero comunque cessato l’attività, è il ragionamento. Altri tentativi di allentare i regolamenti a difesa dell’ambiente sono ancora in vigore e l’esito delle elezioni – oltre alla nomina del nuovo giudice della Corte suprema – sarà decisivo.

«Ci troviamo di fronte ad una scelta netta», sostiene Michael Gerrard, direttore del Sabin center for climate change della facoltà di legge di Columbia University.

«L’amministrazione Trump ha avviato alcune procedure in modo approssimativo e la giustizia ne ha rallentato la messa in pratica. Ma con quattro anni in più a disposizione avrebbe modo di correggere il tiro e realizzare i suoi piani», avverte Gerrard. La preoccupazione di Overpeck e Gerrard è condivisa da gran parte della comunità scientifica americana e sta portando il tema dell’ambiente al centro del dibattito elettorale.

Il posizionamento degli sfidanti

La posizione dei principali candidati e dei loro rispettivi partiti non è mai stata così polarizzata. La stessa agenzia per la protezione dell’ambiente, Environmental protection agency, è nata sotto la presidenza di Richard Nixon nel 1970 e nei due decenni successivi i principali regolamenti in materia ambientale, come quello per la sicurezza delle acque potabili, sono stati approvati con sostegno da parte di democratici e repubblicani.

Nel 1988 anche il petroliere George W. Bush si era dichiarato «un ambientalista». «Oggi praticamente non ci sono repubblicani che si schierano a favore di leggi a difesa dell’ambiente», nota Gerrard.

A portare la situazione a questo estremo hanno giocato un ruolo centrale i fondi che il settore del petrolio e gas naturale ha investito in politica. Secondo i dati raccolti dall’organizzazione Open Secrets alle ultime elezioni del Congresso, quelle di medio termine, le società di combustibili fossili hanno speso più di 359 milioni di dollari, contro i 26 milioni spesi da quelle di energie rinnovabili.

Per la sua attuale campagna presidenziale, Donald Trump – che aveva nominato l’ex amministratore delegato di ExxonMobil, Rex Tillerson, segretario di Stato – ha ricevuto più di un milione e mezzo di dollari.

«Il settore dei combustibili fossili si sta giocando tutto, come se fosse una sfida decisiva tra la vita e la morte», sostiene Overpeck. Da parte sua il candidato democratico, Joe Biden, ha annunciato un piano da 2mila miliardi di dollari che a sua detta porterebbe gli Stati Uniti ad eliminare del tutto le emissioni di carbonio in una quindicina d’anni.

Biden, che pure ha ricevuto dalle società petrolifere e di gas naturale più di 600mila dollari, ha dato l’annuncio a ridosso della conferma della sua nomina, espandendo un precedente piano meno ambizioso e abbracciando la presa di posizione di altri candidati democratici più sensibili alla questione, come Bernie Sanders e il governatore dello stato di Washington Jay Inslee.

«Ha messo insieme le migliori idee di tutti», sostiene Overpeck, aggiungendo che «non si era mai visto un simile piano d’attacco da parte di uno dei principali candidati alla carica di presidente». Nonostante i sondaggi mostrino che la tutela dell’ambiente non sia tra le questioni più importanti per l’elettorato americano – con in cima alla lista economia, assistenza sanitaria, nomina dei giudici alla Corte Suprema e risposta al virus – secondo gli esperti l’esito delle elezioni sarà cruciale, per l’America ma non solo. «Siamo arrivati ad un limite oltre il quale la situazione è destinata a precipitare», sostiene Overpeck.

Tre fronti

«Bisogna agire subito su tre fronti: mitigare gli effetti del cambiamento climatico, implementare politiche per adattarci alle sue conseguenze, e lottare per la giustizia ambientale». Overpeck fa infatti notare come la difesa dell’ambiente abbia anche a che fare con il razzismo e la discriminazione di comunità più povere e vulnerabili, sia a livello nazionale che mondiale. «Il fatto che Trump voglia escludere l’America da uno sforzo internazionale a difesa dell’ambiente e di una giustizia sociale è gravissimo. Solo cooperando con Europa e Cina si potranno vedere dei risultati, anche in parti del mondo storicamente più sfruttate come alcuni paesi dell’Africa», ammette Overpeck.

La rielezione di Trump segnerebbe definitivamente la fine dell’America come potenza leader nell’impegno internazionale per la riduzione del riscaldamento globale, posizione che aveva conquistato sotto la presidenza di Barack Obama. Il processo di ritiro degli Stati Uniti dagli accordi sul clima di Parigi è stato ufficialmente avviato più di un anno fa: se Trump sarà rieletto andrà a conclusione, altrimenti – ha promesso Biden in caso di vittoria – l’accordo verrà nuovamente sottoscritto dal primo giorno di presidenza. Lo stesso vale per i rapporti con la Cina.

Ancora prima di candidarsi a presidente, Trump era arrivato a dichiarare che il cambiamento climatico provocato dall’uomo fosse una «truffa dei cinesi» per mettere a repentaglio l’economia americana. Nonostante abbia rinunciato a una retorica così estrema, Trump continua a dare alla Cina la colpa di tutti i mali, impatto della pandemia incluso. Intanto il presidente cinese Xi Jinping ha da poco annunciato, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il più forte impegno mai preso dalla Cina nei confronti del cambiamento climatico: raggiungere “emissioni zero”, ovvero un equilibrio tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica, entro il 2060.

La comunità scientifica internazionale sostiene che l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto a livello globale già prima, entro il 2050, ma il fatto che la potenza economica che da sola emette più di un quarto dell’anidride carbonica a livello mondiale si assuma un impegno simile rappresenta un fondamentale passo avanti. Mentre nelle mani di Trump l’America è destinata a restare indietro. «Trump è un burattino nelle mani dell'industria dei combustibili fossili», sostiene Overpeck. «La sua rielezione avrebbe conseguenze disastrose».

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