Il premier indiano, Narendra Modi, è stato ricevuto a Washington in grande stile. Il suo omologo, Joe Biden, l’ha accolto con una cena privata mercoledì sera seguita da una sontuosa cena di stato giovedì. Non solo, Modi ha incontrato i più importanti amministratori delegati d’America – tra cui Elon Musk –  e ha tenuto un discorso in Campidoglio a camere riunite e una conferenza stampa congiunta con Biden a seguito del loro incontro nello studio ovale. 

È una svolta notevole se si pensa che solo diciott’anni fa a Modi, allora primo ministro del Gujarat, fu negato il visto d’ingresso negli Stati Uniti per accuse relative a «violazioni della libertà religiosa».

Gli accordi economici

Per sottolineare i loro legami, i due leader hanno lanciato un lungo elenco di iniziative congiunte su telecomunicazioni, semiconduttori, intelligenza artificiale e altri settori. 

Entrambi hanno anche annunciato di voler aprire ulteriori consolati nei due paesi. Modi ha anche accettato di firmare gli Accordi Artemis, una serie di principi che regolano l’esplorazione pacifica della Luna, di Marte e di altri corpi celesti. I due statisti hanno persino annunciato una missione congiunta alla stazione spaziale internazionale nel 2024. 

Tra gli accordi più importanti c’è poi quello tra General Electric e la statale Hindustan Aeronautics Limited per la produzione in India dei motori F414 utilizzati per alimentare il Boeing F/A-18E/F Super Hornet.

Tra i passaggi più importanti c’è anche la decisione da parte degli stati uniti di vendere all’india 3 miliardi di dollari di droni MQ-9B Predator da General Atomics. Gli Stati Uniti non sono sempre così disponibili alla vendita di questi droni agli altri stati ma Biden sta tentando di tutto per svezzare il paese asiatico dai fornitori di armi russi.

Associated Press/LaPresse

Il ricevimento in pompa magna

L’accoglienza riservata al primo ministro indiano è quella tipica che gli Stati Uniti riservano ai loro alleati, l’unica pecca è che l’India non è un suo alleato. La partnership che Washington sta cercando in tutti i modi di fortificare, infatti, è sicuramente indispensabile per gli Stati Uniti e sebbene porti vantaggi anche all’India – specialmente economici – ne assicura di maggiori a Washington e a Biden.

Una buona parte dell’elettorato democratico ha origine indiana e mantiene forti legami con la madrepatria, inoltre l’India ha superato recentemente la Cina come numero di popolazione e in aggiunta quest’ultima è in media più giovane rispetto a quella cinese che negli ultimi anni sta invece invecchiando.

Ciò classifica l’India come il più grande mercato attualmente disponibile. Infine la posizione geopolitica di Nuova Delhi, in lizza con la Cina per diventare leader del sud globale, la rende necessaria in funzione di contenimento dell’espansionismo cinese. Anche perché l’India è ancora formalmente una democrazia e ha alle spalle una grande storia di esperienza democratica, il che permetterebbe agli Stati Uniti – e all’Europa – di appoggiarla senza per questo doversi vergognare di fronte alla propria opinione pubblica.

AP

Il funambolo Modi

Modi sa che il suo paese è indispensabile all’Occidente e per questo può permettersi di rimanere neutrale nella partita tra Est e Ovest. Il presidente indiano ha più volte dichiarato che il suo paese continuerà a commerciare con chi vuole, seguendo solamente il suo interesse nazionale e «così come gli Stati Uniti hanno commerciato in maniera estensiva con Pechino negli anni precedenti, l’India continuerà a commerciare con la Russia».

La relazione tra Mosca e Nuova Delhi è storica. Durante gli anni della guerra fredda – mentre Washington riforniva militarmente il suo vicino nemico Pakistan –  l’India dipendeva totalmente dall’Unione sovietica per la difesa, anzi ancora adesso importa oltre il 60 per cento delle sue armi da Mosca.

Non solo mentre tutto l’Occidente escludeva la Russia dal commercio internazionale, a seguito dell’Invasione in Ucraina, l’india ha quadruplicato le sue importazioni dall’Orso – specialmente di idrocarburi vanificando in parte le sanzioni occidentali –  e si trova quindi anche nella posizione di dover riequilibrare il notevole deficit accumulato.

Modi non ha mai condannato Mosca per l’invasione di Kiev. L’intento di Biden era sicuramente convincere il premier indiano a farlo durante la visita. Anche per questo lo ha corteggiato con accordi economici – soprattutto nel settore dei semiconduttori in cui il produttore statunitense di chip Micron investirà fino a 825 miliardi di dollari– solleticando in questo modo un punto sensibile per Nuova Delhi che sta cercando di superare in tutto Pechino.

Le speranze di Biden sono però state vane come hanno dimostrato le parole di Modi durante la conferenza in Campidoglio al termine del bilaterale nello studio ovale. Il premier indiano e riuscito a non nominare mai la Russia parlando di Kiev. Per esempio ha detto «con la guerra in Ucraina il conflitto è tornato in Europa» senza aver specificato chi ha aperto le ostilità. 

Per la verità in quell’occasione Modi non ha pronunciato mai neanche la parola Cina e ha detto invece «nubi nere di coercizione e scontro si palesano nell’Indopacifico» senza minimamente nominare Pechino.

Questo non sta certamente a significare che i due paesi sono amici, anzi nel 2020 sono quasi arrivati allo scontro a Ladakh, lungo il confine himalayano in cui la Cina sta continuando a costruire grandi quantità di infrastrutture, mostrando scarso desiderio di dirimere la contesa. L’unica indicazione che le omissioni di Modi possono dare è che la voglia d’ indipendenza indiana non si sottometterà mai totalmente al volere statunitense. 

APN

Biden chiude un occhio

L’amministrazione Biden sembra aver ormai accettato il doppio gioco di Nuova Delhi e soprattutto le involuzioni nel sistema democratico provocate da Modi, il quale molto probabilmente verrà riconfermato nel 2024.  La grande democrazia indiana secolarizzata è solo un ricordo ormai e il paese assomiglia sempre più a una autocrazia di stampo induista. L’india non è più un paese sicuro per circa 200 milioni di persone che appartengono a diverse minoranze, specialmente se queste appartengono alla minoranza musulmana. Inoltre Modi sta lavorando per eliminare il dissenso come dimostra l’estromissione dal parlamento del  più noto leader dell’opposizione indiana, Raul Gandhi, condannato a due anni di reclusione in primi grado per diffamazione per aver preso in giro il cognome del premier indiano.

Durante la visita di questi giorni Biden ha evitato di far riferimento alla distinzione tra democrazia e autocrazia, tema comune nei suoi interventi di politica estera, e non ha fatto alcun riferimento alle violazioni dei diritti umani di cui il governo indiano si sta macchiando. Quando alcuni funzionari hanno assicurato che la democrazia sarebbe stato argomento di dibattito durante il bilaterale a porte chiuse hanno però più volte specificato che il presidente statunitense avrebbe posto la questione in termini «rispettosi».

Numerosi analisti si sono mostrati scettici riguardo la strategia di Biden di compiacere a ogni costo il primo ministro Modi. Meenakshi Ahamed, scrittrice indiana che si è occupata delle relazioni tra Nuova Delhi e Washington, ha detto che «se gli Stati Uniti pensano di invogliare in questo modo l’india a prendere impegni militari nell’Indo Pacifico se Taiwan dovesse diventare un terreno di scontro si sbagliano».

Il modus operandi di Biden non è però condiviso da alcuni alti funzionari americani e neanche da tutto il suo partito. Un gruppo di oltre 70 legislatori ha scritto a Biden questa settimana esortandolo a sollevare le preoccupazioni sull’erosione delle libertà religiose, di stampa e politiche durante la visita. Non solo, per lo stesso motivo i parlamentari democratici: Cori Bush del Missouri, Rashida Tlaib del Michigan, Ilhan Omar del Minnesota, Greg Casar del Texas, Jamaal Bowman e Alexandria Ocasio-Cortez di New York hanno boicottato il discorso di Modi al Congresso.

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