Il presidente Joe Biden con il suo discorso alla nazione in cui chiede al Congresso di stanziare 100 miliardi di dollari di aiuti militari destinati allo sforzo bellico di Israele e Ucraina si propone di centrare diversi obiettivi.

A partire dal più evidente: aiutare due paesi alleati attaccati «dai terroristi e da un tiranno», passando per l’uso sapiente del “bully pulpit” per ricalibrare l’agenda mediatica statunitense e far dimenticare le sue difficoltà nei sondaggi, con il messaggio della Bidenomics che fatica a far presa tra gli elettori.

C’è anche un messaggio però rivolto al suo partito: il tempo della gestione ordinata del declino americano all’interno di nuovo ordine internazionale multipolare è finito.

Faro del mondo

Torna l’America faro delle democrazie nel mondo. Un messaggio che ha una lunghissima storia nell’ambito progressista, risalente agli anni finali della Prima guerra mondiale, quando il presidente Woodrow Wilson delineò un ordine mondiale dove al centro ci sarebbe stata la libertà delle nazioni di autodeterminarsi, sotto la benevola protezione della nascente potenza globale americana.

Echeggia anche il ricordo del discorso di Franklin Delano Roosevelt sull’America quale «arsenale delle democrazie», trasmesso via radio il 29 dicembre 1940, quasi un anno prima dell’ingresso americano nel conflitto.

L’espressione viene esplicitamente citata in relazione anche alla produzione degli armamenti sul territorio nazionale per dare lavoro agli operai statunitensi, come a ricordare che è anche nell’interesse dell’America profonda contribuire “patriotticamente” allo sforzo globale delle democrazie, altro punto che nel discorso si è andato a toccare.

Infine, c’è la ricostruzione retorica di uno dei punti forti della retorica clintoniana di un blocco democratico da governare su scala globale.

La svolta

EPA

Solo che, mentre negli anni Novanta la minaccia delle autocrazie e del terrorismo sembrava residuale, oggi appare sempre più concreta. Il presidente nel tracciare una linea tra queste minacce cerca anche di trovarne punti di contatto, come la volontà di cancellare due stati democratici e l’aiuto dato dall’Iran alla Russia nel contesto della guerra in Ucraina.

In parte è anche una retorica che ricorda quella neoconservatrice dell’epoca di George W. Bush, anche se Biden ha rimarcato che nessun soldato americano verrà impegnato in uno scenario di guerra.

Questo discorso, poi, spazza via anche gli anni di Barack Obama e della retorica sul declino controllato propugnata da Ben Rhodes, viceconsigliere per la sicurezza nazionale che è stato uno dei principali artefici del discusso accordo con l’Iran siglato nel 2015 e che oggi viene di fatto sconfessato da chi era il vicepresidente di quell’amministrazione.

Viene allontanata anche la possibilità che la sinistra progressista influenzi la politica estera statunitense, dato che l’eccezionalismo che risuonava nelle parole di Biden non è molto gradito a chi invece voleva che gli Stati Uniti entrassero in una nuova era di analisi autocritica.

La restaurazione

Come notato dal direttore del magazine Compact, Sohrab Ahmari, in un commento sul declino della cosiddetta “sinistra woke”, sembra che nella politica americana le forze estremiste stiano perdendo il favore all’interno dei rispettivi contenitori partitici e che il primo biennio dell’attuale presidente abbia contribuito a restaurare una sorta di nuovo centro riformatore che possa lavorare per far progredire gli Stati Uniti in vari campi.

A una condizione: che i dem siano in grado di estirpare la sinistra radicale al loro interno. Cosa che di fatto viene fatta all’interno del discorso di Biden ma anche nei provvedimenti delle ultime settimane che sembrano aver cancellato anche le critiche a Israele che venivano fatte da Barack Obama nel corso dei suoi ultimi anni di presidenza.

Una restaurazione che portando indietro le lancette cerca di superare definitivamente una fase incerta all’interno dei democratici, dove sembrava a un certo punto che i progressisti sandersiani potessero prendere il controllo, poco prima della vittoria delle primarie presidenziali del 2020.  

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