Nel giorno nefasto dei 3.950 morti in un colpo per Covid-19, il governo brasiliano ritiene giusto commemorare l'anniversario dell'ultimo golpe militare: avvenne il 31 marzo 1964. Non dovrebbe esserci alcun legame tra le due cose, ma purtroppo c'è, e l'anomalia passa attraverso la figura sempre più tragica del presidente Jair Bolsonaro. Isolato nel suo labirinto, ma disposto a tutto per non venir travolto dalla peggior gestione sul pianeta della crisi sanitaria. E sempre tentato da qualche scorciatoia autoritaria.

Il rimpasto

Se i militari degli anni Sessanta, quelli che risolvevano i problemi con i carroarmati e torturando gli oppositori, secondo l'incredibile tweet commemorativo del vicepresidente Hamilton Mourão furono al fianco del «popolo brasiliano che non voleva finire nelle grinfie del comunismo internazionale», quelli dell'era Bolsonaro di uscire dalle caserme proprio non ne vogliono sapere, e remano contro. Un vero problema per chi sogna di reincarnare i presidenti dittatori del passato, e non può farlo per le circostanze storiche.

Gli ultimi sviluppi svelano tutto. Bolsonaro ha appena deciso un rimpasto nel suo governo, la cui scelta più significativa è stata la rimozione del ministro della Difesa, il generale Fernando Azevedo e Silva. In seguito ha licenziato i comandanti dell'esercito, della marina e dell'aeronautica, non appena ha capito che i tre se ne sarebbero andati di propria iniziativa, in polemica con il siluramento del loro ministro. Nulla del genere era mai successo in Brasile, un paese dove nella storia le commistioni tra politica e forze armate sono state assai frequenti. Il ministro licenziato ha lasciato con una breve nota, nella quale ricorda che i militari servono il loro paese (e quindi non il presidente del momento).

Il numero uno uscente dell'esercito, il generale Edson Pujol, aveva commesso sgarbi anche peggiori verso Bolsonaro, definendo quella contro il Covid-19 la più grande battaglia della nostra generazione, e mostrando dati alla mano che le misure di prevenzione da lui volute hanno tenuto assai basso il contagio tra i militari. Al contrario del Brasile nel suo complesso, che è oggi al collasso totale. Nell'epicentro del no mask, il palazzo presidenziale del Planalto (il Quirinale brasiliano), i contagiati sono stati ben 460.

E così, davanti all'evidente discordanza tra il proprio negazionismo e le prese di distanza dei militari che non vogliono lasciarsi coinvolgere nel disastro sanitario, Bolsonaro ha optato per azzerare la prima linea. Segnale di uno scontro durissimo che può apparire difficile da comprendere, giacché il leader brasiliano è un ex militare, è in politica da decenni come loro lobbista e per costruire la sua classe dirigente ha quasi soltanto scelto uomini nelle caserme. Ma guardando meglio nella storia, la differenza di vedute è più facile da comprendere.

L’incompetente lunatico

I militari brasiliani, unici nel Sudamerica, sono scivolati indenni lungo la storia del Novecento, non hanno mai pagato il conto dei loro crimini passati. La dittatura in Brasile non fu la più sanguinosa, ma è stata la più longeva della regione (1964-1986). A differenza di Argentina, Cile e Uruguay, al ritorno della democrazia la giustizia brasiliana non è riuscita ad annullare le amnistie che i militari si erano concessi, e così nessuno è mai stato giudicato per gli omicidi, le torture e le violazioni ai diritti umani. In cambio i militari, da quel momento, hanno sempre resistito a qualunque tentazione di rientrare in politica. Molti di loro considerano Bolsonaro - un ex capitano espulso per comportamento indegno - un incompetente lunatico, tanto quanto i suoi più accesi oppositori. I militari brasiliani, insomma, si limitano a godersi i parecchi privilegi a loro rimasti dagli anni Ottanta, si occupano di pochissime cose, come asfaltare le strade in Amazzonia, e ora si godono pure un governo che nega il golpe del 1964 e lo chiama piuttosto “rivoluzione” che pacificò il paese. Bolsonaro è figlio stesso di questa anomalia: se in Brasile esistesse l'apologia di fascismo e fosse un reato esaltare i torturatori, la sua carriera politica non sarebbe mai decollata.

Non allineati

Ma tornando al presente, in cosa esattamente i vertici militari silurati avrebbero resistito al loro, di fatto, comandante in capo? L'espressione più usata in queste ore è “mancanza di allineamento”, cioè di fedeltà alla linea del governo. Non molti credono davvero che Bolsonaro abbia in mente un “autogolpe”, se con questo termine si intende un presidente eletto democraticamente che poi azzera gli altri poteri, come fece Alberto Fujimori in Perù nel 1992, o la coppia Chàvez-Maduro in modo più graduale in Venezuela. Che invece l'ex capitano abbia voglia di poteri speciali nell'attuale congiuntura è praticamente certo. I numeri del Covid-19 suonano come una campana a morte sulla sua gestione, e se difficilmente Bolsonaro verrà processato per “genocidio”, la sua popolarità è in picchiata e sono diminuite le chance di una rielezione il prossimo anno.

Bolsonaro è in guerra contro tutti, solo con i tre figli e un drappello di fedelissimi, e da buon militare sudamericano non combatte contro nemici esterni - che non ci sono mai - ma contro il suo proprio popolo. I principali nemici sono oggi i governatori degli stati e i sindaci delle città, che godono di totale autonomia nel decidere le chiusure e le limitazioni agli spostamenti. E poi c'è la Corte suprema, che boccia regolarmente tutte le iniziative del presidente per centralizzare tutto.

La cifra assurda di 4.000 morti al giorno è ormai considerata inaccettabile, soprattutto se si pensa che gran parte sono vittime del collasso degli ospedali. Non si arriva nemmeno ad essere intubati oggi, in tante strutture, perché se non è finito l'ossigeno sono esauriti i farmaci necessari per farlo. Se in Italia oltre il 50 per cento dei malati Covid riesce a sopravvivere alle terapie intensive, in Brasile la percentuale è da tragedia, meno del 10 per cento. La diffusione capillare della variante P.1, quella di Manaus, ha abbassato di parecchio l'età media dei contagiati e quindi delle vittime. Nonostante tutto ciò Bolsonaro insiste osteggiando le misure che possono danneggiare l'economia, e quindi, nella sua testa, lo condannerebbero politicamente. O l'anno prossimo nelle presidenziali, o peggio ancora in anticipo con un impeachment. Ha ancora dalla sua parte un terzo dei brasiliani: tutto considerato un'enormità.

Impeachment

L'idea di non avere le forze armate perfettamente allineate in questo momento lo fa impazzire. E se volesse proclamare uno stato di eccezione, come ogni tanto accenna, per costringere i governanti locali a obbedire al potere centrale? Avrebbe bisogno, per esempio, di controllare le polizie militari dei singoli stati, che invece per legge obbediscono solo ai governatori. Al momento nulla lascia pensare che il ribaltone dei giorni scorsi gli spianerà la strada. Le biografie dei nuovi vertici militari, ascesi al comando per diritti di anzianità e consuetudine, non sono tali da far immaginare un dietrofront radicale: le forze armate continueranno a tenersi fuori dalla politica, o da eventuali avventure. E le istituzioni democratiche brasiliane intendono resistere. Il blitz sui militari ha portato alla 62esima richiesta di impeachment di Bolsonaro: tutte finora sono rimaste nei cassetti del presidente della Camera, l'unico che può far scattare la procedura. Ma la fedeltà, in politica, ha i suoi limiti. Sempre.

L'opposizione intanto si riorganizza. È inedito, ancora una volta, un manifesto in difesa della Costituzione e contro l'autoritarismo firmato da sei esponenti politici interessati a sfidare Bolsonaro il prossimo anno. Potrebbe essere l'embrione di una candidatura unica, un terzo nome tra il presidente uscente e Lula, il quale non è stato nemmeno invitato a partecipare all'iniziativa. Una sfida alla sempre probabile polarizzazione tra estrema destra e vecchia sinistra trainata dal Partito dei lavoratori. Ma se il Brasile dovesse andare avanti ancora a lungo con la strage Covid qualunque alchimia politica è destinata a restare in secondo piano.

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