Bombardieri in Alaska e droni sul Mar Baltico. Putin cerca il casus belli

Giovedì, per la terza volta in una settimana, misteriosi droni sono stati avvistati in diversi aeroporti danesi, causando chiusure, disagi e ritardi. Si tratta di azioni compiute da «professionisti», dice il governo danese. Nessuna accusa finora, ma tutti gli occhi sono puntati sulla Russia dopo che all’inizio di settembre 19 droni di Mosca sono sconfinati in territorio polacco e dopo l’incursione nello spazio aereo estone di quattro caccia russi la scorsa settimana. Giovedì, altri quattro aerei russi sono stati intercettati non molto lontano dall’Alaska. Gli Stati Uniti hanno fatto decollare un’intera pattuglia aerea per assicurarsi che rimanessero fuori dallo spazio aereo americano. E giovedì, secondo quanto riferito dal comando aereo alleato, due caccia ungheresi Gripen dell’Air policing sul Baltico sono decollati dalla base Siauliai, in Lituania, dopo che un Su-30, un Su-35 e tre MiG-31 russi si stavano avvicinando allo spazio aereo lettone. «Un patto sulle atomiche»: Putin blandisce Trump anche sulle armi nucleari Di certo, nei paesi della Nato c’è nervosismo, e in questi giorni tutti sembrano pronti a denunciare la presenza di droni russi nel loro cortile. Il comando militare americano ha assicurato che il volo intercettato in Alaska è normale amministrazione: i russi ne hanno già effettuati nove quest’anno. Poco dopo, però, arriva la notizia che il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha convocato per l’inizio della prossima settimana quella che il Washington Post ha definito «una rara e urgente riunione con centinaia di generali e ammiragli». I quali, peraltro, «non conoscono le ragioni dell’incontro». Non è chiaro se la convocazione abbia a che fare con la Russia, anche se ci sono pochi dubbi che Putin, accusato da Trump di essere una «tigre di carta», ha deciso di rispondere facendo l’orso, mostrando cioè i muscoli in un momento in cui gli avversari sono percepiti particolarmente incerti. Oltretutto, ci pensa la diplomazia russa a gettare altra benzina sul fuoco. Secondo l’ambasciatore russo in Francia, Alexey Meshkov, se la Nato dovesse abbattere un aereo russo nello spazio aereo di uno dei membri dell’alleanza «sarà guerra». Secondo il diplomatico, «molti aerei dell’Alleanza atlantica violano lo spazio aereo russo» senza conseguenze. Le parole di Meshkov non sembrano concordate con il Cremlino, la cui linea ufficiale è che nessun aereo militare russo ha mai sconfinato nello spazio aereo di altri paesi – Mosca ha invece parzialmente ammesso l’incursione dei droni in Polonia, chiarendo però che i velivoli «non avevano obiettivi nel paese». Colpire e logorare: Putin punta tutto sulla solitudine di Kiev Escalation o distrazione Nato e paesi europei, però, ribadiscono che sono pronti a sparare alla prossima incursione, o almeno lo faranno se sarà necessario. «Il presidente ha perfettamente ragione», ha detto il segretario del governo olandese Mark Rutte in un’intervista alla rete americana Fox News, facendo eco a Donald Trump, che sui social aveva chiesto alla Nato di rispondere con la forza a future violazioni. Ma Rutte ha anche lasciato intendere che sparare non è la prima opzione: «I piloti da combattimento e i militari valuteranno costantemente le minacce e se sia necessario scortare questi aerei fuori dal territorio alleato, come minimo. Ma se necessario faremo anche di più. Il massimo per proteggere il nostro popolo». La Polonia, che ha subito le incursioni più gravi, ha fatto sapere ieri che non intende cercare l’assenso degli altri paesi Nato prima di colpi, mentre la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, anche lei intervistata da una rete americana, Cnn, e anche lei navigando con attenzione tra le parole, ha detto che l’opzione di abbattimento «è sul tavolo». Insomma, per ora dal versante Nato si vede una prudente escalation fatta soprattutto di parole. Potenzialmente più significativa è la mossa della Turchia, che ha inviato in Lituania un aereo radar, in grado di aiutare le forze dell’Alleanza a individuare aerei o droni a bassa quota. La missione è iniziata il 22 settembre, in seguito alla richiesta degli alleati dopo l’incursione in Polonia e potrebbe essere legata alla visita alla Casa Bianca del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, avvenuta proprio giovedì. Si tratta della seconda volta in cui la Turchia ha partecipato ai pattugliamenti aerei Nato sul fianco orientale dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Kiev teme che il rafforzamento del fianco est contro la minaccia russa avvenga a spese degli armamenti destinati all’Ucraina. Secondo Volodymyr Zelensky le incursioni non sarebbero altro che un’arma di distrazione. Conseguenze sulle consegne di armi ancora non si sono viste, ma la tattica russa ha certamente ridotto l’attenzione su quel che accade nel paese. Le trattative “segrete” tra russi e americani. All’ombra del vertice di Alaska Elezioni e tregua Non solo. Il presidente ucraino ha detto al sito americano Axios che non intende restare presidente dopo la fine della guerra in Ucraina: «Se finiremo la guerra con la Russia sono pronto a non ricandidarmi». Negli Stati Uniti, per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Zelensky ha parlato a lungo delle elezioni e ha detto che se la Russia accetterà un cessate il fuoco, anche di tre o sei mesi, in Ucraina spingerà affinché le attuali leggi siano modificate e vengano indette elezioni, così da garantire l’elezione «di un leader con un nuovo mandato, in grado di prendere decisioni importanti necessarie per raggiungere una pace sul lungo periodo». Zelensky ha poi detto di aver discusso con Trump la possibilità di ricevere una nuova arma a lungo raggio e che il presidente americano sarebbe stato aperto all’idea. «Non colpiremo i civili – ha detto Zelensky – ma i centri di potere. I funzionari del Cremlino dovranno imparare dove sono i rifugi antiaerei». In Alaska «scene inquietanti»: il brusco risveglio dell’Ue dopo il flop di Trump