I dati ufficiali che verranno pubblicati all’inizio del 2024 faranno scattare l’allarme per l’ennesimo “pericolo” che arriva dalla Cina: le sue macchine elettriche, che non inquinano ma la cui competitività può assestare un duro colpo al settore dell’automotive in Europa.

Alla fine di quest’anno la seconda economia del pianeta batterà altri due record: nel 2023 i suoi consumatori avranno infatti acquistato - secondo le ultime stime - 8,5 milioni di veicoli ibridi ed elettrici (Ev), e i suoi produttori ne avranno consegnati all’estero oltre 5 milioni.

L’attrattiva dei suoi Ev permetterà alla Cina un ulteriore storico sorpasso, sul Giappone, come maggiore esportatore di automobili.

A rivederla oggi, l’intervista del 2011 a Bloomberg nella quale Elon Musk a una domanda sulla concorrenza cinese rispondeva: «Ha visto le loro macchine? Non credo che facciano un buon prodotto, non sono particolarmente attraenti, la tecnologia non è avanzata», fa sorridere.

Dal 2022, il primo produttore globale di Ev non è più la sua Tesla, ma la Byd (Build Your Dreams) di Wang Chuanfu.

Per frenare l’avanzata degli Ev cinesi il 4 ottobre scorso la Commissione ha avviato d’ufficio un’inchiesta anti-dumping che, nei prossimi mesi, potrebbe portare all’aumento dei dazi sulle importazioni nell’Ue di veicoli elettrici “made in China”, attualmente del 10 per cento.

Secondo i regolamenti comunitari sono “illegittimi” quei sussidi che «possono distorcere il mercato dell’Ue, creare concorrenza sleale e quindi danneggiare l’industria europea».

Per Bruxelles il prezzo degli Ev cinesi venduti nell’Ue - mediamente inferiore del 20 per cento rispetto alla concorrenza - è dovuto in gran parte ai sussidi. Il ministero del commercio di Pechino ha definito la mossa di Bruxelles un «tipico atto di protezionismo» e ha avvertito che l’indagine rischia di «danneggiare le relazioni economiche e commerciali Cina-Unione Europea».

Non solo sussidi

Si narra che all’origine della decisione strategica di scommettere sugli Ev ci sia una “Roadster”, il primo modello di Tesla che l’allora ministro della scienza e tecnologia, Wan Gang, provò nel 2008, appena uscita, rimanendone affascinato.

Tra il 2009 e il 2022 il governo sussidiò lo sviluppo del settore degli Ev con 29 miliardi di dollari, destinati a tutte le case automobilistiche, comprese quelle europee e statunitensi che producono in Cina.

A sostenere ricerca e sviluppo del settore non è solo lo stato, ma anche i fondi che alimentano il capitalismo globale. Ad esempio, Cyvn Holdings di Abu Dhabi ha appena investito in Nio 2 miliardi di dollari, che le assicureranno due poltrone nel consiglio di amministrazione della casa shanghaiese che fabbrica Ev di segmento premium.

Senza dimenticare che il 7,98 per cento di Byd è di proprietà della Berkshire Hathaway di Warren Buffett.

Come che sia, dall’anno prossimo gli incentivi verranno dirottati dall’offerta alla domanda, con un finanziamento governativo pari a 72,3 miliardi di dollari in quattro anni (2024-2027) per agevolazioni fiscali sull’acquisto degli Ev.

Una conferma che la politica industriale di Pechino punta sullo sviluppo della manifattura e del mercato dei veicoli elettrici (al centro del piano decennale “Made in China 2025”) che stanno registrando vendite in impetuoso aumento: 2,99 milioni nel 2021, 5,92 milioni nel 2022, 8,5 milioni quest’anno.

Le aspettative generate sul lato dell’offerta hanno però prodotto una massiccia overcapacity tra i produttori di macchine (un centinaio, diversi dei quali nati con la rivoluzione dell’elettrico) e di batterie, che nei prossimi anni dovrà essere riassorbita anche mediante l’aumento delle esportazioni di Ev, che in Cina costano oltre un terzo in meno di quelli occidentali, nipponici e coreani, ai quali non hanno più quasi nulla da invidiare.

Un’anteprima del nuovo scenario è andata in onda il 4 dicembre scorso, quando da Shanghai è partito il primo viaggio della “Jiuyang Blossom”, una nave ad hoc fabbricata in Croazia e acquistata dalla pechinese Changjiu Logistics, capace di trasportare 7.000 automobili sui suoi undici ponti.

La missione di Orbán

Nell’Ue a dare fiducia agli Ev cinesi sono stati anzitutto i paesi scandinavi, più sensibili alle questioni ambientali. Poi la Germania, dove il primo produttore cinese Byd ha 15 punti vendita, e mira a raggiungerne 50. La casa automobilistica ha stretto un accordo con la società di noleggio Sixt alla quale fornirà 100.000 veicoli elettrici, con l’obiettivo di migliorare il riconoscimento del marchio BYD tra gli europei.

Nel 2022 le cinesi avevano l’8 per cento del mercato europeo e - secondo le stime di Bruxelles - nel 2025 raggiungeranno il 15 per cento.

L’attesa è ormai concentrata sulla prossima mossa, l’apertura della prima fabbrica di Ev cinesi sul suolo dell’Unione europea. Ieri Byd ha annunciato che la costruirà a Szeged, nel sud dell’Ungheria, e che produrrà auto elettriche e ibride.

Parte di quello che il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, ha definito «uno dei maggiori investimenti della storia dell’economia ungherese» arriverà da sussidi del governo di Budapest. 

Il primo ministro Viktor Orbán ha dichiarato: «Ci aspettiamo di mobilitare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro nell’area di Szeged», sulla linea ferroviaria Budapest-Belgrado, costruita con anche fondi cinesi e collegamento strategico con l’Europa sud-orientale.

In Ungheria Byd ha, dal 2017, una fabbrica di autobus elettrici a Komárom, e nel luglio 2023 ha investito 27 milioni di euro in un impianto di assemblaggio di batterie a Fót, nei pressi di Budapest. Il 19 ottobre scorso Orbán ha visitato la fabbrica di Byd di Shenzhen, dove ha incontrato il fondatore e presidente Wang Chuanfu. La filiera dell’automotive ungherese è integrata con quella tedesca.

Intanto la Germania...

D’altro canto i produttori tedeschi - che in Cina macinano una parte rilevantissima del loro fatturato - si stanno accordando con quelli cinesi per difendersi in qualche modo dalla loro concorrenza. Volkswagen ha annunciato un investimento di 700 milioni di dollari in XPeng - un altro produttore cinese di segmento premium - e lo sviluppo congiunto di Ev per il mercato cinese.

L’accordo mira a sfruttare la capacità produttiva di Volkswagen e la tecnologia di XPeng per rafforzare la posizione della casa di Wolfsburg nel più grande mercato automobilistico del mondo e aiutare il partner locale a ridurre i costi in una fase in cui nell’affollato mercato cinese infuria una vera e propria guerra dei prezzi.

A questo punto, la domanda sorge spontanea. Se un grande paese dell’Ue, l’Ungheria, apre le porte alla cinese Byd (il maggior produttore globale di Ev) e le case automobilistiche tedesche (che rappresentano una parte rilevantissima dell’industria, non solo automobilistica, del continente) si accordano con quelle cinesi, cosa potrà ottenere l’inchiesta della Commissione, voluta dalla Francia di Emmanuel Macron e sostenuta da Ursula von der Leyen?

Forse una rappresaglia. Pechino potrebbe chiedere all’Organizzazione mondiale una “contro-inchiesta” sui sussidi che in Europa sono stati concessi abbondantemente al settore a partire dalla pandemia di Covid-19.

Inoltre la differenza tra il prezzo di un Ev cinese senza e con eventuali dazi sarà sostenuta dai consumatori europei. E, ancora, che trattamento sarà riservato agli Ev prodotti da Volkswagen e altre big europee in Cina che vengono importati nell’Ue? Infine ammesso che i dazi risolvano il problema nell’Ue, nulla potrebbero nei mercati terzi, dove le compagnie europee devono affrontare la concorrenza cinese.

Musk, che dal 2019 ha avviato la produzione di Tesla nella “Gigafactory 3” di Shanghai - l’unico stabilimento automobilistico cinese interamente di proprietà straniera (senza joint-veture) ha cambiato decisamente tono nei confronti dei produttori cinesi. A inizio anno, nel corso della conferenza sugli utili di Tesla, il fondatore ha affermato che «abbiamo molto rispetto per le case automobilistiche in Cina. Sono i più competitivi al mondo… lavorano più duramente e in modo più intelligente».

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