«Buon Natale a tutti, compresi i meravigliosi soldati cinesi, che amorevolmente, ma illegalmente, gestiscono il Canale di Panama». Così, il 25 dicembre, Donald Trump, che in seguito, il 7 gennaio, rispondendo alla domanda di un giornalista, non ha escluso l’uso della forza per conquistare il Canale.

Quella sull’Esercito popolare di liberazione che controlla il Canale è una fake news, certo non la prima del presidente Usa che si insedierà il 20 gennaio, e tuttavia particolarmente interessante (oltre che grave), perché rivela le sue ambizioni di ritorno a un passato nel quale per Washington l’America latina era il “cortile di casa”.

Il Canale di Panama è un corridoio d’acqua lungo 82 chilometri che, tagliando in due le Americhe, unisce l’oceano Atlantico al Pacifico. Aperto dagli Usa nel 1914, ogni anno viene attraversato da circa 14.000 cargo, riducendo i tempi di trasporto delle merci che, attraversando il continente americano, evitano di circumnavigarlo. Il 57 per cento dei cargo che dall’Asia naviga verso la costa orientale degli Stati Uniti passa dal Canale, sotto controllo panamense dal 31 dicembre 1999, per effetto dei trattati Torrijos-Carter del 1977 che, avendone trasferito l’autorità amministrativa dagli Usa a Panama, hanno garantito la neutralità di questo collegamento strategico e l’accesso per il trasporto marittimo globale.

La bugia o, meglio, la post-verità di Trump si basa sul fatto che la CK Hutchison (il conglomerato controllato dalla famiglia del magnate hongkonghese Li Ka-shing) gestisce Balboa e Cristóbal, due dei cinque porti agli ingressi del Canale, che le sono stati assegnati nel 2021 (per 25 anni) dall’Autorità del Canale di Panama, mentre due compagnie statali – China Communications Construction Company e China Harbour Engineering Company – stanno costruendo il quarto ponte sul Canale (un investimento di oltre 1,3 miliardi di dollari).

Ma il controllo del Canale è nelle mani del governo panamense e a pagare per il transito (cinque miliardi di dollari nel 2024) sono state soprattutto navi statunitensi, cinesi, giapponesi e sudcoreane.

Chi controlla il Canale?

Per smentire le affermazioni di Trump è intervenuto il capo dell’Autorità del Canale. Ricaurte Vásquez Morales ha dichiarato che le accuse di Trump sono “infondate”. «La Cina non ha alcun coinvolgimento nelle nostre operazioni», ha chiarito Vásquez Morales, aggiungendo che non ci sono eccezioni alle regole e che non si può fare alcuna discriminazione nei confronti della Cina, degli Stati Uniti «o di chiunque altro». «Ciò violerebbe il trattato di neutralità, il diritto internazionale e porterebbe al caos», ha concluso il funzionario panamense.

Gli interessi di Pechino sono innegabili, e sono apparsi evidenti anche dalle innumerevoli reazioni dei media governativi alla “provocazione” di Trump: Il Canale di Panama resterà per sempre nelle mani del popolo panamense, la Cina sostiene gli sforzi di Panama di mantenere la sovranità sul Canale, la Cina rispetta coerentemente la sovranità di Panama sul Canale, e così via titolando.

Nel 2017 Panama ha rotto le relazioni ufficiali con Taiwan riconoscendo la Repubblica popolare cinese. Da allora i rapporti con Pechino sono migliorati costantemente, al punto che, dal 2022, i 200.000 cinesi (il 5 per cento della popolazione) che vivono nello stato centroamericano hanno visto riconoscere il capodanno cinese tra le festività nazionali. Inoltre la maggior parte degli stati dell’America centrale (Panama incluso) sono entrati nella Belt and Road Initiative, per sfruttare le opportunità di investimenti infrastrutturali cinesi.

Nuovo impero commerciale

L’uscita di The Donald rivela preoccupazione della prossima amministrazione per quella che l’ideologia isolazionista di Trump vede come un’inaccettabile intrusione di potenze straniere nell’emisfero occidentale. Nel 1823 quando James Monroe formulò l’omonima dottrina (“L’America agli americani”) c’era da respingere i coloni britannici, oggi tocca alla Cina, che non è una potenza coloniale, ma che Trump vede come una minaccia per la leadership che si è guadagnata nel commercio internazionale e nei settori dei trasporti e della logistica grazie ai suoi colossi di stato. E così la dottrina Monroe  – dichiarata “finita” nel 2013 dal segretario di stato di Barack Obama, John Kerry, risorge con Trump e con Marco Rubio, il nuovo capo della diplomazia Usa che nel 2022 ha dichiarato al Congresso che «non possiamo permetterci che il Partito comunista cinese espanda la sua influenza e assorba l’America latina e i Caraibi nel suo blocco politico-economico».

La Cnn ha pubblicato un’interessante analisi nella quale Stephen Collinson ha sostenuto che forse gli Usa si isoleranno dal resto del mondo, ma stanno raddoppiando la scommessa sul loro cortile di casa. Il commentatore ha ricordato il discorso pronunciato nel 2018 davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quando Trump dichiarò che «qui nell’emisfero occidentale, siamo impegnati a mantenere la nostra indipendenza dall’invasione di potenze straniere espansionistiche. È stata la politica formale del nostro paese fin dai tempi del presidente Monroe quella di respingere l’ingerenza delle nazioni straniere in questo emisfero e nei nostri affari».

Mentre Collinson mette in guardia sull’eventualità che la dottrina Monroe 2.0 di Trump possa ritorcersi contro Washington, spaventando i paesi dell’America latina e avvicinandoli alla Cina, va altresì considerato un altro possibile esito di una simile impostazione.

“L’America agli americani” applicata oggi, vorrebbe dire scontrarsi frontalmente con gli interessi della seconda economia del pianeta, la Cina, fortemente dipendente dalle esportazioni e che - in seguito alle chiusure statunitensi e, in parte, europee - punta sempre di più sui mercati emergenti per i suoi traffici. Nel 2023 infatti il commercio della Cina con l’America latina ha raggiunto il valore di 489 miliardi di dollari, contro i 575 miliardi di dollari con gli Stati Uniti e i 739 miliardi di dollari con l’Unione europea. L’America oggi è anche, un po’, dei cinesi.

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