Non esistono prove che la Loggia Ungheria sia mai esistita, e Piero Amara è un uomo «abilissimo nell’arte manipolatoria, estremamente pericoloso quando lo si intenda utilizzare come prova a carico di altri». Contemporaneamente, però, l’avvocato di Siracusa non è affatto, come «in questi mesi si è insinuato da più parti, un “invasato o un mitomane”, né uno sprovveduto faccendiere in cerca di notorietà. Amara al contrario ha avuto certamente rapporti ad altissimo livello con soggetti operanti nelle istituzioni di questo paese, e tantissimi ed indiscutibili riscontri esterni sono emersi su tanti episodi da lui riferiti agli inquirenti».

Così sintetizzano i pm di Perugia Raffaele Cantone, Gemma Miliani e Mario Formisano nelle 167 pagine di cui è composta la lunghissima richiesta di archiviazione in merito all’inchiesta sulla fantomatica Loggia Ungheria, l’associazione segreta che secondo Amara avrebbe condizionato per anni nomine dei vertici di enti pubblici ed istituzioni, in particolare della magistratura e del Csm.

Il sistema

Un documento che Domani ha letto ora integralmente, e che rappresenta non solo la sintesi del lavoro ciclopico della procura umbra che ha quasi chiuso (si aspetta la decisione del gip) una vicenda delicatissima che ha terremotato per mesi il mondo della politica, delle istituzioni e della magistratura. Ma anche la descrizione minuziosa del “fenomeno Amara”, che i pm non banalizzano come semplice magliaro o bugiardo matricolato.

Al contrario, ritengono «acclarata» l’esistenza di «un “sistema Amara”», che da «avvocato di provincia, dopo aver intessuto stretti rapporti con i magistrati siciliani, nell’anno 2012 giunge a Roma dove si colloca per anni, in maniera indubbia, al centro di scambi di favori, inerenti anche alle nomine apicali della magistratura ordinaria e amministrativa e al centro di dinamiche di potere che si intersecano con momenti topici della storia del paese». Come evidenziano le chat estrapolate dal cellulare di Denis Verdini, appunti sul computer dello stesso Amara. Oppure i contatti e gli appuntamenti con il lobbista Luigi Bisignani.

I pm, in pratica, spiegano che nonostante una serie di balle sesquipedali sulla loggia e suoi suoi presunti adepti (una ventina di persone sulle 90 tirate in ballo dal faccendiere hanno già depositato querela per diffamazione e calunnia, come l’avvocata Paola Severino, il comandante della Guardia di finanza Giuseppe Zafarana o l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti), su Amara «un giudizio tranchant di attendibilità/inattendibilità non sarebbe possibile, perché in sé non riuscirebbe a cogliere l’estrema poliedricità del soggetto che ci si trova di fronte, e soprattutto della sua narrazione».

Il suo modus operandi complesso, che mette «insieme fatti indiscutibilmente veri e circostanze non riscontrate», ha dunque convinto Cantone e i suoi uomini ha usare il “criterio della frazionabilità”, indicato anche dalla corte di Cassazione come quello migliore per effettuare vagli rigorosi per distinguere i racconti accertati da prove e testimonianze terze da quelli invece che non ne hanno alcuna.

Molte conferme

Andiamo dunque con ordine, partendo dai racconti in tutto, o almeno in parte, riscontrati. Innanzitutto, Amara – avvocato originario di Augusta che ha lavorato da giovane nel prestigioso studio di Giovanni Grasso, era davvero «diventato uno degli avvocati di riferimento di una società pubblica, l’Eni: malgrado i tentativi più o meno maldestri da parte della società di prenderne adesso le distanze» scrive Cantone «si era occupato di numerose e delicate vicende che avevano visto coinvolti, a vario titolo, i vertici delle strutture aziendali dell’Eni operanti in Sicilia».

Secondo i magistrati perugini, anche i rapporti con Tinebra e con l’Opco sarebbero confermati. In particolare, esistono riscontri sul fatto che Amara sia riuscito, grazie ai suoi rapporti con la magistratura siciliana, ad ottenere un trattamento di favore in alcuni processi in cui era stato coinvolto già nel 2006.

Cantone segnala come l’avvocato riuscì ad ottenere «ben due pareri favorevoli del procuratore generale di Messina, un’oggettiva stranezza», aggiungendo poi «un dato che fa riflettere: nonostante il procedimento penale, peraltro generato da una vicenda con possibili connotati di mafiosità, e persino una condanna definitiva patteggiata, vicende che avevano avuto un certo clamore in Sicilia, Amara ha continuato negli anni seguenti a tessere rapporti con la magistratura di ogni dove, con parlamentari della Repubblica e uomini delle istituzioni!».

Incontri siciliani

Tra le persone che Amara conosceva, ricorda Cantone, c’è il giudice Lucia Lotti, oggi pm a Roma. Il faccendiere ha raccontato come lui stesso si fosse adoperato affinché la Lotti fosse nominata a capo della procura di Gela, dove insiste una grande raffineria dell’Eni, e come questo gli avrebbe poi permesso di avere l’ufficio di Gela «totalmente» nella sua «disponibilità». La Lotti è stata così indagata dalla procura di Catania per corruzione, ma i pm hanno chiesto l’archiviazione perché non hanno riscontrato do ut des di sorta. Il gip ha però chiesto nuove indagini, e ad ora non si è ancora espresso. Forse anche in attesa di un contraddittorio e – segnala la magistrata – per acquisire le nuove trascrizioni dei verbali di Amara»

Al netto delle responsabilità penali che la Lotti nega ovviamente con forza, quale sarebbe secondo Amara la natura del loro rapporto? «Il favore che egli le aveva fatto procurandole un contatto con il consigliere laico del Csm Ugo Bergamo» si legge nelle carte di Perugia che citano le accuse dell’avvocato «gli sarebbe stato ricambiato con la sostanziale “messa a disposizione” del magistrato nella gestione di alcuni procedimenti che erano di suo interesse, quale difensore dell’Eni».

Gli investigatori ricordano poi che Angelo Mangione, difensore storico di Amara, ha detto ai pm milanesi come la Lotti prima della sua nomina a procuratore gli chiese davvero di incontrare Amara, aggiungendo però che «non mi disse per quale motivo voleva incontrarla». Pure Saverio Romano, ex ministro dell’Agricoltura e uomo di fiducia di Verdini che aveva rapporti costanti con Amara, ha ammesso di aver effettivamente incontrato il faccendiere e la Lotti, per discutere dell’aspirazione della predetta ad essere nominata procuratore a Gela.

Ma come mai i due andarono proprio dal potentissimo Romano? Perché il consigliere Bergamo che aveva dubbi sulla promozione della magistrata era stato eletto in quota Udc, lo stesso schieramento politico del politico.

«A seguito di tale abboccamento Romano avrebbe incontrato Bergamo, al quale avrebbe esternato i dubbi del magistrato» dice Cantone «Bergamo, sentito, non conserva invece alcun ricordo dell’episodio. La Lotti non è mai stata sentita e quindi non si conosce la sua versione». I giudici umbri ammettono che alla fine riscontri sull’incontro «fra la Lotti e Romano, mediato dall’Amara» sono emersi, ma che comunque esso non è certo prova dell’esistenza di una logga coperta, ma tutt’al più «un tentativo di captatio benevolentiae di un avvocato che aveva indiscutibili interessi professionali a Gela». Per la cronaca, la Lotti ha indagato per anni per disastro ambientale colposo, e alla fine del suo incarico ha chiesto 22 rinvii giudizio tra direttori e tecnici della società “Raffineria di Gela” ed Enimed.

La rete di Piero

Come ha anticipato Antonio Massari sul Fatto quotidiano, nel documento di archiviazione si evidenzia come vere o verosimili appaiono anche i resoconti di Amara in merito a cene e incontri che Amara ha avuto per provare a favorire le carriere e le promozioni di magistrati di peso. In primis quella di Carlo Capristo, poi promosso dal Csm procuratore a Taranto grazie anche (secondo le accuse) all’iperattivismo di un sodale di Amara, il poliziotto Filippo Paradiso.

«L’episodio comprova in modo inequivocabile – scrivono Cantone, Miliani e Formisano – le capacità istituzionali di Amara, in grado certamente di “entrare” nelle dinamiche delle nomine del Csm sfruttando i suoi rapporti con i consiglieri laici grazie al contatto con politici influenti (Luca Lotti, Saverio Romani e Denis Verdini), o grazie a rapporti con soggetti come Centofanti, in grado di influire su magistrati come Luca Palamara».

Anche in merito alla vicenda di Francesco Salluzzo, che Amara avrebbe incontrato a Roma un paio di mesi prima alla sua nomina di procuratore generale di Torino, secondo Cantone «esistono diversi elementi di riscontro». Basate sulle testimonianze del dirigente del consiglio di stato Antonino Serrao (pure registrato di nascosto da Amara che gli ha teso «una trappola») e di un imprenditore vicino a Salluzzo, Paolo Torresani, che di fatto confermano in gran parte quanto raccontato «dal dichiarante». Ossia l’avvenuto pranzo a casa di Torresani podromo a trovare un modo per avvicinare la consigliera del Csm Paola Balducci e raccomandare Salluzzo.

Se i due hanno tentato di ridimensionare le dichiarazioni dell’avvocato di Augusta in merito all’importanza dell’incontro, Cantone ha un’idea diversa: «Sembra molto più plausibile che il Serrao, compulsato da Torresani, abbia portato al pranzo Amara proprio in ragione delle sue note entrature all’interno del Csm: il che dimostrerebbe che non solo in Sicilia, in Puglia e a Roma, ma anche a Torino nel 2016 potevano essere giunte notizie circa le capacità di Amara...per aumentare le chance di vittoria» in relazione alle domande che i magistrati facevano al Csm.

Secondo Cantone il presunto “soldato” della loggia Ungheria racconta pezzi di verità significative e verificate anche nelle vicende cha hanno travolto Palamara (a processo proprio a Perugia); nell’aiuto dato al figlio dell’ex consigliere del Csm Marco Mancinetti per accedere alla facoltà di medicina di Tirana (pende su Amara un processo per calunnia, perché a volte il legale aggiunge a storie vere episodi corruttivi non dimostrabili); nei presunti rapporti con Luca Lotti, anche in merito a un incontro con l’allora sottosegretario «richiesto da uno dei vertici della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, in relazione a un fascicolo da lui trattato che avrebbe coinvolto l’allora premier Matteo Renzi».

In merito alle dichiarazioni su Giuseppe Conte, Cantone evidenzia un altro aspetto tipico del modus operandi di Amara. Come svelato da Domani, l’avvocato disse che il professionista prima di diventare premier aveva ottenuto consulenze da 400 mila euro tramite Centofanti dalla società Acqua Marcia, aggiungendo che la nomina del leader dei Cinque Stelle insieme a quella di Guido Alpa fosse legata a un favore da fare a Michele Vietti, presunto capo della Loggia, e che le nomine erano necessaria ad ottenere l’ammissione al concordato preventivo del gruppo.

I pm di Perugia spiegano che Centofanti non ha confermato la ricostruzione dell’amico (lo avesse fatto, aggiungiamo noi, avrebbe rischiato anche lui un’indagine per corruzione). «Appare ipotesi verosimile – conclude Cantone – che l’Amara certamente a conoscenza dell’incarico, abbia riferito all’autorità giudiziaria un fatto vero, attribuendosi un ruolo che invece non pare esservi stato. Il riferimento al professor Conte? Un modo per accreditare ulteriormente la rilevanza del suo narrato».

Ma la richiesta di archiviazione contiene anche la descrizione di menzogne vere e proprie inventate da Amara e accuse che non hanno la minima evidenza.

Loggia fantasma

Seppure la procura considera «spontanee» le prime dichiarazioni sulla Loggia Ungheria («in quel momento era indagato per una vicenda marginale rispetto all’indagine su Eni, aveva definito le sue pendenze giudiziarie a Roma e Messina con patteggiamenti non elevatissimi, che interesse aveva quindi ad aprire un fronte nuovo?», si domanda Cantone senza poter poter dare una risposta), i pm chiariscono che nessun riscontro all’associazione è stato trovato.

La lista con i nomi, che il sodale di Amara Giuseppe Calafiore avrebbe fotocopiato e poi dato a un agente segreto di Dubai, non è mai stata consegnata agli inquirenti. Avrebbe comunque avuto poco valore investigativo: senza firma e non su carta intestata, chiunque avrebbe potuta comporla.

Amara ha nel corso delle dichiarazioni ha via via ridimensionato la natura e la funzione della loggia, mentre le poche testimonianze che hanno detto che erano a conoscenza di Ungheria o di una simil-loggia segreta (il giudice Dauno Trebastoni, l’ex pm Maurizio Musco e l’imprenditore Fabrizio Centofanti) non hanno alcun «valore ponderale: sono tutte legate da rapporti molto stretti con Amara, e due su tre hanno ricevuto informazioni sa una persona defunta». Cioè Giovanni Tinebra, ex capo del Dap e procuratore generale a Catania che secondo Amara fu fondatore e animatore di Ungheria.

Notizie in fuga

Insomma, dell’esistenza dell’associazione non c’è traccia. Cantone, tuttavia, fa un passaggio non banale in cui spiega che la fuga di notizie sulle dichiarazioni dell’avvocato («accadimenti SUBITI da questo ufficio», ci tiene a sottolineare il capo della procura) avrebbe compromesso in nuce la possibilità di indagare a dovere su reati associativi già in se difficilissimi da provare. Divulgazione di segreti istruttori che hanno convinto alcuni indagati ad avvalersi della facoltà di non rispondere o di non presentarsi affatto negli uffici di Cantone

«Una scelta – si legge nella richiesta di archiviazione – che può essere ricondotta al clima creatosi intorno a questa indagine» dopo la fuga di notizie, per cui sono a processo il pm milanese Paolo Storari (assolto in primo grado, qualche giorno fa il procuratore generale di Brescia ha chiesto in appello una condanna a cinque mesi) e l’ex consigliere del Csm Pier Camillo Davigo, che ha avuto i verbali da Storari e poi ne ha parlato in via informale con vertici della magistratura. La ex segretaria di Davigo, Marcella Contraffatto, è invece indagata come colei che avrebbe consegnato gli interrogatori ad alcuni giornali.

Cantone segnala pure come Amara, in un memoriale scritto il 5 ottobre 2021 dal carcere di Terni dove stava scontando la sua pena per diverse condanna definitive per corruzione (oggi è in regime di semilibertà) «lamenta la condizione in cui si trova: essere accusato da vari soggetti di calunnia proprio perché le prove dei fatti da lui affermati non possono essere più acquisite». Amara scrive, letteralmente, di trovarsi «nella paradossale situazione di dover occuparsi delle accuse di una serie di soggetti che hanno potuto eludere l’effetto sorpresa a causa non del dichiarante, ma del magistrato indagante». Cioè Storari.

Secondo Cantone, le «considerazioni di Amara appaiono sul punto avere un loro fondamento. Non certo la consegna dei verbali a Davigo, ma la successiva pubblicazione di essi ha infatti creato una situazione oggettivamente paradossale per cui i chiamati in causa hanno potuto denunciare per calunnia il chiamante in correità prima persino che potessero compiersi le indagini e i necessari approfondimenti».

Per la cronaca, c’è un altro passaggio del documento dei pm di Perugia che, se fosse vero, sarebbe fonte d’imbarazzo per la procura di Milano. Quello in cui si sintetizza un’altra parte del memoriale dell’ex avvocato dell’Eni: «Il dichiarante afferma che tra dicembre 2019 e febbraio 2020 aveva rappresentato al pm Storari che, in uno al suo amico e sodale Calafiore, avrebbe proceduto a cercare riscontri (!!) su quanto aveva già verbalizzato ed aveva preavvertito il medesimo pm che avrebbe registrato di nascosto colloqui con soggetti in grado di confermare i fatti». Insomma, si sarebbe proposto come sorta di “agente provocatore”, per ottenere prove di quanto già raccontato alla procura di Milano.

Calunniati

Sia come sia, le discrasie e le contraddizioni nella narrazione di Amara intorno alla presunta Loggia sono tali che secondo i pm quest’ultima rischia di non essere mai esistita come tale. Non solo. Alcune accuse dell’avvocato sarebbero del tutto false. In primis, quelle contro l’allora consigliere del Csm Sebastiano Ardita, che sarebbe stato un affiliato e che l’ex avvocato esterno dell’Eni avrebbe conosciuto a una cena nella sede dell’Opco (un centro studi siciliano creato da Tinebra).

Per Cantone «Amara non è in grado nemmeno di dire quali attività gli altri “fratelli stessero svolgendo in quel momento: bisognerebbe ritenere contro ogni logica che la cena di presentazione sarebbe stata “muta”...non sapeva nemmeno che uno di essi (l’Ardita) era andato via da Catania da oltre 6 anni!».

Come mai Amara coinvolga Ardita (nemico giurato di Davigo) resti un mistero. Anche in merito alle accuse contro il generale Zafarana, definito dal faccendiere come un affiliato che aveva chiesto a lui in via indiretta una raccomandazione per far assumere una persona nel suo studio, il giudizio della procura di Perugia è caustico: «Non può qui non essere rilevata l’assoluta illogicità di una richiesta di un generale cha avrebbe fatto veicolare, per il tramite di un terzo estraneo, ad un soggetto che fra l’altro avrebbe dovuto essere stato un suo “fratello” di una potente ed occulta loggia massonica.

Resta non comprensibile la ragione per cui Amara riferisce fatti non veritieri: è un’ipotesi che ha la sua plausibilità quella di un rapporto non idilliaco tra Amara e la Gdf, avendo quest’ultima condotto tutte le indagini del passato che hanno poi portato all’arresto e alla condanna dell’avvocato siciliano». Che adesso dovrà dare conto delle sue parole in molteplici processi per calunnia.  

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