Anche la Russia salta sull’omicidio di Kirk. L’asse “messianico” tra Maga e putiniani

Dalla monumentale cerimonia funebre dell’Arizona – un enorme cortocircuito di visioni millenariste, manifestazioni di pietà cristiana, rivendicazioni del diritto di odiare e indizioni di crociate politiche – ha iniziato a dipanarsi l’eredità politica e culturale di Charlie Kirk. Il Cremlino ha immediatamente capito il potenziale di questi messaggi e li ha piegati alle esigenze del regime. Kirill Dmitriev, capo del Fondo russo per gli investimenti diretti e plenipotenziario di Vladimir Putin, su Telegram ha definito Kirk «una delle voci più filorusse tra i conservatori americani», mostrando video di vecchi interventi in cui l’attivista denunciava l’invio di armi all’Ucraina e attribuiva a Washington e Londra la responsabilità di avere sabotato i negoziati di Istanbul del 2022. Dmitriev si è spinto oltre, appropriandosi dello slogan “Oggi è il Turning Point” per trasformare il lutto dell’universo Maga in un assist narrativo a Mosca. Nelle sue parole, il funerale di Kirk diventa il segno che «la partnership della sinistra con le fake news collasserà» e che «la gente vuole la verità, la pace, la sicurezza e la prosperità». Più che un funerale un rito di passaggio. Con la morte di Kirk il trumpismo entra nella fase apocalittica Celebrazioni moscovite Il contrasto è evidente. Da un lato, un movimento che proclama il primato nazionale e la lotta contro le ingerenze straniere; dall’altro, la celebrazione compiaciuta da parte di Mosca, che vede nell’erosione del sostegno americano a Kiev un tassello centrale della propria agenda geopolitica. Kirk, che aveva fatto della critica agli aiuti militari all’Ucraina uno dei suoi tanti cavalli di battaglia, viene così arruolato non solo come eroe trumpiano, ma anche come alleato “postumo” del Cremlino. Ma il funerale non è stato solo geopolitica. È stato innanzitutto una manifestazione di fervore religioso nell’America dei risvegli della fede e del nazionalismo evangelista che vorrebbe abbattere la separazione fra stato e chiesa. Lo stadio è diventato una cattedrale laica dove la liturgia cristiana si è mescolata ai cori per Trump, le citazioni bibliche alle invettive contro Biden, l’idea del sacrificio personale alla retorica della guerra finale. Erika Kirk, vedova dell’attivista, ha messo al centro del suo messaggio il perdono dell’assassino, evocando la possibilità di trasformare il dolore in occasione di riconciliazione. Dal mito di Charlie ai pasticcini: la domenica bestiale di Meloni Ma la scena successiva è stata monopolizzata da Donald Trump, che ha usato il pulpito funebre per ribadire la necessità della vendetta. Non perdono, ma resa dei conti. Non riconciliazione, ma purificazione attraverso lo scontro. Nei giorni scorsi ha sottolineato il concetto ordinando simultaneamente la stretta contro i gruppi Antifa, da trattare come terrorismo domestico, fino ai rimproveri alla procuratrice generale, Pam Bondi, che non ha fatto abbastanza finora per dare la caccia ai nemici politici del presidente. È la grammatica escatologica che domina il trumpismo: ogni perdita è riletta come segno della battaglia apocalittica in corso. Il contrasto con le parole di Erika Kirk non è un dettaglio: mostra che all’interno dello stesso universo Maga convivono registri divergenti, che però finiscono sempre per piegarsi alla logica più radicale, quella che galvanizza la folla. Dai dazi alla disoccupazione, tutti i disastri economici di Trump Questo intreccio di politica estera, fede e promessa di rivalsa crea un paradosso permanente. Kirk è stato il più importante fra i volti giovani del trumpismo, capace di tradurre il linguaggio della destra nazionalista in format per i campus universitari. La sua eredità, ora, viene brandita da un Cremlino desideroso di legittimazione e da un Trump che rilancia lo scontro finale. Si crea così un ibrido: una religione civile che si alimenta di simboli cristiani ma li piega alla narrazione della vendetta. Attaccare, censurare, intimidire. Così Trump usa l’omicidio Kirk Mobilitazione permanente La cerimonia per Kirk non è stato solo il sigillo di un lutto, ma ha accelerato una metamorfosi: il trumpismo si presenta come religione civile che fonde geopolitica e identità, fede e risentimento. L’applauso di Mosca, le parabole bibliche usate come cornice di lotta e la teatralità dello stadio raccontano un movimento che trasforma i simboli cristiani in una legittimazione del conflitto politico. Per l’America il “Turning Point” evocato da Dmitriev è un bivio non tanto tra governo e opposizione, ma tra politica come competizione regolata e politica come epopea salvifica. La vendetta promessa da Trump piega ogni ambiguità verso lo scontro, e fa di Kirk un’icona funzionale a una mobilitazione permanente. Un dispositivo politico per un movimento che vive di eventi-simbolo, li assorbe e li rilancia, spostando il confronto pubblico dal terreno delle soluzioni a quello delle appartenenze. Mangiare e mangeremo: la destra e il rebranding del cibo