Tra una settimana Apple Daily non potrà – come sempre negli ultimi anni - invitare gli hongkonghesi a ricordare con una manifestazione anti-Pechino il passaggio (il 1° luglio 1997) dell’ex colonia britannica alla Repubblica popolare cinese. Quello in edicola domani sarà infatti l’ultimo numero del quotidiano fondato nel 1995 da Jimmy Lai. Arrestato nelle scorse settimane, il self made man fuggito adolescente dalla Cina socialista, il magnate della moda e dell’editoria diventato un oppositore potente e irriducibile del Partito comunista cinese è finito vittima assieme al suo tabloid a base di gossip, inchieste sui politici locali ed editoriali anti-Pcc della linea intransigente di Xi Jinping e compagni.

Per la leadership del Partito, il Porto profumato – governato per 150 anni dal Regno unito e tradizionale ritrovo di dissidenti d’ogni genere, dai sindacalisti trotzkisti ai difensori delle minoranze religiose – va trasformato in una città cinese come tutte le altre. Una nella quale l’autonomia e le libertà (di stampa, d’espressione, politiche) restino solo sulla carta, quella della Costituzione locale.

Gli arresti

Apple Daily, che impiega circa 600 giornalisti ed è pubblicato dalla società Next Digital, ha fatto sapere che la decisione di sospendere le pubblicazioni è stata presa per «la sicurezza dei dipendenti sulla base di considerazioni relative all’organizzazione della forza lavoro». Next Digital ha parlato di atto «dovuto alle condizioni che si stanno affermando a Hong Kong».

L’ultimo arresto eccellente è stato, ieri, quello dell’editorialista Yeung Ching-kee. Secondo il nuovo Dipartimento per la sicurezza nazionale sono suoi almeno cinque tra i trenta articoli di Apple Daily finiti sotto la lente degli investigatori perché avrebbero violato la Legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, varata l’estate scorsa dall’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento di Pechino.

Le nuove fattispecie di reato previste dalla norma si sono già dimostrate efficaci nel fermare i cortei pro-democrazia che, dall’estate 2019, per circa un anno hanno agitato Hong Kong. La parte più attiva e militante di quel movimento è stata divisa e silenziata: giovanissimi e studenti come Joshua Wong e Agnes Chow sono stati incriminati per «terrorismo», «eversione»,oppure sono fuggiti all’estero o ancora,semplicemente, hanno smesso di fare politica.

Ora a finire sotto processo sono anche le opinioni degli autonomisti e degli indipendentisti: nella “Nuova era” caratterizzata dall’accentramento del potere nel “nucleo” del Partito esse coincidono col «separatismo» e con la «collusione con paesi stranieri».

L’appoggio alle battaglie

Proprio sposando le tesi e appoggiando le battaglie del movimento Apple Daily era riuscito ad aumentare la diffusione, vendendo oltre 100 mila copie. Nei giorni scorsi, quando la chiusura era ormai nell’aria, la solidarietà di quella parte degli hongkonghesi più vicini al movimento si era manifestata con l’acquisto di 500 mila copie in un solo giorno. Una settimana fa centinaia di agenti del dipartimento per la sicurezza nazionale avevano fatto irruzione tra i computer e le scrivanie del giornale. Mentre veniva perquisita la redazione, dalle loro abitazioni venivano condotti in carcere il direttore del quotidiano, Ryan Law, l’editore e il direttore esecutivo, Chan Pui-man e Cheung Chi-wai, e dirigenti di società collegate.

La leadership cinese va avanti col suo progetto di “normalizzazione” della Regione amministrativa speciale di Hong Kong (Hksar), nonostante sia quest’ultima sia la Regione autonoma uigura del Xinjiang (Xuar) sembrano sempre più proiettate al centro dello scontro tra la Cina e l’Occidente.

Ieri l’Unione europea ha dichiarato che la chiusura di Apple Daily «colpisce duramente la libertà e il pluralismo dei media, essenziali in ogni società libera e aperta», e avvertito che ciò «va contro le aspirazioni di hub internazionale del business di Hong Kong».

Ma è improbabile che la leadership di Pechino dia ascolto alle proteste internazionali, che bolla come «interferenze negli affari interni della Cina». La svolta contro l’autonomia di Hong Kong risponde infatti a una precisa strategia. Fu il quarto plenum del XIX Comitato centrale (28-31 ottobre 2019), dopo cinque mesi di manifestazioni anche violentissime da parte dei giovani di Hong Kong, a decretare l’inversione di rotta: basta politiche locali, portate avanti da funzionari relativamente indipendenti che dialogano con il capo del governo locale, il quale, a sua volta, fa rapporto al governo centrale. Pechino ha deciso di riprendere il controllo totale su Hong Kong.

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