Il 20 gennaio un alto funzionario di Pechino assisterà in Campidoglio alla “incoronazione” di Donald Trump. Lo stesso presidente eletto aveva irritualmente invitato Xi Jinping allo Inauguration Day, riservato agli ambasciatori e non a capi di stato e di governo.

Poi, negli ultimi giorni, in un’intervista aveva previsto che con Xi «probabilmente andremo molto d’accordo». A presenziare al suo posto potrebbe arrivare il vice presidente Han Zheng (che ha un ruolo cerimoniale) o il più influente ministro degli Esteri Wang Yi.

Rischio Inauguration Day

Ma a Washington non dovrebbe sbarcare Cai Qi, il numero cinque del partito comunista col quale – secondo il Financial Times – dopo il rifiuto di Xi, la squadra di Trump aveva chiesto di parlare e che è considerato il braccio destro di Xi. A Pechino però non hanno gradito il coup de théâtre trumpiano: troppo rischioso spedire un top leader a un primo colloquio in stile Trump.

Gli esperti cinesi di relazioni internazionali sono unanimemente convinti che la nuova amministrazione proseguirà e forse inasprirà il contenimento hi-tech della Cina voluto da Joe Biden, oltre a riprendere lo scontro commerciale avviato durante il suo primo mandato da Trump, che ha già annunciato dazi del 10% sull’import dalla Cina, oltre a quelli del 60% minacciati in campagna elettorale.

Di recente Trump ha sostenuto che «al momento la Cina sta rubando agli Usa un trilione di dollari all’anno»: ennesima fake news, che fa riferimento all’appena ufficializzato surplus commerciale più alto di sempre registrato nel 2024 dalla Cina con il resto del mondo, non con gli Usa, con i quali si è fermato a 270 miliardi di dollari.

I porti e la rete di logistica delle compagnie di stato hanno permesso alla Cina di vendere all’estero merci per 3.580 miliardi di dollari (+5,9% rispetto al 2023). La seconda economia del pianeta ha mostrato così, alla vigilia del ritorno di Trump, la resilienza delle sue filiere industriali, pur colpite qua e là dai divieti e dalle tariffe di Biden.

Microchip e pomodoro

L’anno scorso la Cina ha importato beni per 2.590 miliardi. Quasi un “trilione” di differenza tra export e import che alimenterà le polemiche sull’eccesso di capacità produttiva (overcapacity) delle sue compagnie, aggravato dalla debolezza della domanda interna. Dati che evidenziano la persistenza della dipendenza dell’economia cinese dall’export.

Tra i prodotti più esportati nel 2024 figurano i circuiti integrati (+10,4%) e 6,4 milioni di auto (+22,8%). La Cina resta insomma la “fabbrica del mondo”, fa fatica a emanciparsi dal ruolo che si è conquistata con l’ingresso nell’Organizzazione mondiale per il commercio nel 2001, quando gli obiettivi di sviluppo fissati da Deng Xiaoping convergevano con gli interessi delle corporation statunitensi, tedesche e nipponiche.

Un quarto di secolo più tardi in Cina le fabbriche sono ovunque e sfornano di tutto: dal concentrato del Xinjiang che finisce nei barattoli di pomodoro nei supermercati di tutto il mondo alla farmaceutica dello Zhejiang che fa concorrenza a quella occidentale.

La realtà è, finora, quella di un paese costretto a esportare sempre più per fronteggiare la debolezza di una domanda interna che non decolla perché i cinesi risparmiano, per l’istruzione dei figli come per le spese sanitarie, e perché il crollo del mercato immobiliare ha portato un bel po’ di sfiducia.

Un nuovo impero

La Cina è diventata il primo partner commerciale di oltre 150 paesi, quello cinese è ormai un impero commerciale che ricorda quello britannico fiorito tra il Seicento e il Novecento, pur senza colonie. È interessante notare come i mercati più ricchi (Usa e Ue), pur restando molto importanti, dopo la pandemia sono diventati meno centrali per la Cina.

Nel 2024, il volume delle importazioni ed esportazioni con i partner della nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative) è cresciuto del 6,4% e, per la prima volta, ha rappresentato oltre il 50% del totale del commercio del paese. Mentre la Cina e l’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) – il cui interscambio è cresciuto del 9% su base annua – sono rimaste le maggiori partner commerciali l’una dell’altra per il quinto anno consecutivo.

Insomma, se l’economia della Cina continua a crescere è sempre più per il contributo dei paesi emergenti, nei quali la Cina esporta, investe e dai quali importa.

© Riproduzione riservata