Venerdì 16 luglio – dopo otto anni di sperimentazioni – la Cina ha inaugurato il suo mercato nazionale delle emissioni di gas serra. Nella prima giornata di contrattazioni sono state scambiate quote di emissioni per 7,9 milioni di yuan (1,2 milioni di dollari). Gli scambi saranno in una prima fase limitati a 2.225 compagnie energetiche, che generano ogni anno 4 miliardi di tonnellate di gas serra, circa il 40 per cento delle emissioni del settore, il 12 per cento delle emissioni globali di CO².

Perché è importante

  • Quello cinese è il sistema di scambio di quote di emissioni (Ets) più grande del mondo. Le aziende che si mantengono al di sotto dei limiti (fissati dai governi locali) possono vendere le loro “eccedenze” sotto forma di “crediti” a quelle che sfondano il tetto. Non c’è alcun limite assoluto alle emissioni. È previsto un meccanismo di monitoraggio, rapporto e verifica (Mrv) simile a quello dell’Ets europeo. Il prezzo dei crediti, inizialmente 50 yuan per tonnellata, dovrebbe aumentare progressivamente, fino a 93 yuan nel 2030. L’Ets con caratteristiche cinesi può contribuire a mitigare i cambiamenti climatici? David Dodwell rileva che anche l’Ets dell’Ue ha avuto bisogno di una quindicina d’anni di rodaggio.

Il contesto

  • La Cina (con il 26 per cento) è di gran lunga il primo emettitore di diossido di carbonio a livello globale. Lo scambio delle quote di emissioni rappresenta un pilastro delle politiche varate da Pechino per raggiungere la “neutralità carbonica” entro il 2060. Per sottolineare il suo impegno, il mese scorso Pechino ha istituito un comitato per la neutralità energetica presieduto dal vice-premier Han Zheng. Il presidente cinese, Xi Jinping – che durante l’amministrazione Trump ha rivendicato una leadership climatica per il suo paese – si è impegnato davanti alle Nazioni Unite a raggiungere il picco di emissioni entro il 2030 e la neutralità carbonica 30 anni più tardi.

L’economia cinese verso i livelli prepandemici

Il prodotto interno lordo (Pil) della Cina è cresciuto del 7,9 per cento nel primo trimestre di quest’anno, e del 12,7 per cento nel primo semestre, secondo i dati pubblicati giovedì scorso dall’Ufficio nazionale di statistica (Nbs). Il Nbs parla di «consolidamento di un vigoroso e stabile slancio di crescita» e sottolinea l’aumento della produzione industriale dell’8,3 per cento il mese scorso (dopo il +8,8 per cento di maggio); quella delle vendite al dettaglio (+12,1 per cento a giugno, +12,4 il mese precedente); quella degli investimenti in capitale fisso (+12,6 per cento nel primo semestre 2021); e la disoccupazione ferma al 5 per cento. Nonostante le misure protezionistiche tuttora in vigore, l’interscambio con gli Stati Uniti è aumentato del 45,7 per cento nel primo semestre.

Chinatopix
  • Perché è importante

La crescita economica della Cina rappresenta ormai il 18,3 per cento di quella globale, più di quella statunitense (15,9 per cento) e dell’Ue (14,9 per cento). I consumi interni assorbono ormai il 61,7 per cento del Pil, ma diversi esperti dubitano che possano mantenersi ai livelli attuali e sottolineano l’aumento delle disparità per quanto riguarda la capacità di spesa tra diverse aree del paese.

  • Il contesto

Pechino ha previsto una crescita per l’anno in corso «al di sopra del 6 per cento» (una stima “conservativa” secondo molti analisti), dopo che nel 2020 quella cinese era stata l’unica tra le grandi economie a registrare il segno più (+2,3 per cento). Nell’attuale fase di ripresa il governo manterrà una politica fiscale espansiva, continuando a sostenere gli investimenti infrastrutturali, in particolare quelli concentrati nell’Area della Grande baia e nel delta del Fiume azzurro.


Yuan

di Lorenzo Riccardi

Boom dell’export italiano in Cina

La Cina sarà l’unico grande paese a registrare una crescita del prodotto interno lordo in tutto il biennio 2020-2021; nei primi sei mesi del 2021 Pechino ha avuto una performance positiva del 12,7 per cento, per un Pil pari a circa 8.220 miliardi di dollari.

Nel 2020 la Cina è stata la prima destinazione per investimenti diretti esteri e ha realizzato i maggiori volumi per export e commercio internazionale; in base ai dati delle dogane cinesi, il flusso aggregato di import ed export è aumentato del 37,4 per cento nel primo semestre 2021 raggiungendo un valore totale di 2.785 miliardi di dollari. In particolare, le esportazioni cinesi nei primi sei mesi dell’anno sono cresciute fino a 1.518 miliardi di dollari, un aumento del 38,6 per cento rispetto ai risultati dello stesso periodo nel 2020. Contemporaneamente, le importazioni hanno raggiunto i 1.267 miliardi di dollari, un rialzo di circa il 36 per cento rispetto al periodo gennaio-giugno 2020.
I dati ufficiali evidenziano inoltre l’andamento positivo degli scambi con l’Italia; nel primo semestre dell’anno il totale dei flussi scambiati tra i due paesi è stato pari a 35 miliardi di dollari, di cui 19.5 per importazioni in Italia provenienti dalla Cina e 15.5 per esportazioni in direzione opposta con un incremento del 72.2 per cento rispetto al primo semestre 2020 dell’export dall’Italia alla Cina.
Nel 2020 la Cina ha promosso inoltre la creazione della più grande area di libero scambio al mondo tramite il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep) che nella prima metà del 2021 equivale al 31,6 per cento del totale dei flussi di interscambio cinese.
Per quanto riguarda i partner commerciali, i paesi del Sudest asiatico membri dell’Associazione Asean si confermano l’area che ha il maggior interscambio con Pechino, seguiti da Unione europea e Stati Uniti, mentre per quanto riguarda le proiezioni sul Pil, Banca Mondiale stima che per il 2021 l’economia cinese possa crescere dell’8,5 per cento.

Nell’Università di Lu Xun si studieranno i microchip

Nella prestigiosa Università di Pechino (Beijing Daxue, Beida) – tempio delle lettere e della filosofia nonché fucina di movimenti politici: dal Movimento del 4 maggio 1919, alla Rivoluzione culturale, al movimento di Tiananmen – giovedì scorso è stata inaugurata la Scuola di circuiti integrati dell’Università di Pechino. Il giorno precedente a Wuhan era stato lanciato il College dei semiconduttori dell’Università di scienza e tecnologia di Hangzhou (Hust). Il mese scorso la Shenzhen Technology University aveva aperto una scuola di semiconduttori assieme a Smic, la più avanzata fonderia di chip del paese. Hao Ping, rettore di Beida, ha spiegato che l’obiettivo del nuovo istituto è formare ingegneri esperti nella progettazione e nella manifattura di circuiti integrati e metterli in contatto con le compagnie nazionali per creare una «comunità dell’innovazione».

FOTO WIKIMEDIA

Perché è importante

  • Le Università cinesi stanno provando a frenare l’esodo di laureati Stem (scienza-tecnologia-ingegneria-matematica) che vanno a specializzarsi o a lavorare all’estero, nel tentativo di dar vita a una “innovazione autoctona” nell’ambito della quale svolgono un ruolo centrale i microprocessori, il principale prodotto importato dalla Cina (circa 300 miliardi di dollari all’anno negli ultimi tre anni).

Il contesto

  • In un contesto internazionale più ostile alla Cina, la domanda di semiconduttori della Repubblica popolare continua ad aumentare: il mese scorso ha importato 51,9 miliardi di dispositivi (che vengono utilizzati in una miriade di settori industriali: dall’automotive, all’elettronica, agli elettrodomestici) per un valore di 38 miliardi di dollari, il terzo record di sempre dopo quelli di marzo e aprile. La maggior parte delle compagnie cinesi non è in grado di produrre microprocessori avanzati a 14 nanometri, come, ad esempio, quelli di Intel.

Sulle tante e cangianti forme del patriottismo cinese, vi consigliamo:

- ​The Chinese Brand Selling Cosmetics With Tones of National Pride;

​- What lies between China’s nationalism and growth?;

​- Furious patriots: China's diplomatic makeover backfires.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

© Riproduzione riservata