L’annuncio dell’Aukus, la nuova alleanza strategica istituita da Stati Uniti, Regno Unito e Australia la settimana scorsa, ha colto molti di sorpresa. Certamente la Francia, che ha reagito con estrema durezza all’annullamento di un lauto contratto (90 miliardi di dollari) siglato tra la società Naval Group e il governo australiano, per la fornitura di una dozzina di sottomarini convenzionali.

Il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ha pronunciato parole di fuoco contro Washington e Canberra, i cui ambasciatori sono stati immediatamente convocati per consultazioni, accusandole di aver consumato una totale «rottura della fiducia» ai danni degli alleati europei, mentre al Regno Unito è toccata la spregiativa definizione di «ultima ruota del carro» della nuova alleanza.

Insomma, nonostante le diplomazie di mezza Europa siano al lavoro per ricucire il pericoloso strappo, l’Aukus dimostrerebbe inequivocabilmente due cose: da un lato, la scarsa attenzione e la mancanza di sensibilità del presidente americano Joe Biden nei confronti del vecchio continente; dall’altro, la constatazione del fatto che, in cambio della dotazione alla Royal Australian Navy di almeno otto sottomarini a propulsione nucleare, gli americani si aspettino un maggiore coinvolgimento dell’Australia nella strategia di contenimento della Cina.

Le conseguenze per i paesi del sudest

Oltre all’Europa, comunque, anche lo stuolo di paesi raggruppati nella Associazione delle nazioni del sudest asiatico (Asean) guarda con sospetto, ambivalenza e timore a ciò che l’Aukus potrebbe produrre nella regione. È forse proprio a causa della consapevolezza di quanto l’Indo-Pacifico possa diventare centrale per gli sviluppi futuri dell’Aukus che i paesi del sudest, almeno fino a questo momento, hanno deliberatamente evitato di esprimersi in maniera favorevole o contraria nei confronti dell’alleanza trilaterale.

È ragionevole credere che quei paesi (Vietnam, Filippine, Malesia solo per fare un esempio) che si sentono sempre più minacciati dal crescente potere militare cinese nella regione possano, prima o poi, dichiararsi favorevoli all’alleanza, che imporrebbe dei costi sempre più alti all’avventurismo militare di Pechino.

In generale, comunque, i paesi del sudest asiatico guardano con sempre maggiore sospetto verso qualunque iniziativa che possa contribuire a esacerbare la conflittualità della regione. L’Aukus, infatti, potrebbe avere il merito di spingere la Cina a più miti consigli, riducendo la possibilità di uno scontro, ma, di certo, aumenterebbe il rischio di trovarsi nel bel mezzo di un tornado nel caso in cui la situazione dovesse volgere al peggio.

La nuova alleanza, in aggiunta, rafforza l’antico convincimento per cui le opinioni dei paesi membri dell’Asean – e quindi la centralità di questa organizzazione nella strutturazione delle relazioni dei paesi membri con il mondo esterno – siano poco rilevanti nella visione delle superpotenze e delle modalità con cui queste ultime scelgono di operare all’interno della regione del sudest.

La scommessa degli Usa

Da una certa prospettiva, l’Aukus potrebbe rappresentare il prodotto della insoddisfazione americana nei confronti dell’immobilismo dei paesi del sudest: questi ultimi, infatti, si sono tenuti a debita distanza da qualunque iniziativa per formare una coalizione anticinese.

Nonostante le numerose, e a volte intense, frizioni con Pechino, questi paesi traggono un enorme beneficio economico e commerciale dalla loro interazione con la Cina. In aggiunta, c’è il serio rischio che l’Aukus venga percepito come un tentativo, a guida americana, tutto centrato su questioni relative alla sicurezza, in contrapposizione con numerose altre sfide che la regione è chiamata necessariamente ad affrontare.

È da  tenere in considerazione anche la diversa visione, rispetto alle potenze occidentali, di ciò che realmente la minaccia cinese implica: i paesi del sudest, infatti, non nutrono sicuramente alcuna speranza in un ordine globale guidato dalla Cina (e neanche per una rinnovata egemonia cinese nella regione), ma non sembrano neanche trovarsi a proprio agio con la versione, emersa tra le righe nel corso dell’annuncio dell’Aukus, secondo cui sarebbe necessario schierarsi tra autoritarismo e democrazia.

Nella visione dei paesi del sudest, a dispetto delle rassicurazioni del governo australiano guidato dal premier Scott Morrison, l’acquisizione di sottomarini a propulsione nucleare da parte dell’Australia rappresenterebbe un primo passo verso un futuro nucleare. Il sospetto è legittimo se si considera l’Aukus come una spia dell’adozione di una postura da parte dell’occidente più aggressiva e sanzionatoria nei confronti della Cina.

Il passo verso una corsa agli armamenti nella regione dell’Indo-Pacifico potrebbe di conseguenza essere prossimo. Quel che è certo è la conferma di quanto molti, in questa area, sostenevano da tempo, e cioè che l’Australia non possa considerarsi – come vorrebbe invece fare credere – come parte integrante della regione, visto che non solo gli altri attori regionali non sono stati interpellati prima della ratifica dell’Aukus, ma addirittura la loro approvazione alla nuova alleanza sarebbe stata data per scontata. E se alla fine fosse proprio Pechino a emergere vittoriosa da tutte queste profonde lacerazioni?

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