La Cina sa che decarbonizzare la sua economia è un imperativo improrogabile, ma a pagare per lei potrebbero essere il maestoso Mekong o il Salween, due dei fiumi più importanti del Sud-Est asiatico. Pechino, infatti, ambisce a guidare la governance globale sul clima.

Lo dimostrano gli obiettivi lanciati dal presidente Xi Jinping nel 2020, («raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030» e «la neutralità del carbonio entro il 2060»), e anche i colloqui con Washington, ripresi proprio all’inizio di maggio.

Ma decarbonizzare non è garanzia di sostenibilità di per sé, se i costi sociali e ambientali della transizione energetica vengono scaricati sui paesi del sud globale.

«Tutte le volte che c’è trasformazione tecnologica profonda ci sono costi nascosti che qualcuno deve pagare», spiega Stefano Galelli, docente della Cornell University e coautore dell’articolo “China Southern Power Grid’s decarbonization likely to impact cropland and transboundary rivers”. «Il nostro compito è individuarli e limitarli».

Di questo passo, la decarbonizzazione cinese potrebbe ricadere in modo sproporzionato sulle comunità che abitano le sponde del Mekong, l’imponente e prezioso fiume, ricco di biodiversità, che parte dalla regione autonoma del Tibet e sfocia in Vietnam, passando anche per Myanmar, Thailandia, Laos e Cambogia.

«Quando si pensa a decarbonizzare il sistema elettrico bisogna produrre energia con metodi più green: solare, eolico, idroelettrico», spiega Galelli.

Le proiezioni della sua ricerca dimostrano che la Cina (la maggiore produttrice di emissioni al mondo, ma anche il paese che investe di più in fonti green), per soddisfare la crescente domanda interna di energia con le tecnologie attualmente a disposizione, dovrà moltiplicare le dighe che già alterano il naturale corso del Mekong.

«Il problema principale è che lo “frammentano”. Questo crea danni ambientali, innanzitutto perché il fiume trasporta sedimenti, che poi si depositano lungo la strada e alla foce. Quando si parla dei delta che regrediscono o di innalzamento del livello del mare, ciò dipende anche dal fatto che i fiumi non sono più in grado di trasportare e accumulare queste sostanze».

Il delta è poi una fonte preziosa per l’agricoltura e l’acquacoltura. Le comunità che traggono sostentamento dal fiume – per la pesca e l’irrigazione dei campi in primis – rimarrebbero senza la loro fonte primaria di reddito, come accaduto a molti villaggi nel corso degli anni.

«I sedimenti portano con sé nutrienti, importanti per la vita degli ecosistemi fluviali. Inoltre, la frammentazione del corso fluviale non consente a certe specie di pesci di migrare», spiega Galelli. «Se la Cina dovesse costruire altri impianti, è facile immaginare che le cose andrebbero a peggiorare».

Dall’avvento dell’èra Xi Jinping, a partire dal 2012, Pechino ha assunto impegni ambiziosi sul clima, seguendo anche il lascito del presidente Hu Jintao. Quando è arrivato il Covid, però, la transizione energetica globale ha subito una battuta d’arresto. Per questo, due anni fa, Xi ha parzialmente ritrattato sulle rinnovabili: gli impegni climatici, per il governo cinese, devono essere perseguiti «con prudenza» per dare priorità alla sicurezza energetica. «La Cina non smetterà di bruciare combustibili fossili finché non sarà sicura che l'energia pulita possa sostituirli in modo affidabile», ha dichiarato a ottobre 2022 al Congresso del Partito comunista cinese.

Per evitare la carenza di elettricità che ha colpito città e aziende tra il 2021 e il 2022, il governo ha fatto nuovamente ricorso al carbone. Secondo gli esperti, rischia di non raggiungere gli obiettivi climatici se non torna rapidamente a puntare sull’energia pulita.

Coordinamento

Il caso cinese è solo un esempio di come non basti utilizzare il linguaggio della sostenibilità per attuare politiche che riducano davvero il degrado ambientale e le ingiustizie sociali che comporta. Come sottolinea Galelli, i fiumi non seguono confini politici ma naturali, e il Mekong (come anche il Salween, che potrebbe subire la stessa sorte) è un fiume transnazionale. Servirebbe una coordinazione inter-regionale che coinvolga la Cina, che, tanto per cominciare, potrebbe entrare nella Mekong River Commission con Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam.

Il dubbio, comunque, non è se decarbonizzare o meno, ma «bisogna rendere i costi ambientali e sociali della decarbonizzazione più bassi possibili», conclude Galelli. «Serve un approccio olistico che consideri tutte le dimensioni della sostenibilità».

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