Sul Covid-19 molte cose rimangono ancora inspiegate. Prendete il Giappone. Ha più del doppio della popolazione italiana, e se noi abbiamo tanti over 65, il paese asiatico ne ha di più; più di ogni altro paese al mondo. Una persona su tre, per l’esattezza, ha almeno 65 anni. Questi due fattori – città densamente popolate, alta presenza di categorie vulnerabili al virus – suggerirebbero che il Giappone è fragile in fatto di contagi. C’è poi un terzo fattore ed è eclatante: se dalla pandemia si esce coi vaccini, allora il fatto che qui neppure l’1 per cento degli abitanti abbia mai avuto una dose dovrebbe far disperare. E in effetti i giapponesi sono preoccupati: i quotidiani nipponici paventano «la quarta ondata», dicono che «le varianti dilagano nella capitale», e il governo in alcune zone ha appena disposto «lo stato di quasi-emergenza». Ma agli occhi dell’opinione pubblica europea la situazione in cui si trovano i giapponesi è invidiabile. I contagi giornalieri sono poco più di 2.600, i morti ieri erano una ventina, mentre in Italia i decessi quotidiani viaggiano su tre cifre e i contagi sono il triplo (in proporzione agli abitanti, pure di più). Martin Fritz, che da Tokyo scrive reportage per Deutsche Welle, fa gola ai lettori così: «I timori per il virus erano l’ultimo pensiero nella testa delle tante persone che durante il weekend hanno ammirato la tradizionale fioritura dei ciliegi». E giù di racconti sui picnic, le birre, i selfie. Ma come fanno i giapponesi?

Paradigma Tokyo

C’è chi dà il merito alla sanità di qualità per tutti, chi all’abitudine delle mascherine, chi alla regola delle tre C, e c’è pure chi sostiene che gli abitanti godano di una sorta di immunità. Ricostruiamo i fatti. Il Giappone, prossimo alla Cina, è stato tra i primi paesi colpiti dalla pandemia; il caso della Diamond Princess, la nave da crociera salpata a fine gennaio 2020 da Yokohama e diventata un focolaio galleggiante, è impresso nella memoria collettiva. Le frontiere sono state sigillate e un anno fa, il 7 aprile, Shinzo Abe ha inaugurato in sette prefetture lo «stato d’emergenza», invitando gli abitanti a restare a casa. Gli eventi di massa sono stati messi al bando. Eppure, in confronto ai rigidi e protratti lockdown nostrani, il Giappone ha mantenuto restrizioni ben più leggere. «Siamo stati capaci di evitare gli effetti peggiori della pandemia senza lockdown obbligatori, e come abbiamo fatto? Certamente hanno aiutato la sanità di qualità per tutti, e l’uso precoce e diffuso della mascherina che per noi era già un’abitudine, per tenere alla larga raffreddori e influenze», scrive in un commento Yasutoshi Nishimura. Qualcuno – e nello specifico un professore dell’università di Tokyo, Tatsuhiko Kodama – ha cercato di spiegare il mistero giapponese con gli strumenti della scienza: e se qui il Covid-19 fosse già passato? «Certo, non esattamente il Covid-19, ma qualcosa di analogo, verso il quale potremmo aver sviluppato una sorta di immunità storica», è l’ipotesi dello scienziato. Alcune ipotesi invece si possono escludere: il Giappone non si è salvato grazie alla diagnostica precoce, visto che con i tamponi è partito lentissimo. Esemplare è stato invece con il tracciamento dei contatti, anche retroattivo; qui si risale ai contatti ben precedenti a quando il test è positivo. Poi c’è la regola delle tre C.

Karaoke

Le tre C dalle quali ogni giapponese si tiene alla larga in tempi di pandemia sono: closed, spazi chiusi; crowded, luoghi affollati, e close-contact, cioè evitare approcci troppo promiscui. Quelli in cui la gente urla, per esempio, sono posti da evitare. Mettete insieme le tre C e capirete perché l’incubo peggiore sui quotidiani nipponici è il “karaoke cluster”, il focolaio da karaoke. Gente che canta, in un posto chiuso, tutta insieme. Lì non c’è mascherina che tenga, e al primo focolaio funziona il tracciamento dei contatti. La quasi-emergenza in vigore in alcune zone adesso per provare a contenere la diffusione di contagi e varianti, prevede proprio lo stop ai karaoke, oltre a orari ridotti per bar e ristoranti. L’intero sistema economico del paese si è riadattato in questi mesi per schivare le tre C; la digitalizzazione dei processi produttivi ha svolto un ruolo decisivo. Le tecnologie giocano un ruolo anche nelle riaperture: la notizia di oggi è la sperimentazione di droni che disinfettano l’atmosfera nei teatri per garantire una buona areazione.

Kill Bill

Il momento più difficile per il paese, in termini di contagi e decessi, si è registrato a inizio gennaio; ristoranti chiusi alle venti, telelavoro. Questo mese l’indice Tankan, indicatore dell’andamento dell’economia nipponica, ha dato comunque segnali di speranza: il paese esce dal primo trimestre con un’aspettativa di rapida ripresa economica. Certo, non tutte le attività economiche condividono l’ottimismo; specialmente i ristoranti, ritenuti in Giappone uno dei principali punti di contagio. Global dining, catena di locali che ha ispirato anche Quentin Tarantino (il locale Gonpachi è stato ricostruito come set per Kill Bill), ha persino fatto causa al governo per la scelta di multare i ristoranti che non riducono l’orario di apertura se richiesto.

Olimpiadi

Il vero banco di prova per il governo saranno le Olimpiadi, che il paese dovrebbe ospitare a luglio: un test di ritorno alla normalità. Tokyo ha iniziato a inoculare vaccini solo il 17 febbraio, ha cominciato dagli operatori sanitari, e i più anziani devono aspettare ancora il 12 aprile. Con questo ritmo, e con l’allarme varianti, c’è già chi chiede di sospendere l’evento. A fine marzo il governo ha deciso di non aprire le porte a spettatori provenienti dall’estero, e c’è chi avverte che l’evento potrebbe diventare un super diffusore di virus. Ma il budget olimpico è da 13 miliardi di euro e per ora non bastano i moniti degli esperti a sospendere i giochi.

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