Forse non è più il tempo degli skinheads di This is England, sicuramente non è più quello di Margaret Thatcher e della Mano de Dios di Maradona, ma dopo più di 40 anni dalla guerra tra Regno Unito e Argentina si parla ancora del destino delle isole Falklands, o Malvinas.

Per Buenos Aires, il conflitto perso nel 1982 nell’arcipelago dell’oceano Atlantico meridionale è ancora una pagina buia, una macchia indelebile nella storia del paese. Lo si è capito anche grazie ai cori dei tifosi argentini, resi famosi l’anno scorso con la vittoria del mondiale di Qatar da parte dell’Albiceleste, in cui le “hinchas” hanno citato «i ragazzi delle Malvinas» da non dimenticare.

Lo si è visto quando a marzo scorso l’Argentina è uscita da un patto di cooperazione nato nel 2016 con il Regno Unito sulle isole, territori della Corona britannica. E lo si è notato durante la campagna elettorale, dove la sovranità dell’arcipelago è stata ben presente nelle discussioni.

L’affondo di Milei

Il nuovo presidente Javier Milei sembra aver già deciso di sondare il terreno. Impossibile per un candidato alla Casa Rosada non provare a stuzzicare i sentimenti nazionalisti degli argentini sulle Malvinas, specie per un paese in piena crisi economica. Figuriamoci per il populista Milei. D’altronde è un ‘loco’, uno che agita una motosega in piazza, uno che apre alla possibilità della compravendita di organi. Ma in fondo, riguardo le Falklands, è un argentino come tanti. O come tutti. Nella sua testa, infatti, si chiamano Malvinas e l’Argentina ha una «sovranità non negoziabile» su quelle isole.

Sono le parole che ha usato in un dibattito televisivo prima delle elezioni presidenziali di domenica scorsa che lo hanno visto trionfare contro Sergio Massa. Non è bastato al candidato peronista, ex ministro dell’Economia, cercare di mettere in fallo Milei, ricordando la sua passione per «la nemica dell’Argentina» Thatcher, elevata a idolo dal nuovo presidente argentino per le sue politiche liberiste.

Milei – sembra scontato, ma è sempre meglio ribadirlo di questi tempi – non vuole un nuovo conflitto, ma per lui bisogna trovare «come riprenderle». «Abbiamo avuto una guerra, che abbiamo perso, e ora dobbiamo fare ogni sforzo per recuperare le isole attraverso i canali diplomatici» ha detto il neo presidente argentino, che poi ha ventilato l’ipotesi di una gestione delle Falklands in stile Hong Kong: una cessione a Buenos Aires, come fu fatto con la Cina nel 1997 per la città asiatica.

La reazione di Londra

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A stretto giro è arrivata la risposta da Londra. Il portavoce del premier Rishi Sunak è stato lapidario: «Il Regno Unito non ha dubbi sulla sovranità delle isole Falkland». Anzi, Londra «continuerà a difendere in modo proattivo il diritto all’autodeterminazione degli abitanti» dell’arcipelago, ha specificato Downing Street.

A supporto del premier è arrivato anche il segretario alla Difesa Grant Shapps, secondo cui è «innegabile e non negoziabile» che le Falklands siano britanniche. Per essere sicuri che la sponda argentina capisse, Shapps ha sbandierato la presenza del pattugliatore inglese nelle acque atlantiche «tornato a proteggere le isole».

Londra si fa forte dei risultati del referendum del 2013, l’ultimo tenuto nelle Falklands/Malvinas, in cui il 99,8 per cento dei residenti ha espresso la volontà di rimanere sotto il dominio britannico. A dimostrazione delle idee chiare delle poche migliaia di abitanti delle isole, avamposto britannico strategico per motivi energetici e geografici.

Campagna in vista

Se la campagna elettorale in Argentina è finita, quella nel Regno Unito sta per iniziare. Non si conosce ancora la data esatta del voto britannico, solo che sarà entro il gennaio del 2025. I conservatori si avviano verso una dura sconfitta, staccati dai laburisti nei sondaggi di circa 20 punti percentuali, e per questo sono pronti a tutto per darsi qualche chance.

Magari anche a inasprire i toni in merito a una vicenda, come le Falklands, ricordata nel Regno Unito come l’ultimo momento di gloria dell’impero britannico, quindi da aggrapparcisi a tutti i costi. Come successo già a luglio, quando il governo Tory si è stizzito con le autorità europee per l’uso del termine Malvinas in un documento ufficiale. Ragion per cui, potrebbe non essere così assurda l’ipotesi di alimentare in qualche modo i contrasti con Buenos Aires, senza degenerare ma strumentalizzando la questione delle isole in ottica elettorale.

Tanto più che un presidente come Milei potrebbe prestarsi in maniera più o meno inconsapevole allo scopo. In fondo, nelle elezioni del 1983 Thatcher sfruttò la vittoria nella guerra alle urne. Sunak lo sa.

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