La distensione che Joe Biden e Xi Jinping proveranno a intraprendere dopo domani a San Francisco avrebbe dovuto iniziare un anno fa, quando i due presidenti la annunciarono da Bali, al termine del loro ultimo faccia a faccia. Stabilizzare la relazione bilaterale, migliorare la comunicazione, ridurre le incomprensioni tra Stati Uniti e Cina. I buoni propositi sciorinati il 14 novembre 2022 a margine del G20 indonesiano sono crollati sotto i colpi di continui dispetti: l’abbattimento del “pallone spia” cinese sui cieli Usa il 4 febbraio, il 6 aprile l’ennesima stretta di mano tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e uno speaker della Camera (Kevin McCarthy, dopo Nancy Pelosi), varie collisioni sfiorate nel Pacifico occidentale tra navi e aerei da guerra dei due contendenti, l’inasprimento dell’embargo hi-tech Usa nei confronti della Cina, eccetera, eccetera. Una pericolosa sequela di scaramucce, scaturite dalla rivalità strategica tra la potenza egemone e quella “revisionista” che pretende di cambiare l’ordine internazionale, alla quale Xi e Biden mercoledì riprometteranno di porre fine.

Nelle scorse settimane il frenetico andirivieni di alti funzionari cinesi e statunitensi da una parte all’altra dell’Oceano ha preparato l’appuntamento in maniera che nulla sia lasciato al caso, in un confronto che si prevede lungo e sostanzioso. Se mercoledì sera verrà letto un comunicato congiunto, sarà il segnale di una distensione vera, benché a tempo: dal 1° gennaio 2025 la Casa Bianca potrebbe cambiare inquilino, aprendo di nuovo le porte a Donald Trump, o a un repubblicano ancora più anti-Cina.

La calma serve a entrambi

Col prossimo vertice tra Xi e Biden - a margine di quello della Asia Pacific Economic Cooperation (Asean) - Pechino punta essenzialmente a guadagnare tempo: riavviare il dialogo per non esasperare una tensione che danneggia i piani di sviluppo economico e militare della Cina. Per Xi Jinping, presenziare al summit dell’Apec serve anche a riproporre la sua retorica liberoscambista, che contrapporrà al “de-risking” promosso dall’amministrazione Biden (e dalla Commissione Ue). Dopo aver visto Biden, Xi parteciperà a una cena con gli amministratori delegati di alcune tra le maggiori multinazionali Usa durante la quale è previsto un suo “importante discorso”.

Il Partito comunista ha preparato il terreno, avendo ricevuto qualche giorno fa in Cina Jamie Dimon, di JPMorgan Chase’s, Elon Musk, di Tesla, e Tim Cook di Apple. Nel terzo trimestre di quest’anno la Cina ha riportato un deficit di 11,8 miliardi di dollari in investimenti diretti esteri, il primo dato negativo dal 1998, quando si è iniziato a monitorare questo indicatore. Xi canterà ancora una volta davanti ai magnati della finanza le magnifiche sorti e progressive dei mercati cinesi, l’ambiente favorevole che il governo centrale e le amministrazioni locali continueranno a garantire agli investimenti di queste corporation. Insomma, nonostante la nuova legge anti-spionaggio e il sostegno governativo alle compagnie cinesi che lo stanno innervosendo, il capitale straniero in Cina è benvenuto e tutelato.

Biden invece ha bisogno di una distensione con la Cina, perché la sua amministrazione non si può permettere un’altra crisi oltre a quelle ucraina e israelo-palestinese. Con i cinesi discuterà di entrambe, ma rimanendo su posizioni molto distanti. E con Putin e Netanyahu determinati a proseguire i conflitti contro Kiev e Gaza a difesa della sacralità della “sicurezza nazionale”, a Xi e Biden potrebbe non restare che nascondere le macerie sotto il tappeto. La discussione potrebbe accendersi su Taiwan, su cui l’ambasciatore a Washington, Xie Feng, ha invitato gli Usa a «smettere di giocare col fuoco e a far seguire alle parole le azioni», ritornando al rispetto della loro tradizionale politica “Una sola Cina” e riducendo le forniture di armamenti a Taipei.

L’accordo sul clima

Xi ha visitato l’ultima volta gli States nel 2017, ospite di Trump. Rispetto al suo predecessore Biden è stato “chirurgico”, avendo puntato a negare alla Cina l’accesso alle tecnologie più avanzate nei settori del semiconduttori, dell’intelligenza artificiale e dell’informatica quantistica, e scommesso sulla cooperazione militare nel Pacifico in ambito Aukus, con Australia e Regno Unito, e sui partenariati stretti dalla Nato con Giappone e Corea del Sud. Ciò non ha impedito a Washington e Pechino di formare nelle ultime settimane gruppi di lavoro congiunti su economia, commercio e finanza. E tra gli esiti più positivi per la relazione bilaterale che potrebbero arrivare dall’incontro di dopo domani c’è la ripresa delle comunicazioni ufficiali tra i rispettivi vertici militari.

La rimozione di Li Shangfu (scelto da Xi nonostante fosse sotto sanzioni Usa) dal ministero della difesa ha agevolato questa schiarita. E il nuovo capo di stato maggiore interforze Usa, Charles Q. Brown, ha spedito una lettera per comunicare formalmente ai cinesi di essere «nella posizione e disposto ad aprire una linea di comunicazione». Sarebbe importante per impedire che le navi e i caccia continuino a incrociarsi senza conoscere le intenzioni dell’avversario. Per certo è dato l’annuncio del divieto dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei droni e in altri armamenti a guida autonoma.

Pechino vorrebbe la rimozione dei dazi sulle importazioni dalla Cina decretati da Trump e una tregua nell’embargo hi-tech di Biden: difficile la prima, improbabile la seconda.

Poi ci sono le questioni globali, sulle quali è più facile un’intesa tra potenze “responsabili”. L’inviato Usa per il clima, John Kerry, ha anticipato che Xi e Biden illustreranno i dettagli degli accordi appena raggiunti da Stati Uniti e Cina per contrastare il cambiamento climatico, che potranno contribuire all’avanzamento dei colloqui COP28 che inizieranno alla fine del mese a Dubai. In più potrebbero arrivare novità sul fronte della riduzione del debito dei paesi poveri e sulla riforma del Fondo monetario internazionale, nel quale la Cina e altre nazioni emergenti reclamano da anni più peso decisionale.

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