Nel processo contro l’ex presidente Yoon la Corea del Sud rivive l’incubo della dittatura

Incollati ai social o alla tv, increduli, arrabbiati, ma confortati da un senso di liberazione. I sudcoreani vivono così il momento della verità della giovane democrazia nata nel 1987 a sud del 38° parallelo con la “Dichiarazione del 29 giugno” e la fine del regime di Chun Doohwan. I cinquanta milioni di abitanti della decima economia del pianeta stanno assistendo a un processo pieno di rivelazioni inquietanti, quello all’ex presidente Yoon Suk-yeol, destituito e arrestato il 15 gennaio scorso. Un giudizio che con ogni probabilità sarà trasferito a un tribunale speciale. Alla vigilia del primo anniversario del tentato golpe Lee Jae-myung ha lanciato l’allarme su un sistema giudiziario che sarebbe influenzato da magistrati vicini a Yoon. «E se rimanessero nascosti elementi dell’insurrezione, quell’insurrezione potrebbe ripetersi», ha ammonito il nuovo presidente. Lee, l’ex “bambino operaio” che vuole (ri)unire la Corea Le tensioni con Pyongyang L’accusa contro Yoon è di aver tentato di provocare la Corea del Nord per giustificare la legge marziale e un golpe, e pianificato la cattura e l’eliminazione fisica di avversari politici. Yoon e i suoi collaboratori avrebbero orchestrato incursioni oltre confine di droni carichi di volantini di propaganda anti Kim Jong-un e, lungo la frontiera, spari di artiglieria e voli di elicotteri Apache. Il tutto per creare un clima di emergenza e far digerire la proclamazione della legge marziale firmata da Yoon il 3 dicembre 2024. La risposta di Pyongyang si limitò al lancio oltre confine di palloni carichi di letame, c’è chi sostiene solo perché Kim Jong-un aveva 11.000 militari impegnati sul fronte russo, troppi per aprirne un altro con il Sud. Ciò ha probabilmente impedito che il complotto ordito da Yoon e dal suo capo dell’intelligence, Yeo In-hyung, provocasse un conflitto armato. Documenti sequestrati mostrano che i vertici militari avevano persino ipotizzato attacchi a siti nucleari nordcoreani e a un resort privato di Kim Jong-un. Corea del Sud, il parlamento mette in stato d’accusa il presidente Yoon L’influenza degli Stati Uniti Così, a quattro anni di distanza dall’assalto a Capitol Hill, in Corea del Sud - tra i principali alleati asiatici degli Usa - il 3 dicembre dell’anno scorso Yoon dichiarava la legge marziale, costretto poche ore dopo a un inglorioso dietrofront dall’intervento del parlamento, che revocò il provvedimento liberticida. Yoon, notoriamente anti-dem, è invece legato agli ambienti più conservatori di Washington, tanto che Donald Trump ha avvertito Seul, attraverso Fred Fleitz, vice presidente dell’America First Policy Institute, che «la percezione che l’ex presidente Yoon sia perseguitato o sottoposto a un procedimento giudiziario ingiusto sarà accolta molto negativamente dall’amministrazione Trump». Dai taccuini e dal laptop di Yeo è emerso che Yoon e i vertici militari avevano preparato una lista di politici da arrestare in caso di successo del golpe. Tra i nomi figuravano Lee Jae-myung, allora leader dell’opposizione e oggi presidente, e Han Dong-hoon, ex alleato di Yoon diventato avversario dopo aver criticato la ex first lady Kim Keon-hee, accusata di corruzione e per la quale ieri l’accusa ha chiesto 15 anni di carcere. In aula il colpo di scena più clamoroso è arrivato quando il comandante delle forze speciali Kwak Jong-keun ha testimoniato che Yoon gli aveva ordinato di catturare gli oppositori «per poterli uccidere personalmente». L’idea di un presidente che pianifica la violenza fisica contro i suoi avversari - come ai tempi di Park Chung-hee e Chun Doo-hwan - ha convinto quasi tutti che il processo a Yoon è un momento di resa dei conti nazionale. Il paese - con le sue basi che ospitano 35.000 soldati Usa - resta saldamente nella sfera d’influenza di Washington. Lee e il suo omologo Trump hanno appena finalizzato l’accordo che assicura agli Usa 350 miliardi di dollari di investimenti sudcoreani in cambio di una riduzione al 15 per cento dei dazi delle importazioni negli States e dell’ok a Seul a sviluppare sottomarini a propulsione atomica. Eppure negli apparati dello stato serpeggia il nervosismo, la paura che il nuovo governo possa istruire “processi farsa” col tribunale ad hoc. Le minacce di Kim e la sfiducia negli Stati Uniti: anche la Corea del Sud è tentata dall’atomica Dibattito pubblico polarizzato I sondaggi però rilevano che, nonostante la polarizzazione, la fiducia nella magistratura è cresciuta, e la maggioranza della popolazione ritiene che Yoon debba essere punito severamente se le accuse saranno confermate. Da un punto di vista strettamente politico, il procedimento contro l’ex presidente golpista sta rafforzando il ruolo della corte Costituzionale come contrappeso al potere del capo dello stato. E ha polarizzato ulteriormente il dibattito politico, a sfavore dei conservatori, consolidando la leadership del presidente progressista Lee Jae-myung. Inoltre, tra chi esce in parte “riabilitato” da quanto sta accadendo oltre confine, c’è il leader nordcoreano. Uno degli aspetti più interessanti del processo è infatti l’aver fatto luce sulla manipolazione delle tensioni con la Corea del Nord, utilizzate come strumento di politica interna. Sarà molto più difficile d’ora in avanti per un presidente sudcoreano far ricorso alla minaccia nordcoreana per giustificare provvedimenti controversi.