Tra le foto dell’anno merita un posto d’onore lo screenshot della teleconferenza dell’Asean Summit 2020, ospitata virtualmente dal Vietnam lo scorso 15 novembre. La modalità online dell’evento testimonia l’impatto del coronavirus, i 16 riquadri che dividono lo schermo raccontano la firma del Rcep (Regional comprehensive economic partnership), il trattato di libero scambio più grande della storia.

Presenti: i premier e i ministri del commercio dei dieci paesi Asean (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam), della Cina, del Giappone, dell’Australia, della Corea del Sud e della Nuova Zelanda. Assenti: il premier e il ministro del commercio indiani – New Delhi si è sfilata dall’accordo lo scorso anno – e quelli americani, mai coinvolti nella complicata trattativa iniziata nel 2012.

Il Rcep mira a eliminare tra l’85 e il 90 per cento delle tariffe al commercio interno nella nuova area, a creare una zona di cooperazione economica di 2,2 miliardi di persone (il 30 per cento della popolazione mondiale) e a generare il 27,4 per cento del commercio globale entro il 2030.

Nonostante in molti, compresa la propaganda di Pechino, abbiano descritto l’accordo come una vittoria cinese, il successo dell’operazione si deve al fatto che a proporre e a portare avanti l’iniziativa siano stati i paesi dell’Asean, che sperano di attrarre gli investimenti da parte di paesi più ricchi sfruttando le leva del basso costo del lavoro che li contraddistingue.

Il valore simbolico e i risvolti geopolitici del Rcep sono epocali per le sue dimensioni e per la sua collocazione geografica. Inoltre, si tratta di un accordo esclusivamente asiatico, che rivoluziona i rapporti tra gli stati di quell’area e sbilancia fortemente gli equilibri a favore della Cina, relegando gli Stati Uniti a un ruolo sempre più marginale.

Un passaggio storico che acquista importanza se pensiamo che i primi a tentare un’operazione simile in quell’area erano stati proprio gli Stati Uniti. Nel 2016 l’amministrazione Obama aveva promosso la firma dell’Accordo di associazione transpacifico (Tpp) tra gli Usa e altri undici paesi della regione. Uno dei primi gesti di Trump presidente è stato quello di sfilarsi dall’intesa.

I paesi coinvolti, con la guida del Giappone, sono andati avanti con i negoziati e nel 2018 hanno firmato una versione ridimensionata del documento senza gli Stati Uniti. Nonostante proprio il Giappone auspichi il rientro di Washington nell’accordo, molti analisti sottolineano come al momento sia un’ipotesi improbabile.

(AP Photo/Mark Schiefelbein)

Pechino va veloce

Nel frattempo, la Cina non perde tempo. Durante il summit Apec del 20 novembre, Xi Jinping per la prima volta ha espresso la volontà di aderire al Tpp. Se la Cina entrasse a far parte del Tpp, entrambi gli accordi più importanti della regione asiatica vedrebbero il protagonismo del Dragone e l’assenza degli Stati Uniti.

Il tempismo del Rcep non è casuale. Mentre si parla sempre più insistentemente di protezionismo e decoupling e mentre l’economia mondiale, ma soprattutto occidentale, è devastata dalla pandemia, l’Asia Pacifico decide di mettere in sicurezza i suoi affari e di diventare il centro del multilateralismo.

C’è chi sostiene che l’accordo comporterà una vittoria minima sul piano economico per la Cina, soprattutto nel caso del protrarsi della guerra commerciale con gli Usa, ma c’è unanimità nel definire l’intesa come un’importante vittoria per l’influenza cinese sull’area, visto che le permetterà di accedere in maniera meno assertiva ai mercati vicini e la favorirà nel suo obiettivo di plasmare nel lungo periodo il suo ordine regionale, alternativo a quello americano.

Ci troviamo davanti a uno scenario inedito: nei prossimi anni sarà l’amministrazione americana che dovrà convincere gli asiatici di essere un partner affidabile. Il Rcep è l’ennesimo segnale che la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta fino a oggi si sta ridisegnando.

Il progetto della “Nuova via della seta” lanciato da Xi Jinping nel 2013 è stato il primo tassello di una nuova proposta di ordine economico mondiale, il Rcep è il secondo e procede in quella direzione. Entrambi sono pieni di criticità, ostacoli, incognite, ma entrambi, per la prima volta, spostano il baricentro da ovest a est e prevedono una partecipazione marginale di Usa ed Europa. L’Asia Pacifico fa la prima mossa nel mondo post Covid, si mette al centro della scena e reclama un ruolo da protagonista, non solo economico, ma anche politico e geopolitico.

© Riproduzione riservata