Nel litigio che umilia Volodymyr Zelensky, è Donald Trump a uscirne peggio: basta un no per farlo infuriare, e ha perso credibilità anche davanti a Vladimir Putin. La domanda per l’Europa è come comportarsi ora in un mondo capovolto.

Innanzi tutto serve raffreddare: basta con la politica-spettacolo in cui ci si insegue coi tweet. Poi occorre uscire dall’equivoco: gli Stati Uniti non considerano più il sostegno alla difesa dell’Ucraina contro l’aggressione russa un loro interesse nazionale. Non cambieranno, anzi, chiediamoci se pensano ancora che la difesa dell’Europa sia una priorità.

Non si tratta solamente dell’opinione dei “trumpiani”: è il parere del deep state americano, Pentagono, intelligence e dipartimento di Stato inclusi. Barack Obama già aveva allentato i legami atlantici.

Se Kamala Harris avesse vinto, avrebbe adottato la medesima politica, seppur con un altro tono e con tempi dilatati. In una prima fase, l’aver sostenuto Kiev è servito a Washington per mostrare a tutti la debolezza russa e per allargare il fossato tra questi ultimi e gli europei.

Preoccupazioni

Agli americani non è mai piaciuta la politica di Angela Merkel (e di Schroeder prima di lei) basata su un forte vincolo tra Russia ed Europa (addirittura gli Usa spiavano la cancelliera).

Il raddoppio del Nord Stream aveva già fatto saltare i nervi agli Usa, non diversamente dal modo in cui il no di Zelensky li ha fatti saltare a Trump e J. D. Vance.

Dopo tre anni sono diventati evidenti i limiti (e il fallimento) della strategia di Biden: non funziona più perché ha prodotto un appiattimento della Russia sulla Cina rafforzando l’asse antioccidentale.

Da qui la violenta sterzata di Trump: l’Occidente è solo America, liberiamoci delle zavorre. Il discorso del vicepresidente Usa a Monaco non deve scandalizzare: gli americani sono davvero convinti che siano gli europei a sbagliare (a «essere cambiati», ha detto) e a non vedere che il reale pericolo non è la Russia, ma la Cina. Traspare da tutte le loro parole: «Siete fissati contro Putin».

Il deep state americano è ormai convinto che bastino gli europei a tener a freno il nazionalismo russo, rinfocolato da Putin ma essenzialmente debole.

È una convinzione diffusa negli Stati Uniti, anche se espressa da Trump in termini scioccanti.

In altre parole gli americani chiedono agli europei un po’ di sacrifici dopo aver goduto del privilegio (gratuito) dell’ombrello Usa.

Lo aveva già detto, sorridendo, Obama. Ora lo ripete, brutalmente, Trump. L’altra questione aperta tra Europa e Usa riguarda i dazi, ma non si tratta di una novità: li aveva messi anche Bill Clinton, il presidente più filoeuropeo degli ultimi decenni. Gli americani cercano sempre di riequilibrare la loro bilancia commerciale: si tratta solo di negoziare.

Cos’è che preoccupa gli americani che deve comprendere l’Europa? Innanzi tutto la Cina (e per estensione l’Indopacifico).

La globalizzazione ha certamente favorito l’Asia e Pechino: gli Usa lo avevano messo in conto aprendo le porte del Wto (Organizzazione mondiale del commercio). Quello che non si aspettavano era la gigantesca rincorsa tecnologica che Pechino ha avviato: a Washington premeva solo allargare il mercato.

E qui emerge il solito errore occidentale: pensare che con la prosperità economica si risolva tutto. Forse era così con Hu Jintao, ma con Xi Jinping le cose sono cambiate e l’ambizione cinese si è svelata al mondo.

Xi ha trattato Hu come Putin ha fatto con Gorbaciov: non vogliamo essere succubi dell’Occidente. E nemmeno fare i simpatici. L’altra preoccupazione degli americani è la polverizzazione del potere causata dalla globalizzazione e acuita dalla sua crisi. La più grande potenza mondiale si sente sfidata dall’ascesa della Cina ma anche dalle potenze medie e dai poteri non statuali. Di conseguenza la diffusione del potere non può essere gestita con il vecchio ordine.

Più fragili

Tutto questo è un segnale che gli Stati Uniti si sentono più deboli rispetto a qualche decennio fa. E guardano lontano. Oggi con Trump alla Casa Bianca tutti pensano che la Russia vada “perdonata” e riattratta verso Occidente: non è più un nemico, ma un possibile alleato.

È una posizione essenzialmente pragmatica (“kissingeriana”, si può dire): gli Usa riconoscono di non essere in grado di fare la guerra contemporaneamente su due fronti. Ecco perché agli europei si chiede di prendersi delle responsabilità: almeno quelle della difesa convenzionale dell’Europa. Il “danno collaterale” è l’abbandono dell’Ucraina, ma non può sorprendere: era previsto, e lo stesso è stato fatto con Kabul.

Solo gli occidentalisti accecati europei non lo vedevano. Trump aggiunge di suo due aspetti: la ripresa di una politica espansionistica stile Ottocento (la questione Canada-Artico-Groenlandia e Panama) e la ricerca di una nuova superiorità tecnologica mediante l’entrata dell’high tech (Musk, Starlink ecc.) nella gestione del potere.

Ovviamente gli Stati Uniti sono una democrazia molto articolata: tenta di rafforzare l’esecutivo, ma lo stesso Trump trova resistenze da parte di ampi settori economici e della magistratura.

La lezione per l’Ue

Qual è la lezione per l’Europa? Innanzi tutto divenire consapevole che la globalizzazione, invece di concentrarlo, ha polverizzato il potere, e che ciò rende nervose e insicure le tre grandi potenze.

Hanno reazioni diverse, ma tutte puntano a revisionare il vecchio ordine che sta loro troppo stretto.

La loro isteria è molto pericolosa: il vecchio multilateralismo è saltato, e Washington, Mosca e Pechino si stanno studiando per crearne uno nuovo. Sono incerte sul da farsi e si sentono fragili, inclusa la Cina che inizia ad avere problemi demografici e di crescita.

Riformare un nuovo ordine internazionale significa mettersi d’accordo innanzi tutto tra loro tre, ma anche tener conto della nuova geopolitica globale nella quale hanno preso piede potenze medie aggressive (Turchia, Israele, Arabia Saudita, Emirati…). C’è poi una potenza che mira a essere inclusa tra le tre grandi (India), e soprattutto ci sono troppi attori non statuali che contribuiscono a gestire la politica e l’economia mondiale.

Gli interessi

Eccone un elenco non esaustivo: multinazionali di nuovo tipo; fondi speculativi e fondi passivi; reti criminali (molto globalizzate); mercato parallelo illegale (che agisce cioè fuori dalle regole); jihadismo (diventato mimetico), forze armate non statuali e privatizzate (milizie, contractor ecc.). La caratteristica di tali nuovi attori è di agire senza preoccuparsi di cosa pensano le grandi potenze.

Ad esempio, chi può dire oggi se Ankara o Riad siano filo o anti occidentali? Si tratta di attori ibridi, e una delle più gravi conseguenze del loro attivismo è la frattura degli stati: possono iniziare, finanziare o contribuire a conflitti senza preoccuparsi di ricostruire lo status quo ante. Non gli interessa né il regime change, né temono i cambiamento di confine. È ciò con cui l’Italia si confronta in Libia.

L’irritazione degli americani è che l’Europa non riesca a liberarsi dall’illusione retorica della “sua” guerra in Ucraina.

La realtà è che americani ed europei hanno fatto la guerra per motivi diversi: per gli Usa si è detto; per l’Europa contano molto le ragioni idealiste-ideologiche non pragmatiche (democrazie vs autocrazie).

Un’Europa preoccupata per la tenuta interna del tessuto nazionale (sovranista per le destre, democratico per le sinistre: fa lo stesso) o per la propria sovranità e identità (baltici o polacchi) ha difficoltà a intendere le ragioni globali e di prospettiva futura che stanno a cuore agli americani. Per gli Usa, in Europa ci guardiamo l’ombelico e di conseguenza siamo percepiti come alleati inaffidabili.

L’Europa risulta un mondo a parte. Ma l’America non comprende a sua volta che la tenuta del tessuto democratico interno è essenziale anche per lei: ogni pragmatismo ha un limite. Non occorre inseguire gli americani su tutto. Senza rompere il legame dell’alleanza atlantica, l’Europa dovrebbe elaborare una propria visione del mondo di domani che reagisca dinamicamente alle preoccupazioni americane, senza veemenza né accondiscendenza, ma raffreddando le paure Usa. Non basta più solo rimpiangere il vecchio ordine.

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