La crisi migratoria ai confini fra la Bielorussia e la Polonia desta «una profonda preoccupazione» nelle istituzioni europee sia per le scioccanti immagini di persone e bambini senza cibo e al freddo sia per le ripercussioni sul piano internazionale.

L’impero del male

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha condannato «il tentativo di un regime autoritario di destabilizzare i suoi vicini democratici» per una rivalsa contro le sanzioni europee, applicate verso la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko.

Valentin Rybakov, rappresentante permanente della Bielorussia presso l’ONU, sostiene che la situazione è decisamente tesa a causa anche della concentrazione di mezzi militari nell’area: qualsiasi provocazione potrebbe avere conseguenze estremamente tragiche. La Polonia ha, infatti, annunciato l’arrivo dei militari inglesi per rafforzare la barriera al confine e ha dispiegato 12mila soldati, quattromila guardie di confine, 1.500 poliziotti e 250 funzionari dell’antiterrorismo.

La Lituania e la Polonia hanno chiesto congrui finanziamenti all’Unione Europea «per la protezione delle frontiere esterne», richiamandosi ai «doveri non solo dei singoli paesi membri, ma anche alla responsabilità generale dell’Unione Europea» di difendere i confini dello spazio Schengen.

L’interpretazione più diffusa in Occidente è che i presidenti di due regimi autoritari, Lukashenko e il russo Vladimir Putin, abbiano architettato un complotto per indebolire l’Unione europea e attaccare la Polonia.

Il quotidiano estone Posttimes ha pubblicato un’intervista nella quale il primo ministro polacco, Mateusz Morawieck, afferma che la Russia e la Bielorussia rappresentano delle «forze storiche demoniache» pronte a risvegliarsi per distruggere la comunità europea. Ha, inoltre, esortato gli Stati baltici ad affrontare questo «male eterno» perché, insieme alla Polonia, hanno la responsabilità congiunta della sicurezza dell’intero spazio euro Atlantico.

Nella politica internazionale molte analisi si “appoggiano” ancora alla formula reaganiana dell’impero del male per interpretare la politica russa contemporanea. Certo, non vi sono certezze granitiche, come quelle espresse dal ministero degli esteri francese, sull’esclusione della Russia nella questione polacca. Tuttavia, sarebbe opportuno che gli osservatori e i “consiglieri dei Principi” provassero, ogni tanto, ad analizzare i problemi attraverso una prospettiva più ampia e con maggiore cognizione di causa per cogliere le diverse sfaccettature che incidono nelle dinamiche politiche.

Cosa vuole Putin?

Proviamoci. È vero che la Russia vuole indebolire l’Unione europea? Una risposta proviene dal ministro degli affari esteri russo, Sergei Lavrov: «Non bisogna dimenticare quali sono le radici del problema. E le radici affondano nella politica che i paesi occidentali, quelli dell’Unione europea e della Nato, perseguono da molti anni nei confronti del medioriente e del nordafrica, dove cercano di imporre una vita migliore secondo i modelli occidentali. Ora succedono tante cose ma non bisogna dimenticare dove tutto è iniziato di chi è la colpa di ciò che sta accadendo ora». A ciò potremmo aggiungere che Putin ha sempre ritenuto debole l’Ue per una eccessiva dipendenza dalla politica americana e per una mancata coesione al suo interno. Soprattutto, potremmo ricordare che è almeno dal no al referendum francese sulla Costituzione europea che l’Ue ha perso la propria “bussola politica” e ha dimostrato negli anni troppe incertezze ed errori (come la tardiva reazione alla pandemia). Tra questi, la politica migratoria costituisce il principale Tallone d’Achille e, quindi, non stupisce la strategia di Lukashenko. C’è un fatto, però, che merita una riflessione. Una delle “magnifiche ossessioni” di Putin è il riconoscimento/legittimazione del ruolo della Russia nell’arena internazionale.

In questa crisi, Putin ricopre il ruolo dell’osservatore che si limita a “suggerire” ad Angela Merkel di telefonare a Lukashenko per riprendere un dialogo e trovare una soluzione di comune accordo. Ancora più interessante è la questione della minaccia bielorussa di chiudere le forniture di gas. Secondo Putin si tratta di «una reazione impulsiva» di Lukashenko di cui non hanno discusso al telefono. E la Russia non permetterebbe ad un paese confinante di decidere al posto di Gazprom.

Il tallone d’Achille

Ma spostiamoci alla Polonia. È noto che i flussi migratori, organizzati dalla Bielorussia, sono in atto già dallo scorso maggio. Perché l’Unione Europea non è intervenuta allora? È la domanda che pone il comitato per i confini statali bielorusso, riportate da Ria Novosti: «Perché i migranti che vanno in Europa attraverso il Mar Mediterraneo sono riconosciuti dagli europei come rifugiati, ma la situazione dei paesi dell’Ue confinanti con la Bielorussia è completamente diversa? La sensazione è che la Lettonia, Lituania e Polonia abbiano una sorta di status speciale che consente loro di violare leggi europee rispettate dal resto dei paesi dell’Ue di fronte una situazione simile».

Potremmo continuare anche riflettendo sugli interessi della Germania (che ora ringrazia la Polonia) o della Nato. Quello che sappiamo è che l’idea del complotto panrusso ha mobilitato l’Ue in un momento in cui i rapporti con la Polonia hanno raggiunto il livello più alto di crisi. È bene ricordare che sino a qualche giorno fa il governo polacco, guidato dal partito conservatore Diritto e giustizia” (PiS), era criticato per le misure contro i diritti Lgbt, per le leggi contro il diritto d’aborto e per il disconoscimento del diritto europeo, paventando l’ipotesi di una “Polexit”.

Insomma, la Polonia si trasforma da carnefice a vittima dell’Ue. Nel frattempo, le minacce di sanzioni verso le compagnie aeree che hanno trasportato i migranti in Bielorussia hanno ottenuto un primo effetto con la chiusura dei voli verso Minsk. Il ministro Lavrov ha, invece, invitato i paesi europei ad evitare doppi standard nella crisi migratoria e chiede di aiutare la Bielorussia nella situazione con i migranti, come fece con la Turchia.

 

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