Nasce SCENARI – il mensile di geopolitica di Domani. Ogni mese sedici pagine di analisi e mappe a cura di Dario Fabbri. Venerdì 25 febbraio il primo numero: in che modo la crisi ucraina cambia il mondo e le nostre vite?. Da venerdì 4 marzo l’edizione aggiornata e integrata: sarà in edicola per una settimana (a 1,30 euro più il prezzo del giornale) e su app. 


Il secolo asiatico è il mito più diffuso del nostro tempo. Gemmato da un’idea numerica delle vicende umane, quasi il metro economico potesse decifrare il pianeta.

Eppure non esiste continente più rilevante dell’Europa. Per prestigio culturale, per collocazione geografica, per diffuse capacità dei suoi abitanti.

La grammatica strategica illumina tale realtà. Un soggetto è superiore agli altri se possiede il territorio decisivo, altrimenti non lo è. Punto.

Gli Stati Uniti, prima potenza del globo, dominano agilmente il nostro continente, mentre non risultano egemonici in Asia. Di qui la scala gerarchica tra i due teatri.

I cinesi ne sono perfettamente consapevoli. Per insidiare la superiorità americana, per disarticolarne la globalizzazione, puntano l’Europa, là dove vorrebbero condurre le nuove vie della Seta, disegnate per terminare nel bacino della Ruhr, non per rimanere in oriente.

L’origine della crisi

L’attuale crisi ucraina origina dalla rilevanza del contesto. Per controllare l’intera Europa, da decenni gli Stati Uniti perseguono il contenimento della Russia. Sicuri che, qualora fosse libero di agire, l’Orso ne insidierebbe la posizione dominante accordandosi con le principali nazioni occidentali. Anzitutto con la Germania. Quindi con l’Italia, paese storicamente simpatetico verso Mosca.

Viceversa, affacciata su una pianura indifendibile, animata da una popolazione con una sovradimensionata concezione di sé, da secoli la Russia prova a sottomettere le nazioni limitrofe per rispondere in terra straniera a un eventuale attacco, per nutrirsi del terrore incusso sugli altri.

Se durante la Guerra fredda il Cremlino agiva sul fiume Elba, nel ventre della Germania, oggi versa in condizione (quasi) disperata, confitto tra Bielorussia e Donbass.

Sicché lo scontro attuale si mostra alieno alle semplificazioni correnti. Il tragico compito della geopolitica, approccio qualitativo alle cose del mondo, è accettare l’esistenza di questioni inconciliabili, trascendenti la narrazione dicotomica.

Per inestirpabile sostanza e profonda insicurezza, gli imperi se ne infischiano delle aspirazioni altrui. Gli Stati Uniti annunciano democrazia e diritti umani, ma conservano la possibilità di abbandonare i clienti al loro destino.

La Russia calpesta puntualmente gli altri popoli, ma è sicura d’essere la vittima designata. Con le nazioni dell’Europa orientale prese tra due fuochi, intenzionate a stare con gli americani soprattutto per lontananza geografica, meno per aderenza democratica.

In queste ore Mosca prova a forzare la mano agli interlocutori, imponendo la sua volontà sull’Ucraina, mentre tratta con gli Stati Uniti un eventuale modus vivendi.

Washington segnala che non morirà per Kiev, mentre respinge la logica che prescrive di dividere il fronte nemico giocando il più debole contro il più forte, non aprendo alla Russia per allontanarla dalla Cina. Con il serio rischio che la situazione precipiti definitivamente. In nome del continente più ambito.

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