«Sono il quarto presidente degli Stati Uniti a decidere della presenza di truppe in Afghanistan. Tra quei quattro, c’erano repubblicani e democratici. Non lascerò che un quinto presidente si ritrovi con questa guerra ancora tra le mani». Joe Biden ha provato a congedare Washington dall’Afghanistan con poche, ferme parole. Per giorni si è asserragliato in un lungo e imbarazzato silenzio mediatico; l’unica immagine filtrata era quella di un briefing con il team della sicurezza nazionale, con il commander in chief Biden collegato dalla residenza di Camp David. Qui è rimasto asserragliato da venerdì, mentre cadevano su di lui le critiche per una cattiva gestione dell’uscita dall’Afghanistan e per il disastro umanitario. «Questo Biden glaciale collide con la sua immagine di leader empatico e rivela un atteggiamento difensivo», nota il Washington Post. La rapidità con cui i Talebani si riprendono il paese, sancendo il fallimento di vent’anni di presenza americana, ha infine costretto Biden ora a ritornare alla Casa Bianca e ai discorsi alla nazione: parlerà poco dopo che questo giornale vada in stampa. Su una cosa rimane coerente da anni: l’intenzione di sganciarsi dalle sabbie mobili afghane.

I malumori dall’era Obama

Secondo la dottrina Biden, non solo la democrazia lì non è esportabile, ma «non possiamo risolvere ogni questione interna altrui, a meno che non siano a rischio gli interessi vitali nostri o dei nostri alleati». Il disimpegno in Afghanistan non è un pensiero recente, per lui: risale ai tempi in cui alla Casa Bianca c’era Barack Obama, e lui era il vicepresidente in dissenso. Neppure un mese dopo il suo insediamento a inizio 2009, Barack Obama, con al fianco Biden come vice, intensifica la presenza militare Usa in Afghanistan: 17mila soldati in più, spoils system ai vertici e una strategia che a parole dovrebbe non solo attaccare i combattenti nemici ma proteggere la popolazione. Con i mesi, i soldati impiegati aumentano ancora, di decine di migliaia, e di pari passo le vittime Usa raddoppiano. Questo è solo l’inizio. Nel 2010, l’uomo su cui Obama aveva puntato, e cioè Stanley McChrystal, si lascia andare ad alcune dichiarazioni che a giugno gli costeranno l’incarico. Alla rivista Rolling Stone il generale fa intendere che ci sono malumori e tensioni con alcuni componenti dell’amministrazione. Definisce esplicitamente la strategia antiterrorismo concepita da Biden come miope, e dice che l’esito sarà un Chaos-istan. La ragione profonda delle divergenze tra l’apparato militare e l’allora vicepresidente diventa più chiara molti anni dopo, quando gli Afghanistan Papers portano alla luce tutte le discrasie e ipocrisie su quella guerra.

Gli Afghanistan Papers

Due anni fa, gli Afghanistan Papers – i documenti ottenuti con richiesta di accesso agli atti dal Washington Post – hanno rivelato che non solo i vertici Usa consideravano la guerra in Afghanistan impossibile da vincere, ma hanno intenzionalmente manipolato la versione della storia che arrivava all’opinione pubblica, esagerando le vittorie e tacendo le prospettive funeste. Una parte dell’inchiesta fu titolata “At war with truth”: sotto attacco era finita la verità. A quel punto, con Obama fuori dalla Casa Bianca, Biden ha esplicitato la sua presa di distanza. Nel 2019, durante un dibattito elettorale a Los Angeles, gli viene chiesto conto dei Papers, e del suo ruolo: «Come vicepresidente cosa sapeva del reale stato della guerra? Ritiene di essere stato onesto con gli americani?». E Biden: «La mia visione sull’Afghanistan è ben nota a tutti, il presidente mi mandò in Afghanistan prima ancora del giuramento e mi chiese di produrre un report. La mia conclusione fu che non c’era strategia possibile, e da allora mi sono scontrato a lungo con il Pentagono perché mi opponevo con fermezza all’idea di costruzione di una nazione che stavamo mettendo in atto. Ricostruire quella nazione è ben oltre le nostre possibilità».

Strategia di disimpegno

La prima cosa che avrebbe fatto da presidente, promise, era «assicurarmi che tutti i nostri soldati tornino a casa, e negoziare coi Talebani». Solo una cosa sarebbe stata da mantenere: forze antiterrorismo; quella strategia antiterrorismo vilipesa da McChrystal perché troppo minimalista. Due anni fa il Pew Research Center ha rilevato che persino la maggior parte dei veterani riteneva quella guerra inutile, e il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha i sondaggi dalla sua parte quando dice – come ha fatto domenica – che «Biden rifiuta di estendere una missione futile che non ha il sostegno della nostra gente». Per il presidente combatterla «non è nell’interesse nazionale». Ma oggi suonano più controverse le parole da lui pronunciate in campagna elettorale: quando gli fu chiesto se di fronte a una riconquista dei Talebani gli Usa non avrebbero avuto una qualche responsabilità per le sorti delle donne afghane, lui rispose: «Responsabilità? Io? Zero».

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