L’Africa democratica nel 2021 affronterà numerosi processi elettorali ma solo cinque sono da osservare da vicino. Tutti sanno già chi vincerà in Benin, Ciad e Congo Brazzaville che hanno candidati già in carica e molto forti, difficili da battere. Al contrario le consultazione previste in Libia, Etiopia, Uganda, Zambia e Gambia potrebbero riservare delle sorprese.

Elezioni con polemiche

Dal punto di vista elettorale il 2020 africano si è chiuso con la coda polemica delle elezioni di questo mese in Ghana, uno dei pochi paesi del continente che sembravano essersi avviati a una democrazia matura e senza traumi. Questa volta invece le polemiche si stanno trascinando e lo sfidante John Mahama non vuole riconoscere la vittoria dell’uscente Nana Akufo Addo. D’altra parte il recente ciclo elettorale si è svolto nel mezzo di forti proteste, violenze, arresti e minacce di crisi in numerosi paesi.

Le elezioni in Repubblica di Guinea (18 ottobre) e in Costa d’Avorio (31 ottobre) sono state avvelenate dalla questione del terzo mandato: nei due casi i presidenti in carica si sono ripresentati per la terza volta. Anche se in entrambi i paesi c’era stata una recente riforma costituzionale che legalmente ha rimesso i contatori a zero, tuttavia dal punto di vista politico-simbolico il terzo mandato è diventato ormai un tabù per molti cittadini.

Di conseguenza le opposizioni non hanno accettato l’escamotage e hanno dato avvio a forme diverse di contestazioni e boicottaggi interni.

Al contrario le elezioni del Burkina Faso (22 novembre) e in Tanzania (28 ottobre) si sono svolte senza particolari scosse e ci si aspetta che anche il voto presidenziale in Niger (27 dicembre) trascorra pacificamente.

Golpe in Mali

L’unica eccezione a questo trend tutto sommato democratico, è stato il colpo di stato d’agosto in Mali, riassorbito mediante una transizione in cui civili e militari stanno cooperando, sotto osservazione delle organizzazioni internazionali.

I golpe sono ormai una rarità in Africa (l’ultimo era stato un tentativo durato un giorno in Gabon nel gennaio 2019). Tuttavia ora la preoccupazione di molti osservatori è che anche in Africa stia prevalendo un modello di democrazia illiberale, mediante consultazioni pilotate e mancanza di agibilità politica per le opposizioni. Per questo osservare il comportamento elettorale del continente diviene rilevante.

Si spera che le elezioni del 2021 rappresentino un messaggio in senso inverso, con casi di vera alternanza.

L’incognita della Libia

Nel 2021 il voto più interessante per l’Italia è quello in Libia, a cui la Farnesina si sta attivamente preparando. Le parti libiche che hanno negoziato in Tunisia sotto l’egida delle Nazioni Unite, hanno convenuto di tenere l’appuntamento elettorale in dicembre. Manca quindi un anno e il cessate il fuoco è ancora precario, anche perché a trattare dalla parte orientale non è Bengasi del generale Haftar ma Tobruch, sede del parlamento rappresentato dal suo presidente Aguila Saleh Issa.

Haftar non è soddisfatto di un accordo che sostanzialmente lo sta escludendo ma per ora, anche grazie all’intervento militare turco, non ha la possibilità di ribellarsi e ripercorrere la strada dello scontro armato. Dopo il fallimento dell’ultima offensiva davanti a Tripoli, l’anziano generale aveva smesso di far parlare di sé. Poi però è riuscito a tornare fuori dall’isolamento, con la cattura e la liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo. Così ha ottenuto la visita del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri italiani. Dimostrando di essere ancora politicamente vivo.

Le elezioni a venire per ora rimangono un enigma: non è ancora chiaro quali forze politiche potranno parteciparvi e a quali condizioni. Le milizie dovranno trasformarsi in partiti oppure si sceglierà un sistema uninominale che avvantaggi i signori della guerra e i potenti locali? È interesse dell’Italia seguire tale evoluzione da vicino perché da essa dipende il futuro e la stabilità della Libia.

(AP Photo/Mulugeta Ayene)

L’Etiopia in guerra

L’altra elezione importante è quella etiopica. Non c’è ancora una data visto che la camera dei rappresentanti ha soltanto accettato la richiesta di rinvio presentata dal governo a causa del Covid-19. Normalmente il voto avrebbe dovuto aver luogo ad agosto ma ora con la guerra nessuno sa quando si terrà.

La consultazione è cruciale perché misurerà la popolarità del premier Abiy Ahmed e soprattutto della sua nuova formazione unitaria, il partito della prosperità. È probabile che il voto sarà indetto appena le condizioni del conflitto in Tigray permettano il suo svolgimento, ma non è da escludere che il Fronte popolare tigrino, ora in fuga, si riorganizzi e si faccia risentire proprio cercando di impedirne lo svolgimento.

In un paese geopoliticamente strategico e così vicino all’Italia, è necessario osservare tali movimenti con attenzione, incluse eventuali interferenze dall’esterno.

Un musicista all’opposizione

Yoweri Museveni leader del Movimento di resistenza nazionale (Nrm) e presidente dell’Uganda dal 1986, è uno dei più longevi politici africani in carica. Il voto di gennaio prossimo si presenta tuttavia come una competizione particolare dopo che nel 2016 il candidato dell’opposizione Kizza Besigye, del Forum per il cambiamento democratico, ha sfidato il vecchio leader come non era mai accaduto precedentemente, protestando anche per i risultati affermando di avere le prove di brogli.

A quell’epoca anche gli Stati Uniti e l’Unione europea accusarono l’Uganda di mancanza di trasparenza nel processo elettorale. In seguito vi furono molte proteste internazionali a causa dell’incarcerazione di numerosi dissidenti e oppositori. Oggi le possibilità dell’opposizione sembrano accresciute anche se forse non sarà abbastanza.

Il celebre musicista Robert ‘Bobi Wine’ Kyagulanyi guida l’opposizione con il suo National Unity Party, in alleanza con lo stesso Besigye. La notorietà internazionale dell’artista gli permette una libertà d’azione di cui altri non hanno goduto, come si può constatare ogni volta che viene arrestato facendo scattare proteste da ogni parte del mondo che mettono Museveni in cattiva luce. Tuttavia il presidente ha gestito bene la fase della pandemia e gli ugandesi sono rassicurati dagli sforzi che il governo ha fatto anche in termini di sussidi economici.

Inoltre in Uganda, come in tutta l’Africa d’altronde, la giovane età dello sfidante, 38 anni, non gioca a suo favore: i 34 anni di esperienza presidenziale del settantaseienne leader rappresentano, per la mentalità dell’opinione pubblica, una caratteristica rassicurante. Probabilmente Museveni vincerà ma resta da vedere con quanto margine.

Edgar Lungu (AP)

Dopo il default

In Zambia le elezioni presidenziali si svolgeranno nell’estate del 2021. La situazione del paese è divenuta precaria dopo il default tecnico di un mese fa, quando il paese ha dichiarato di non poter rimborsare la rata del servizio del debito sovrano.

Il crollo dei prezzi delle materie prime e l’insufficiente raccolta delle tasse sono alla base della crisi e oggi il debito si aggira attorno ai 12 miliardi di dollari, circa l’80 per cento del Pil. Quest’anno il Fondo monetario internazionale stima che l’economia perderà quasi il 5 per cento anche a causa delle conseguenze della pandemia. Il valore della moneta locale è precipitato del 30 per cento e l’inflazione ha raggiunto il 15 per cento. Per questo paese, che dipende quasi interamente dalla vendita di rame e altri minerali, lo stato dell’economia è dunque già ora il terreno della disputa politica tra il presidente uscente Edgar Lungu del fronte patriottico di tendenza socialdemocratica, e il consueto sfidante dell’opposizione, sono sei volte che ci prova, Hakainde Hichilema del partito unitario per lo sviluppo nazionale (liberale). Questa volta il vantaggio di Hichilema è di aver coalizzato dietro di lui molta parte del business zambiano, preoccupato per la tenuta del paese. Il punto è che la ristrutturazione del debito sovrano (incluso il negoziato con il fondo monetario) deve essere conclusa entro lo stesso mese delle elezioni (agosto 2021) e quindi accompagnerà tutta la campagna elettorale.

Nel 2016 il voto fu funestato da sommosse e lo stesso Hichilema, sconfitto di poco, era finito in prigione. Anche se Lungu ha maggiori possibilità, questa volta la crisi non esclude possibili colpi di scena.

Una giovane democrazia

Infine in Gambia le elezioni sono previste per la fine dell’anno. In questo caso l‘interesse viene dal processo di democratizzazione in corso che permise la fine dei 22 anni del regime autoritario di Yahia Jammeh. Anche se si era impegnato a non ripresentarsi, l’attuale capo dello stato Adama Barrow ha cambiato idea e corre per la sua rielezione. Ciò ha avuto un impatto impressionante sulla coalizione di sette partiti che ancora lo sostiene e potrebbe avere delle conseguenze. Per ora non è chiaro se si farà avanti qualcuno altro per sfidarlo.

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