L’ex amministratore delegato di Audi, Ruper Stadler, è stato condannato a 21 mesi con sospensione condizionale dal Tribunale di Monaco di Baviera con l’accusa di frode e negligenza. L’ex ad è stato ritenuto colpevole di non aver ritirato dal mercato le autovetture diesel Audi, anche dopo che la casa madre aveva, nel 2015, ammesso che milioni dei suoi veicoli possedevano un software progettato per mascherare l’eccesso di emissioni. Si tratta del primo dirigente di alto livello del gruppo Volkswagen – di cui fa parte anche Audi tra le altre case automobilistiche – a essere condannato a seguito dello scandalo Dieselgate scoppiato 8 anni fa.

Stadler, che era stato arrestato nel 2018 ed è sotto processo dal 2020, si era dichiarato colpevole il mese scorso per evitare la reclusione, ma il patteggiamento prevede anche il pagamento di una multa di 1,1 miliardi di dollari che andranno a organizzazioni non governative e allo stato.

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Insieme a Stadler altri tre membri del consiglio d’amministrazione di Volkswagen sono sotto processo: Wolfgang Hatz, che ha confessato come l’ex ad di Audi, e due dirigenti di rango inferiore, Oliver Schmidt e James Liang, che hanno invece scontato pene detentive pluriennali dopo essere stati arrestati negli Stati Uniti ed essersi dichiarati colpevoli. 

Il Dieselgate

Lo scandalo è scoppiato a settembre 2015 quando l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente Epa ha notificato alla multinazionale tedesca Volkswagen un avviso di violazione del “Clean Air Act”, la legislazione statunitense sulla qualità dell’aria. Secondo l’agenzia la casa automobilistica tedesca aveva progettato auto diesel equipaggiate con un software che aveva il compito di attivare i sistemi di controllo delle emissioni, riducendole,  soltanto durante i test di controllo. In questo modo le emissioni rientravano nei limiti previsti dalla legge ma le prestazioni delle auto erano migliori di altre effettivamente in regola. 

Nell’aprile 2016, Volkswagen annunciò la propria intenzione di destinare 16,2 miliardi di euro per rimediare allo scandalo. Inoltre nel 2017 Volkswagen si dichiarò colpevole per le accuse penali e a una dichiarazione dei fatti che illustra come la direzione della compagnia abbia richiesto agli ingegneri di sviluppare i software fraudolenti, poiché i propri modelli diesel non avrebbero superato i test di emissioni statunitensi senza di essi. In tutto lo scandalo è costato alla casa tedesca oltre 30miliardi di euro.

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I veicoli interessati, difatti, durante l’uso normale fuori dai test di laboratorio producevano emissioni di ossido d’azoto (NOx) fino a 40 volte superiori rispetto ai valore registrati nei test. I motori diesel emettono un numero inferiore di anidride carbonica rispetto ai motori a benzina, ma emettono fino a 20 volte di più di NOx se non vengono applicati degli accorgimenti.

Dal momento che l’ossido di azoto è considerato un inquinante atmosferico dannoso, le autorità di regolamentazioni statunitense ed europee – i due paesi in cui la maggior parte delle auto incriminate è stata venduta – hanno implementato standard di emissione di NOx sempre più stringenti sin dai primi anni 2000.

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