Disney ora riabilita Kimmel. Ma i distributori si ribellano

Molto probabilmente non sono state le proteste di Hollywood e le grida dell’establishment democratico a convincere Disney a ripristinare lo show di Jimmy Kimmel sulla Abc, dopo la sospensione in seguito alle sue contestate dichiarazioni live su Charlie Kirk. Forse è stato Ted Cruz. Quella del senatore repubblicano è stata la voce della destra che con più convinzione ha condannato la decisione, soprattutto per le circostanze paramafiose nel quale è maturata. Il capo della Federal Communications Commission, Brendan Carr, aveva minacciato pubblicamente Disney, dicendo, nel dialogo con un podcaster di destra, che la questione si sarebbe potuta risolvere «con le buone o con le cattive». Cruz, parlando attraverso il suo podcast settimanale, si è scagliato contro una decisione «pericolosa» portata avanti coi modi della criminalità organizzata: «Se il governo si mette a dire “non ci piace quello che voi media dite vi mettiamo fuori dalle frequenze, la cosa finirà male per i conservatori». La presa di posizione forte di un senatore repubblicano di grande esperienza e specchiata fedeltà trumpiana ha permesso anche ad altri nel mondo della destra di esprimersi contro la manovra censoria. Una reazione che ha reso più complicato per Disney mantenere la sospensione: non era più soltanto una controversia tra la Hollywood liberal e un comico sopra le righe, ma un caso che rischiava di incrinare equilibri politici e regolatori. Abc ha scelto il ripristino immediato di Jimmy Kimmel Live! dopo «conversazioni approfondite» con la casa madre Disney. In una nota, il network ha ribadito l’impegno a garantire la libertà creativa dei propri talenti e a «servire al meglio il pubblico rispettando il pluralismo delle opinioni». Attaccare, censurare, intimidire. Così Trump usa l’omicidio Kirk È una marcia indietro rispetto alla sospensione lampo, ma anche il tentativo di evitare che il caso si trasformi in un precedente pericoloso nel rapporto fra politica, regolazione e satira televisiva. C’è però un altro livello su cui si gioca davvero la vicenda: la distribuzione locale delle licenze. Negli Stati Uniti, tra il contenuto prodotto a Los Angeles e il salotto degli spettatori esiste una filiera di accordi (affiliazioni, diritti di ritrasmissione, finestre di palinsesto) che passa per gli operatori regionali. È qui che entrano in scena Sinclair e Nexstar, i maggiore gestori di stazioni affiliate nei mercati locali, i quali hanno ribadito che non trasmetteranno lo show, nonostante la decisione di Disney. Significa che il 20 per cento degli americani non lo potranno comunque vedere. I due colossi delle telecomunicazioni sono di fatto rimasti fedeli alla posizione assunta: prima che Dinsey decidesse di sospendere il programma avevano comunicato che non lo avrebbero mandato in onda. Senza la rete capillare dei distributori, la decisione del ripristino si attenua. La scelta di Sinclair e Nexstar è insieme politica e commerciale: nei mercati a forte presenza repubblicana, continuare a ospitare Kimmel dopo le battute su Kirk significherebbe alienarsi una parte di pubblico e alimentare polemiche permanenti. Su Nexstar, invece, pende un’approvazione della Fcc per acquistare il competitor Tegna per 6,2 miliardi di dollari. La vicenda illumina così un paradosso della comunicazione nell’America polarizzata: il dibattito si concentra sulle decisioni dei vertici, ma la governance effettiva della circolazione dei contenuti è spesso nelle mani di attori meno visibili che operano mercato per mercato. Ed è in questa intercapedine — tra la libertà editoriale rivendicata dai grandi gruppi e la selezione territoriale dei distributori — che la politica esercita il suo potere. Il caso Kimmel, i manipolatori della rabbia e la negazione del dissenso