Nel mezzo di una campagna elettorale comprensibilmente tutta concentrata su economia, energia, fisco, lavoro, sicurezza interna e migrazioni, può essere utile ricordare l’azione del governo uscente sul fronte della politica estera e della collocazione internazionale del paese. Potrebbe servire anche per trarne qualche indicazione sulle sfide con cui dovrà confrontarsi il governo che guiderà il paese dopo le elezioni del 25 settembre.

Pandemia e ripresa

Il governo Draghi si era insediato agli inizi di febbraio 2021, sostenuto da un’inedita e ampia maggioranza, quasi di “unità nazionale”, testimonianza della straordinarietà della congiuntura che stava attraversando il paese tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, con due compiti prioritari: il contrasto del Covid-19, con un efficace piano di vaccinazioni, e la necessità di stimolare una ripresa dell’economia nella fase del dopo-emergenza pandemica, sfruttando le risorse del Next Generation Eu.

Sul fronte del contrasto della pandemia il governo ha sicuramente ottenuto risultati significativi. Ma il vero banco di prova è stato l’elaborazione e l’approvazione di un Piano nazionale di ricostruzione e resilienza, coerente con le priorità definite in sede europea (transizione energetica e digitale e inclusione sociale), e in linea con le condizioni previste dalla Commissione europea. Di fatto per il governo una sfida duplice, dato che sul fronte interno si trattava di definire un programma organico di sostegno all’economia e alla modernizzazione del paese; e nel rapporto con la Ue si trattava di dimostrare credibilità e affidabilità dell’Italia.

Su entrambi i fronti il governo ha colto nel segno. Nel definire infatti gli investimenti e le riforme in cui si articola il Pnrr, e successivamente con le prime misure di attuazione, ha dimostrato di essere pienamente consapevole che sulla riuscita del Piano si gioca il futuro del paese, ma anche che il successo del Pnrr italiano sarà decisivo per la credibilità dell’Italia in Europa, ma anche decisivo nel determinare il successo del Ngeu a livello europeo, anche nella prospettiva di una sua eventuale replica.

Strategia europea

Sul fronte internazionale l’azione del governo Draghi è stata scandita dalla drammatica soluzione di continuità nello scenario internazionale determinata dall’invasione russa dell’Ucraina. Per cui sembrerebbe corretto nella valutazione sull’azione internazionale del governo individuare due fasi: prima e dopo il 24 febbraio 2022.

Fin dall’inizio del suo mandato, il governo Draghi aveva confermato la tradizionale collocazione dell’Italia a sostegno dell’Unione europea e dell’Alleanza atlantica, aveva rafforzato l’intesa con l’amministrazione americana, e si era impegnato, soprattutto nel 2021, per un rilancio del multilateralismo. Draghi in particolare ha operato nella convinzione che l’Italia dovesse recuperare un ruolo da protagonista nella Ue e un solido rapporto con la Francia (confermato dalla firma del Trattato del Quirinale) e la Germania, gli alleati naturali dell’Italia.

In coerenza con questa scelta, Draghi e il suo governo si sono mossi in Europa in maniera autorevole ed efficace, contribuendo a definire la strategia dell’Ue sui dossier più significativi.

Sul contrasto del cambiamento climatico e sulla transizione energetica, il governo aveva confermato il proprio impegno per misure in grado di consentire il raggiungimento degli obiettivi definiti in sede europea, anche se oggi questi obiettivi appaiono rimessi in discussione dalla crisi energetica.

Sempre in coerenza con gli obiettivi definiti in sede europea, il governo si era impegnato a realizzare una più diffusa digitalizzazione del paese in linea con l’obiettivo europeo di una più compiuta sovranità europea sul digitale e sulle tecnologie di punta. Si era schierato senza indugi dalla parte delle istituzioni europee sul tema della difesa dello stato di diritto e del primato del diritto europeo sugli ordinamenti nazionali. Aveva confermato la determinazione a rafforzare la politica estera comune della Ue e a sviluppare una difesa europea e l’obiettivo di una autonomia strategica della Ue.

Politiche migratorie

Minori risultati il governo ha invece ottenuto dall’Unione sul fronte delle politiche migratorie, a causa delle persistenti riserve di molti paesi dell’Ue sull’idea di rendere operativo il principio di solidarietà sulla gestione dei flussi migratori. E malgrado l’impegno del governo italiano, la stessa straordinaria solidarietà spontaneamente manifestata dai paesi europei nei confronti degli ucraini in fuga dal loro paese aggredito dalla Russia, e concretizzatasi tra l’altro con l’inedita decisione di riconoscere ai profughi ucraini l’istituto della protezione temporanea (di fatto un riconoscimento “pro tempore” dello status di rifugiato politico), non sembra destinata a essere replicata nei confronti di altri migranti diretti in Europa.

La presidenza del G20

Nel 2021, Draghi, e tutto il governo, avevano anche riscosso un discreto successo con la gestione della presidenza italiana del G20, malgrado un difficile contesto internazionale, le incertezze sull’evoluzione della pandemia, le crescenti tensioni fra Usa e Cina e il complicato rapporto con la Russia e la Turchia. In questa partita, l’Italia ha potuto contare sul ritorno sulla scena mondiale di una amministrazione Usa più disponibile alla concertazione con gli alleati europei, più favorevole al multilateralismo e alla cooperazione internazionale.

Grazie anche al rapporto personale di Draghi con Biden, il governo ha potuto valorizzare importanti convergenze con l’alleato americano sia sulle prospettive delle relazioni bilaterali che sui grandi temi dell’attualità internazionale. Il governo infine aveva scelto con coerenza di schierarsi senza ambiguità dalla parte dei nostri tradizionali alleati occidentali nella competizione globale con la Cina e nel talora duro confronto con la Russia, ma evitando di usare toni polemici o antagonizzanti nei confronti di questi due paesi.

Il fronte Mediterraneo

Nel Mediterraneo allargato, l’azione del governo è proseguita su una linea di  continuità rispetto a quella dei governi precedenti, ispirata dall’obiettivo di garantire condizioni di stabilità, sicurezza e rapporti di cooperazione  economica in una regione essenziale per gli interessi italiani. Ma anche condizionata dalla consapevolezza dei limiti dei mezzi a disposizione di una media potenza come l’Italia, in una partita che ha visto contemporaneamente un progressivo disimpegno degli Usa, un crescente protagonismo di Russia, Turchia e delle monarchie arabe del Golfo, e una sostanziale paralisi dell’Unione.

In sintesi, la complessità delle varie crisi nella regione non ha consentito al governo di raggiungere risultati coerenti con le aspettative, anche perché inevitabilmente, soprattutto nel 2022, l’attenzione prioritaria si è spostata sulla crisi innescata dall’aggressione russa all’Ucraina e sulle tensioni nel rapporto con Mosca.

Il sostegno all’Ucraina

È comunque sul conflitto in Ucraina che il governo presieduto da Draghi ha dato la prova migliore, dimostrando di sapere scegliere da che parte stare senza incertezze o ripensamenti, malgrado evidenti tensioni all’interno della composita maggioranza che lo sosteneva in parlamento. In piena coerenza con gli impegni assunti in sede Ue e Nato, ha scelto di condannare senza indugi l’aggressione russa dell’Ucraina, denunciando in svariate occasioni la decisione di Putin come una inaccettabile violazione di norme e principi del diritto internazionale, ha deciso di fornire all’Ucraina piena solidarietà politica, ma anche assistenza economica, finanziaria e umanitaria, oltre ad armi ed equipaggiamenti militari.

Ha contribuito in maniera determinante a definire la linea dell’Ue sulla guerra in Ucraina, ha aderito all’adozione e all’esecuzione delle sanzioni contro la Russia (anche quando potevano apparire in contrasto con interessi italiani), all’assistenza economica e finanziaria, e alle forniture di armi all’Ucraina. Si è impegnato a ridurre la dipendenza dalle forniture russe di greggio e gas, e ha avviato tempestivamente un piano di diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas. E ha inoltre affrontato la sfida della crisi dei prezzi dell’energia sviluppatasi nel 2022, cercando di coinvolgere i partner europei (non sempre con successo, come ad esempio per la richiesta di un tetto al prezzo del gas), su una linea di maggiore solidarietà intra-europea di fronte a un fenomeno che rischia di produrre impatti molto significativi sull’economia italiana.

E anche se minor successo hanno avuto i tentativi di Draghi di avviare, in più di un’occasione, una qualche interlocuzione con Putin con l’obiettivo di ricercare una soluzione politica del conflitto, si può ritenere che sulla guerra in Ucraina il governo italiano, pur senza indulgere a eccessivi protagonismi, si è mosso con linearità e fermezza, in piena coerenza con la scelta di collocare l’Italia saldamente dalla parte dell’occidente e dei suoi valori, e con gli impegni assunti in sede Nato e Ue. E tutto questo in un contesto in cui queste scelte non erano da assumere come scontate, se si considerano le pulsioni di almeno due delle forze politiche che sostenevano il governo in parlamento.

Difficile eredità 

In conclusione, chi assumerà la responsabilità di governare il paese dopo l’esperienza dell’esecutivo presieduto da Mario Draghi dovrà confrontarsi con una difficile eredità di credibilità e autorevolezza. Non sarà un compito facile dati il contesto economico e il quadro internazionale.

C’è da augurarsi che, se non proprio l’agenda, almeno il metodo Draghi continui a ispirare anche il prossimo esecutivo. Anche perché, se in questa campagna elettorale sovranismo, nazionalismo e protezionismo sembrano aver perso quella capacità di attrazione che aveva caratterizzato la campagna del 2018, non va dimenticato che questi richiami hanno contraddistinto la cultura politica dei partiti che potrebbero governare l’Italia fra qualche settimana. 

Chiarezza sulle priorità per il paese in materia di collocazione internazionale e scelte corrette in materia di alleanze saranno invece essenziali per rassicurare i nostri partner e i mercati internazionali che stanno guardando con alcune preoccupazioni all’esito delle elezioni del 25 settembre.

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