Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, è questa settimana dedicato al bilancio della politica estera di Mario Draghi. A pochi giorni da elezioni cruciali, ricordare l’azione del governo uscente può dare indicazioni utili sulle sfide con cui dovrà confrontarsi l’esecutivo che guiderà il paese dopo il 25 settembre. In venti pagine, gli approfondimenti inediti firmati da Giampiero Massolo, Arturo Varvelli, Lorena Stella Martini e tanti altri – e le mappe a cura di Luca Mazzali, Bernardo Mannucci e Daniele Dapiaggi di Fase2studio Appears – analizzano l’eredità che il governo Draghi lascia sul fronte internazionale.

COSA C’È NEL NUOVO NUMERO

Il diplomatico Giampiero Massolo precisa come l’emergenza energetica, la minaccia russa e i concreti rischi di recessione abbiano in questi mesi posto l’Italia di fronte a numerose sfide. In questo contesto l’ex banchiere centrale ha sottolineato la centralità del rapporto transatlantico ma senza trascurare gli interessi nazionali: l’obiettivo è stato quello di accrescere la consapevolezza collettiva su come la tutela e la promozione dei temi rilevanti per l’Italia, in Europa come nel mondo, siano oggi più che mai irrinunciabili.

Anche secondo il politologo Germano Dottori, nessuno più del premier uscente incarna in Italia la continuità con le scelte fondanti della politica estera repubblicana in favore dell’integrazione comunitaria e dell’atlantismo. Draghi ha posizionato senza esitazioni l’Italia fra le potenze che contrastano la Russia, avendo chiare le conseguenze della decisione. Dopo il 25 settembre, qualsiasi coalizione che non sia cementata da un atlantismo certo e da un europeismo solido sarà intrinsecamente fragile.

Il diplomatico Ferdinando Nelli Feroci prosegue spiegando come scelte corrette in materia di alleanze saranno essenziali per rassicurare i nostri partner e i mercati internazionali, auspicando che, se non proprio l’agenda, almeno il “metodo Draghi” possa continuare a ispirare anche il prossimo esecutivo.

I due analisti dello European council on foreign relations (Ecfr) Arturo Varvelli e Lorena Stella Martini spostano poi lo sguardo verso sud, evidenziando come il conflitto in Ucraina abbia in parte derubricato il tradizionale impegno del governo in nord Africa. Ma per portare avanti una visione coerente in una regione così centrale per l’Italia, sostengono, occorre essere presenti nell’area senza intermittenze.

Secondo il ricercatore Matteo Mazziotti di Celso, è tempo di riformare la politica di difesa italiana: l’esecutivo guidato da Draghi ha aumentato gli investimenti negli scenari fondamentali per l’Italia, ma l’efficacia del nostro apparato militare è pregiudicata da problemi cronici che richiedono interventi radicali. Si tratta della questione del personale, troppo anziano, della sproporzione dei fondi, troppo sbilanciati verso la componente stipendiale, a scapito dell’addestramento, e di un impiego dello strumento militare spesso troppo sbilanciato verso la dimensione domestica.

Luca Sebastiani offre poi una cronistoria della proiezione internazionale di Draghi: nei suoi 523 giorni alla guida del governo, il premier ha gestito il negoziato con l’Unione europea sul Pnrr, ha posizionato Roma in prima linea al fianco di Kiev dopo l’invasione e ha cercato partnership energetiche alternative per ridurre la dipendenza dalla Russia. Ma ha anche definito apertamente Erdogan un “dittatore” e ha esercitato il “golden power” nei confronti di Pechino, impedendo i tentativi di acquisizione cinese di aziende strategiche italiane.

Segue poi un estratto tratto dal libro del generale dell’esercito Claudio Graziano, intitolato Missione. Dalla Guerra fredda alla difesa europea, pubblicato da Luiss University Press (2022), nel quale vengono analizzati i passi in avanti e gli ostacoli nel cammino verso una difesa comune europea. L’Unione europea ha infatti avviato a partire dal 2016 un percorso condiviso con l’ambizione di diventare «fornitore globale di sicurezza», ma per garantire un sistema efficiente occorre superare la frammentazione della spesa a livello continentale e aumentare il coordinamento tra i 27 stati. Solo rendendo strutturali alcune iniziative l’Unione sarà in grado di appropriarsi di una capacità di difesa autorevole e credibile. 

L’analista Federico Borsari si sofferma inoltre sulla recente controffensiva ucraina avvenuta nella regione di Kharkiv, che ha visto le forze armate di Kiev lanciare un’operazione militare improvvisa che ha liberato i territori occupati dai russi. Tra i motivi del successo ci sono il rapido coordinamento tra le unità, una pianificazione efficiente e l’uso di tecnologie fornite dall’occidente: questo dimostra che con la solidarietà europea e occidentale – anche a costo di alcuni sacrifici comuni – l’Ucraina può vincere questa sfida esistenziale e restare democratica e sovrana.

Infine, l’analista Francesco Stuffer fa luce sul destino dell’Asia centrale, le cui sorti sono legate all’esito della guerra di Putin: la regione storicamente sotto influenza russa patisce da tempo l’intrusione di Pechino ed è stata ulteriormente destabilizzata dal ritiro americano dall’Afghanistan e dal conflitto in Ucraina. Il Kazakistan è intenzionato a trarre profitto dalla perdita di potenza di Mosca, ma deve fare i conti con le croniche conflittualità che persistono dalla caduta dell’Urss.

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