Si celebra il 30 luglio la Giornata mondiale contro la tratta di persone. Giunto al suo decennale, l’appuntamento stabilito nel 2013 dalle Nazione unite, per sensibilizzare la comunità internazionale sulla situazione delle vittime e promuovere la difesa dei loro diritti, ha sicuramente contribuito ad aumentare consapevolezza nel mondo e favorire misure legislative e politiche di contrasto.

Ma, anno dopo anno, la conta delle vittime (che per altro è in estremo difetto, visto che il fenomeno è difficile da quantificare) e il fatturato criminale continuano a essere spaventosamente alti. 

Le vittime rilevate sarebbero oltre 25 milioni, di cui almeno un terzo bambini. Secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro (Oil), il traffico di esseri umani vale più di 150 miliardi di dollari all’anno, di cui oltre 50 provengono dallo sfruttamento del lavoro. C’è poi un rapporto Unicef 2020 secondo cui un bambino su dieci nel mondo è impiegato in un lavoro di sfruttamento. Nel frattempo si moltiplicano e rinnovano le forme e le modalità di schiavitù.

Nessuno indietro

Il tema di questa edizione è “Raggiungere ogni vittima della tratta, non lasciare nessuno indietro” e tradisce un certo allarme delle Nazioni unite e degli organismi che si occupano del fenomeno riguardo alcuni arretramenti. A livello globale, infatti, come recita il Rapporto annuale dell’Unodc (l’ufficio dell’Onu di contrasto a droghe e crimini) le risposte nazionali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sembrano deteriorarsi.

I tassi di individuazione sono diminuiti dell’11 per cento nel 2020 e le condanne sono crollate del 27 per cento, a dimostrazione di un rallentamento a livello mondiale della risposta della giustizia penale alla tratta. Il Covid-19 poi ha modificato le caratteristiche della tratta per il crollo del mercato del lavoro, spingendola sempre più nella clandestinità e rendendo meno probabile che il reato venga portato all’attenzione delle autorità.

«Il fatto che il 41 per cento delle vittime che riescono a sfuggire al loro calvario si rivolge alle autorità di propria iniziativa – spiega il rapporto – è un altro chiaro segno che le risposte anti tratta sono insufficienti».

Il lavoro è divenuto il campo sempre più preferito dai trafficanti: la tratta a scopo di lavoro forzato nel 2020 è stata pari a quella a scopo di sfruttamento sessuale, con poco meno del 40 per cento ciascuno.

Talitha Kum

Una delle realtà più impegnate internazionalmente sul tema della tratta, che vanta successi sia nel campo della lobby politica sia in quello della protezione e della riabilitazione delle vittime, è Talitha Kum, la rete globale di suore, fondata nel 2009 dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg).

In occasione della Giornata ha diffuso un report sulle proprie attività che mostra una significativa crescita quantitativa e qualitativa nelle aree della prevenzione, della cura delle vittime, nell’accesso alla giustizia e nel networking.

Talitha Kum nel 2022, tra vittime e sopravvissuti, coinvolti in azione di prevenzione e di networking, formazione e capacity-building, ha raggiunto 560.606 persone in tutto il mondo: un aumento del 40 per cento rispetto al 2021.

Un aspetto interessante delle attività di Talitha Kum è la sua forte collaborazione con altre religioni, un elemento che ha permesso alle suore di radicarsi anche in culture diverse dalle proprie sia a livello locale, regionale sia internazionale, in particolare in Asia, Africa e Oceania.

Contro l’ingiustizia

«Mi occupo di tratta da ormai oltre vent’anni», dice suor Abby Avelino, coordinatrice internazionale di Talitha Kum. «Il fenomeno si è esteso e molto diversificato. Ora è molto legato ai movimenti forzati delle persone che fuggono con sempre maggiore frequenza da conflitti, povertà, diseguaglianze socioeconomiche e cambiamenti climatici».

«Le forme di schiavitù si rinnovano e c’è ora molta preoccupazione per lo sfruttamento delle persone online», spiega. «Stiamo registrando poi forme di sfruttamento che riguardano persone formate ed erudite che per disperazione accettano ogni forma di lavoro senza diritti. La nostra forza è la rete, presente in 97 paesi, che va da un piccolo convento di suore in un remoto villaggio fino all’Europa o all’America».

«Innanzitutto lavoriamo sulla prevenzione attraverso la consapevolezza, con campagne di sensibilizzazione nelle scuole, perché le bambine e i bambini sappiano i rischi che si corrono. Poi siamo molto attive nella cura e nella protezione dei sopravvissuti».

«Infine, una parte importantissima del nostro lavoro è quello di lobby politica: entriamo in contatto con i governi locali e internazionali e solleviamo dibattito, coscienza e chiediamo (e ottengono in svariati casi, ndr) leggi e azioni concrete per la giustizia».

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