Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.


Altro collaboratore catanese di spicco, Francesco Pattarino, figlio del boss Francesco Mangion, nell’interrogatorio reso alla Procura della Repubblica di Palermo il 4 febbraio 1998, ha confermato sia la riunione di Enna della fine del 1991, sia l’interesse della famiglia catanese per la prospettiva separatista:

A D R. Dopo le stragi all’interno delle carceri le lamentele più frequenti riguardavano il fatto che chi era rimasto fuori non sfruttava a sufficienza gli strumenti a nostra disposizione per colpire i collaboratori di giustizia. In quest’ambito si inserì il discorso che mi fece il Cilona in particolare sulla circostanza che aveva messo “nelle mani” di chi era fuori alcune sue importanti amicizie, tra cui quella di Dell’Utri Marcello.

Sempre in carcere ricordo che una volta Natale Di Raimondo (responsabile della zona di Monte Po’ e vicino ad Ercolano) - di fronte alla situazione politica venutasi a creare - disse testualmente che sarebbe stato il caso di far separare la Sicilia dal resto d’Italia. Il Cilona, che era presente alla discussione, disse che era d’accordo e che su questa strada “si poteva ottenere tanto”.

Il Cilona del resto diceva che “il politico lo dovevamo creare noi”, così come del resto sosteneva lo stesso Ercolano Aldo.

Quella separatista era solo una delle ipotesi che si facevano all’interno di cosa nostra catanese nel 1992 - 1993. Infatti, si discuteva anche di far pesare la forza economica di cosa nostra nel catanese provocando la chiusura di tutte le attività a noi in qualche modo riferibili e creando malcontento nel confronto dello stato nella popolazione. Tutte queste possibilità vennero vagliate da Aldo Ercolano con “i palermitani” con cui l’associazione catanese aveva anche a mezzo di Eugenio Galea contatti frequenti. Una riunione cui partecipai io stesso avvenne nei pressi di Belpasso in una tenuta nella cui vicinanza passava la latitanza il Pulvirenti (detto “il malpassotu”).

Alla riunione partecipava cosa nostra di Palermo e di Messina (non ricordo chi fosse presente per Palermo, mentre per Messina era presente Sparacio Luigi) e di Catania (erano presenti il Pulvirenti, mio padre, mio zio Pippo Mangion e mio cognato Aldo Ercolano).In quell’occasione Ercolano propose che per le strategie estorsive e per con tatti con i politici cosa nostra divenisse “ una voce sola” in modo tale da ottenere risultati importanti con il minimo dispendio di energie e di mezzi, nonché in modo tale da fare apparire più forte l’organizzazione.

A D R. Sono in effetti a conoscenza di riunioni di mafia svoltesi tra il 1991 e i primi del 1992 fra la provincia di Enna e di Caltanissetta. Ricordo in particolare di avere appreso sia da mio padre che da Aldo Ercolano sia da Nello Nardo che gli stessi si erano recati in quel periodo a più riunioni svoltesi in quel la zona cui avevano preso parte anche i massimi rappresentanti delle altre famiglie mafiose della Sicilia.

Il Nardo, in particolare, mi disse di essere meravigliato del fatto che tanti capi mafia si riunissero tutti insieme in uno stesso luogo, così rischiando di incappare in una retata per noi estremamente dannosa qualora qualcuno ne avesse informato le forze dell’ordine. Ricordo che, in una di queste riunioni, la permanenza dei mafiosi nelle località sopraddette si protrasse per circa quattro giorni.

Debbo però dire che non ho mai saputo quale sia stato l’oggetto di quelle riunioni. Dichiarazioni, queste, che appaiono in perfetta sintonia con le rivelazioni di Leonardo Messina.

Ancor più significative sono le dichiarazioni di Maurizio Avola, il quale fin dall’interrogatorio alla Procura di Catania del 17 marzo 1994, ha riferito di una riunione “strategica” di Cosa Nostra svoltasi nel settembre ‘92, al ritorno dalla quale Eugenio Galea, all’epoca vice-rappresentante provinciale, riferì ad Aldo Ercolano due cose: Riina “intendeva attaccare lo Stato” (“bombe per colpire obiettivi dello Stato”, bombe su strade ferrate e tralicci ENEL anche per colpire camion di militari e traghetti sullo Stretto di Messina) e che “voleva creare un nuovo partito politico nel quale inserire uomini di Cosa Nostra incensurati, che avrebbero così potuto curare direttamente gli interessi di Cosa Nostra”.

Nell’interrogatorio reso il 24 marzo 1995 alla Procura della Repubblica di Caltanissetta, Avola ha dichiarato: “...perché potesse affermarsi il nuovo partito era necessario che si instaurasse un clima di attacco allo Stato. Ad attaccare lo Stato era stata delegata Cosa Nostra già dall’inizio del 1992. ...Si trattava in definitiva di una strategia della tensione e del terrore che Cosa Nostra avrebbe dovuto portare avanti colpendo anche obiettivi che non rientravano tra i tradizionali obiettivi della mafia e per i quali, sulle prime, sarebbe sembrato difficile individuare un risultato positivo per Cosa Nostra. Questo risultato positivo sarebbe certamente venuto però in un secondo momento quando con questa strategia il vecchio sistema avrebbe avuto la spallata definitiva perché il popolo esasperato sarebbe stato propenso ad appoggiare gli uomini che sarebbero scesi tempestivamente in campo, sbandierando a parole programmi di rinnovamento e di rigore.

Con questi uomini nuovi evidentemente dovevano essere intercorsi già accordi che garanti vano per il futuro una legislazione favorevole a Cosa Nostra. Quanto agli obiettivi da colpire, si trattava, come ho detto, di azioni di tipo terroristico anche tradizionalmente estranee al modo di operare e alle finalità di Cosa Nostra. Queste azioni secondo una prassi che era in atto già da tempo dovevano essere rivendicate con la sigla Falange Armata”.

Scendendo ancor più nello specifico, Avola, nell’interrogatorio reso alla Procura di Palermo il 12 settembre 1996, ha precisato che della nuova strategia politico eversiva di Cosa Nostra aveva già avuto notizia nel 1990 e che egli aveva saputo anche di un certo interesse verso un’ipotesi di separatismo: Preciso al riguardo che, come ho in precedenza riferito, avevo già notizia della strategia stragista dei corleonesi, che aveva come obiettivo ultimo quello di dare una “spallata” al vecchio sistema politico e creare le condizioni idonee perché si affermasse quella nascente forza politica, di cui Galea aveva appreso nel corso di quella riunione. Infatti, fin dagli inizi del 1990 avevo appreso da Marcello D’Agata e da Aldo Ercolano, rispettivamente consigliere e vice rappresentante della famiglia di Catania, che i corleonesi avevano in progetto attentati per “colpire lo Stato” .

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La ragione per la quale “Cosa Nostra” aveva in animo di compiere attentati contro obiettivi indiscriminati era quella di determinare una situazione di instabilità delle istituzioni statali e di reazione popolare contro lo Stato non in grado di assicurare l’ordine e la sicurezza pubblica. Tutto ciò avrebbe favorito un nuovo ”patto” fra Cosa Nostra e i suoi nuovi referenti politici: da una parte, sarebbero stati eliminati politicamente i vecchi “punti di riferimento” che non garantivano più Cosa Nostra; dall’altra parte, si sarebbe agevolata l’affermazione dei nuovi “referenti”.

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I corleonesi erano certi che, tramite questo movimento politico, Cosa Nostra avrebbe ricavato degli importanti benefici, compresa la modifica delle leggi antimafia in modo favorevole a Cosa Nostra stessa. Nei discorsi successivi alle stragi del ‘92 si faceva soprattutto riferimento alla necessità che venisse abolito il 41-bis e venisse rivista la leg ge sui collaboratori di giustizia.

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A.D.R. Ho anche appreso che Cosa Nostra fin dal ‘90 aveva intenzione di eseguire attentati anche fuori della Sicilia celandosi dietro false rivendicazioni con la sigla “Falange Armata”. …………………..

A.D.R. Poiché la S.V. mi chiede se io sia a conoscenza di interessi di Cosa Nostra verso movimenti politici separatisti o comunque aventi come obiettivo l’indipendenza della Sicilia dal resto di Italia, posso riferire soltanto un accenno che mi fece Marcello D’Agata intorno al 1991. Il D’Agata mi disse: “noi non abbiamo bisogno dell’Italia, la Sicilia potrebbe re stare benissimo indipendente”.

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