Epstein files, Trump punta sugli omissis. Vietato divulgare il «materiale segreto»

Sempre alla ricerca di distrazioni dal caso Epstein, che ha spaccato la base repubblicana, Donald Trump si è dedicato alle minacce a sei membri democratici del Congresso, colpevoli di «comportamenti sediziosi» che sono «punibili con la morte»: così ha scritto su Truth. Sono commenti a un video che i senatori e veterani Elissa Slotkin e Mark Kelly, assieme ai deputati Jason Crow, Chris Deluzio, Chrissy Houlahan e Maggie Goodlander hanno postato sui social, invitando i membri dell’esercito della comunità d’intelligence a non eseguire ordini contrari alla legge. «Traditori!», ha scritto in maiuscolo il tycoon, invocando la detenzione o la pena di morte. Non si era mai spinto fino a questo punto, segno che la tensione alla Casa Bianca è altissima. E i file di Epstein sono sempre al centro della scena. La legge sulla pubblicazione dei documenti, firmata mercoledì sera, è una svolta piena di trappole. La norma contiene una serie di eccezioni che offrono all’amministrazione ampi spazi per trattenere, oscurare o manipolare la mole di materiale finora non divulgato. Si tratta delle stesse scappatoie che, in passato, hanno permesso alla procuratrice generale, Pam Bondi, di trattenere una parte rilevante dei fascicoli, provocando la delusione di chi chiedeva trasparenza totale sulla rete di Epstein. Gli insulti di Trump alle croniste: in gioco c’è la democrazia Omissis in vista La legge consente alla Casa Bianca di non pubblicare documenti che identifichino le vittime, che contengano immagini di abusi sessuali su minori, che siano classificati o che riguardino indagini ancora in corso. Il dipartimento di Giustizia ha già sostenuto che una parte consistente dei materiali finora bloccati rientra in queste categorie: fotografie delle vittime, video illegali scaricati online, documenti coperti da segreto giudiziario. Il salto di qualità dello scandalo Epstein: per Trump è l’inizio dell’ignoto Senza un controllo esterno, sarà impossibile valutare quanto la selezione sarà dettata dalle esigenze di protezione o dalla convenienza politica. In un post lungo e particolarmente confuso Trump si è ancora una volta intestato il merito di aver fatto approvare una legge che ha a lungo osteggiato, evidentemente perché teme che dai file possa emergere materiale compromettente. Per trasformare un problema in un’opportunità, la scorsa settimana il presidente ha chiesto al dipartimento di Giustizia di aprire un’indagine sui democratici citati in alcune email già pubblicate. Bondi ha annunciato di avere già avviato i primi passi in questa direzione. L’apertura di una nuova indagine crea una circostanza perfetta per bloccare altri documenti: il dipartimento potrà facilmente appellarsi all’indagine appena avviata per giustificare le sue scelte su cosa pubblicare e cosa no. «Quiet, piggy»: quando il potere maschile usa il linguaggio per far tacere le donne L’amministrazione ovviamente non ha specificato quali sono i confini dell’indagine, limitandosi a ribadire che agirà «nel rispetto delle vittime e della legge», vacua formula che lascia spazio a qualunque interpretazione. Bondi ha evitato di rispondere in modo diretto alle domande sui tempi e sulla quantità di documenti che intende effettivamente pubblicare. Ha anche affermato che «nuove informazioni» ottenute dagli investigatori l’hanno portata a riaprire un filone dell’inchiesta chiuso quattro mesi fa, ma si è rifiutata di specificare quali siano questi nuovi elementi. Una posizione che alimenta il sospetto che il caso Epstein si stia trasformando rapidamente da minaccia per l’amministrazione – incalzata dalla base Maga che ha fatto della vicenda un totem polemico – in un’arma per controllare la narrazione. La storia recente del caso Epstein mostra quanto ogni dettaglio possa cambiare la narrazione pubblica. Per questo, la possibilità di controllare cosa esce e cosa resta nei server del dipartimento di Giustizia è un vantaggio politico enorme. E i segnali degli ultimi giorni — tra indagini avviate rapidamente, risposte evasive e richiami alla protezione delle vittime — suggeriscono che questo vantaggio verrà sfruttato pienamente. Elizabeth Loftus: «Epstein, Trump e la trappola dei falsi ricordi» Arriva Zohran Nel frattempo, è annunciato per venerdì 21 novembre un incontro alla Casa Bianca con il sindaco di New York, Zohran Mamdani. Trump lo ha annunciato sul social Truth: «Il sindaco comunista di New York City, Zohran “Kwame” Mamdani, ha chiesto un incontro. Abbiamo concordato che questo incontro avrà luogo nello Studio Ovale venerdì 21 novembre. Ulteriori dettagli seguiranno!». Un annuncio all’insegna del calore e dell’ospitalità che collima con la retorica sfoggiata da Trump durante la campagna elettorale, quando il presidente è arrivato perfino a dare l’endorsement a Andrew Cuomo pur di contrastare il democratico-socialista. Trump ha promesso in più occasioni che punirà l’amministrazione cittadina congelando fondi federali e ostacolando come può il lavoro di Mamdani. L’appuntamento alla Casa Bianca potrebbe attenuare il confronto; o, considerando i precedenti, renderlo ancora più aspro. Cortocircuito Maga sugli Epstein files: il tycoon in crisi di nervi