Cortocircuito Maga sugli Epstein files: il tycoon in crisi di nervi

La Camera ha dato il via libera e quello che anche Donald Trump ha dovuto infine accettare come inevitabile: la pubblicazione dei documenti relativi all’inchiesta su Jeffrey Epstein. Molti repubblicani, inizialmente riluttanti per via della posizione della Casa Bianca, hanno scelto di allinearsi all’iniziativa bipartisan per evitare di apparire contrari alle richieste di trasparenza della base conservatrice. I volti repubblicani del voto sono i deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene, un tempo alleati di ferro del presidente poi finiti nella lista dei cattivi. Meno lineare la situazione al Senato. Il leader della maggioranza, John Thune, non ha ancora fissato una data per la discussione del provvedimento e mantiene un profilo prudente. In passato si era detto favorevole a una maggiore trasparenza, ma ora il clima politico è diventato più complesso. Il percorso potrebbe essere accidentato: sono possibili modifiche, rinvii o tentativi di limitare la portata della pubblicazione, invocando la tutela delle vittime o la necessità di evitare il rilascio di materiale ritenuto troppo sensibile. Nel frattempo, diverse vittime agli abusi di Epstein si sono presentate davanti al Congresso esibendo foto all’età in cui incontrarono per la prima volta il finanziere. Tra loro c’era Jena-Lisa Jones, che ha raccontato di aver conosciuto Epstein quando aveva solo quattordici anni. «Ero una bambina, frequentavo il primo anno delle superiori, avevo speranza nel futuro. Lui mi ha portato via molto… a 14 anni», ha detto con voce rotta, mostrando la propria immagine da adolescente. Nella trappola Epstein. Trump è in un cul-de-sac e i Maga sono spaccati I rischi per il tycoon Per Trump, la posta in gioco è più alta di quanto sia disposto ad ammettere. Nonostante i dinieghi e le ricostruzioni incoerenti, il suo rapporto con Epstein è noto da anni e alcune corrispondenze già emerse suggeriscono che il miliardario era convinto che il futuro presidente fosse a conoscenza di certi suoi rapporti con donne minorenni. Non ci sono prove pubbliche che coinvolgano direttamente Trump nei reati di Epstein, ma l’associazione è sufficiente a rendere la questione politicamente esplosiva. Il tentativo di ribaltare la narrativa — dichiarando che «non c’è nulla da nascondere» e chiedendo ai repubblicani di votare a favore della legge — ha permesso a Trump di evitare un conflitto aperto con il suo stesso elettorato. Tuttavia, c’è un rischio: una parte consistente della sua base si aspetta una divulgazione totale e immediata dei nomi e delle relazioni di potere attorno a Epstein. Se la pubblicazione si rivelerà parziale, ritardata o pesantemente oscurata, molti suoi sostenitori considereranno il risultato un fallimento. La strategia del diversivo: Trump agita il Venezuela. E Maduro libera Castro Inoltre, se dovessero emergere informazioni compromettenti, Trump potrebbe ritrovarsi imbrigliato in uno scandalo che per anni è stato al centro dell’immaginario repubblicano. Alcuni conservatori lo accusano già di essere arrivato «in ritardo», inseguendo il voto della Camera invece di guidarlo. Il nervosismo del presidente si è manifestato anche nel modo in cui sull’Air Force One ha risposto a una giornalista di Bloomberg che gli chiedeva del caso. «Quiet, quiet piggy», (in pratica: “stai zitta, cicciona”) le ha detto, toccando un nuovo vertice nella classifica dei commenti disgustosi. Non pago, ha insultato anche un’altra giornalista, durante la conferenza stampa insieme al principe ereditario Mohammed bin Salman, di nuovo irritato per una domanda su Epstein: «"Non è la domanda che mi dà fastidio. È il tuo atteggiamento. "Sei una persona terribile e una pessima reporter». La prima tranche di email legate a Epstein ha già prodotto un terremoto: Larry Summers, già segretario al Tesoro ai tempi di Clinton, presidente di Harvard e figura cardine dell’establishment economico americano, ha annunciato il ritiro dalla vita pubblica. Continuerà a insegnare, ma eliminerà le attività con un profilo pubblico. Le email emerse mostrano una corrispondenza regolare con Epstein e, pur senza suggerire un coinvolgimento in attività criminali, basta questo per metterlo in una posizione impossibile. Nel suo comunicato, Summers si è detto «profondamente mortificato» e consapevole del danno provocato. Una presa di posizione drastica, che segna la fine improvvisa di una carriera influente e indica quanto esplosivo sia diventato il terreno attorno al caso. Il ritiro di Summers non riguarda solo un singolo accademico o un ex segretario, ma simboleggia la vulnerabilità di una parte dell’élite politica, economica e intellettuale americana che negli anni è transitata nell’orbita del finanziere. Il suo passo indietro alimenta ulteriormente le richieste di pubblicazione integrale dei documenti: se a cadere è una figura storicamente protetta e rispettata, ci si chiede quanti altri saranno coinvolti. La trasparenza, per anni invocata solo da attivisti e giornalisti, diventa così una minaccia potenziale per una vasta rete di potere. Caso Epstein, Trump tenta il contrattacco: «È una truffa dem, ora indagare su Clinton» Una fase di trasparenza Il voto della Camera rappresenta un momento cruciale in un percorso che va ben oltre la vicenda giudiziaria di Epstein. Riguarda la residua credibilità delle istituzioni che Trump sta progressivamente torcendo a proprio vantaggio. Se la mozione passerà anche al Senato, gli Stati Uniti potrebbero entrare in una fase di trasparenza senza precedenti. Ma se il processo si bloccherà o si rivelerà incompleto, la frustrazione — soprattutto nel campo trumpiano — rischia di aprire un nuovo terreno di conflitto politico.