C’è una sola cosa, oltre a 4.195 chilometri di frontiera, che accomuna davvero la Cina di Xi Jinping alla Russia di Vladimir Putin: entrambe si sentono minacciate dagli Stati Uniti. Tanto che la partnership forgiata nell’ultimo decennio, e definita “senza limiti” dai due leader alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina, si basa – più che sull’obiettivo propagandistico di un mondo “multipolare” – sulla necessità di unire le forze per scoraggiare a Pechino e Mosca i cambiamenti di regime che Washington ha favorito altrove.

E qui entrano in gioco i militari, che nei due paesi hanno funzioni e organizzazione profondamente diverse. Per assecondare le sue ambizioni imperiali, dalla Siria, all’Africa, all’Ucraina, negli ultimi anni Putin è ricorso alle milizie private.

Fondamentali per i lavori più sporchi e pericolosi, esse non pesano sul bilancio dello stato, né sull’umore dell’opinione pubblica quando le bare dei caduti rientrano in patria. Ma possono rivelare – come ha dimostrato il pronunciamento della Wagner – un alto tasso di infedeltà.

Contractors made in China

LaPresse

L’avversione per le milizie private non è ideologica, il mercato in Cina convive con il settore pubblico da oltre 40 anni. Ma la proiezione militare di Pechino all’estero è limitata alla base di Gibuti, nel Corno d’Africa. La Cina si avvale di gruppi di contractors per difendere i suoi interessi commerciali e le infrastrutture in costruzione soprattutto nelle aree più calde dell’Africa, ma si tratta di mercenari che non hanno i compiti dei guerrieri della Wagner o della statunitense Blackwater, e sono tutti ex militari o ex poliziotti armati del popolo, così lo stato ha il controllo anche dei contractors.

Prima che intervenisse la riforma di Xi Jinping, gli oltre 2 milioni di effettivi dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) avevano come funzione principale quella di intervenire in caso di emergenza interna. Con Xi - che si è posto l’obiettivo di una modernizzazione “di base” dell’ex armata contadina entro il 2035 e, entro il 2049, della creazione di un esercito «capace di vincere la guerra», come quello delle superpotenze militari, il continuo aumento della spesa in armamenti tecnologici non ha liberato i militari dalla protezione del sistema politico fondato sul partito unico, per sua stessa natura perennemente a rischio implosione.

Per questo i cinesi conoscono le milizie come Wagner o l’Hezbollah libanese solo attraverso i film americani su iQIYI (il Netflix locale), dove tuttavia negli ultimi tempi sono soppiantati da migliaia di produzioni che esaltano virtù e imprese dell’Epl, da Mao a Xi.

Ma se per il cinese mediamente istruito a caccia di informazioni su internet Prigožin è un personaggio esotico e affascinante, per la leadership del partito comunista è il frutto di un errore politico: quello di permettere l’esistenza di eserciti privati ai quali, per giunta, è stato garantito un alto grado di autonomia.

Il “lavoro politico”

Al contrario, seguendo l’insegnamento maoista secondo cui «è nostro principio che il partito comanda la pistola ma non permette mai alla pistola di controllare il partito», negli ultimi anni il Pcc ha imposto un controllo sempre più ferreo sui militari. La loro totale subordinazione è stata favorita anzitutto dalla campagna “anti-corruzione” che Xi ha lanciato appena insediatosi, nel 2012, come presidente della Commissione militare centrale (Cmc). Una crociata contro le mazzette resa permanente e definita una «rivoluzione auto-mirata», per sottrarre il Pcc al «ciclo storico di ascesa e caduta dei governi».

Le inchieste giudiziarie hanno fatto cadere le teste di migliaia di graduati (tra cui diversi generali) e così Xi ha potuto ottenere un Epl guidato da fedelissimi, tra cui il neo nominato ministro della difesa, generale Li Shangfu (sotto sanzioni Usa).

Mentre la Cmc esercita il controllo sull’Epl, tra i 24 uomini che compongono l’Ufficio politico (il vertice allargato del Pcc) solo due indossano la divisa: i generali He Weidong e Zhang Youxia. Secondo Xi, un militare oggi deve essere soprattutto un “buon soldato di Mao”. In Cina i militari dedicano gran parte del loro servizio al “lavoro politico”, ovvero al lavaggio del cervello, condotto dai commissari politici.

Nella nuova era non potrà mai nascere un Prigožin cinese, e anche un ammutinamento di reparti regolari rappresenta un’ipotesi estremamente remota. Nello stesso tempo questa attenzione ossessiva al “lavoro politico” rappresenta il limite principale allo sviluppo di un esercito professionale e in grado - come vorrebbe Xi - di «vincere la guerra».

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