In America Latina vive il 40 per cento dei cattolici al mondo ma, se negli anni settanta il 90 per cento si identificava come tale, oggi, secondo ricerche Flacso, non si arriva che a due terzi.

Secolarizzazione, certo, ma in particolare durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger la chiesa cattolica non ha visto arrivare le chiese protestanti, che avrebbero moltiplicato del 500 per cento i propri numeri fino a raggiungere il 20 per cento dei fedeli, spesso giovani, dinamici e ferventi, se non fanatici.

Diffusi ovunque, in Guatemala sarebbero maggioranza, e in Brasile un terzo del totale, ed esercitano un’influenza politica decisiva nel 2019 per eleggere Jair Bolsonaro in Brasile.

Accade perché, nelle società neoliberali, le comunità contano sempre meno, e la semplificazione del messaggio biblico sui media, radio, televisione, internet, fa sì che il carisma dei predicatori evangelici e pentecostali offra una risposta individualista al male di vivere, anche dei più umili, trovando risposta nel rapporto diretto con dio.

La solitudine di Romero

Contro la Teologia della Liberazione, l'Istruzione "Libertatis Nuntius" del 1984, vergata da Joseph Ratzinger, denunciò i pericoli di marxismo e sanzionò religiosi come il nicaraguense Ernesto Cardenal o il brasiliano Leonardo Boff o il superiore gesuita Padre Arrupe. Ma fu tutta la chiesa conciliare, quella dell’opzione preferenziale dei poveri, martirizzata dalle dittature militari, a essere umiliata dal pontificato di Karol Wojtyla.

Non c’è solo la celeberrima foto con Augusto Pinochet. Dentro le mura leonine devono risuonare ancora le parole pronunciate nel 1979 dal papa a Monsignor Óscar Romero, poche settimane prima del martirio in Salvador, respingendo il dossier sulle violazioni di diritti umani: «Deve avere relazioni migliori col suo governo».

Romero si disse «costernato» da quel gelo che lo lasciava solo di fronte agli squadroni della morte. Al premio Nobel Adolfo Pérez Ezquivel, cattolicissimo, venuto a Roma a chiedere aiuto per i bambini desaparecidos in Argentina rispose: «deve preoccuparsi dei bambini dell’Europa dell'Est».

La sublimazione avvenne nel 1992. Per Wojtyla il V centenario simboleggiava, anche in America latina, il trionfo della Chiesa sul comunismo ateo, ostentato su un popolo di fedeli che il papa polacco mal comprendeva e poco amava. Era questa la sua idea di evangelizzazione, che molti anni dopo Bergoglio, che parlava spesso di concetti tabù come imperialismo e latinoamericanismo, avrebbe corretto: «A volte si dice evangelizzazione ma s’intende colonialismo».

Fermare l’emorragia

E fu così, con forse cento milioni di cattolici perduti in pochi decenni, che per Roma fu inevitabile provare a fermare l’emorragia con Jorge Bergoglio: conservatore nella dottrina, progressista nel sociale, sembrò l’uomo della provvidenza.

«¡Hagan lío!», smuovete le acque, disse ai giovani cattolici a Río de Janeiro già nel 2013. Era la premessa di un cambio di agenda, per molti versi destinato a restare parziale se non irrisolto. Si pensi all’Enciclica Laudato Si' del 2015, che invitava il mondo intero al contrasto del riscaldamento globale, partendo dalla riflessione critica sull’Amazzonia e sulla condizione dei popoli originari che la abitano, e che originò scontri in particolare con l’estrattivista Bolsonaro.

O si pensi all’incontro di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia nel 2015, con i movimenti sociali e popolari, indigeni, contadini, non organizzazioni ecclesiastiche, ma proprio la sinistra di base che in quegli anni esprimeva molti governi in America latina.

Con questi il Papa ebbe relazioni con alti e bassi, le migliori con i brasiliani Lula e Dilma Rousseff, e sceglierà di non tornare mai in Argentina. In patria per amici e nemici è il «papa peronista», ed è così, ma per Javier Milei, che oggi fa finta di niente, è l’«emissario del maligno in Vaticano».

Più incisivo è stato con quelle prelature personali tanto care a Wojtyla. Sappiamo da non molto che il peruviano Juan Luís Cipriani, primo cardinale dell’Opus Dei voluto da Giovanni Paolo II, vive dal 2019 sotto sanzioni disciplinari per abusi sessuali.

I Legionari di Cristo, organizzazione messicana ancor più a destra dell’Opus, sono in commissariamento perpetuo da quando il fondatore, Marcial Maciel, è passato dall’odore di santità alla scomunica già in epoca ratzingeriana.

Francesco ha poi riparato a uno dei massimi torti compiuti da Giovanni Paolo II, quello su Monsignor Romero. Il Salvador era territorio Opus Dei, e Wojtyla aveva canonizzato il fondatore Escrivá de Balaguer, un santo per le classi dirigenti, e diceva che canonizzare Romero sarebbe stato strumentalizzato dai comunisti. La causa di santità fu istruita solo sedici anni dopo l’assassinio nel 1980, rimase immobile altri sedici, e solo dopo la morte di Wojtyla andò spedita fino alla santificazione nel 2018.

Infine, ma questo era forse il passaggio più facile, ricucì il rapporto con il mondo dei diritti umani, rafforzandone la centralità. Con Madri e Nonne di Plaza de Mayo di casa in Vaticano, ha più volte parlato (vedasi anche il recente Spera) di Esther Ballestrino de Careaga, comunista paraguaiana esiliata a Buenos Aires, attualmente desaparecida, che descrive come ispiratrice etica e politica; un’angela custode.

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