La scomparsa di Joseph Ratzinger ha aperto una fase nuova nel pontificato e nella vita della chiesa. La morte del papa emerito, infatti, ha messo in luce la necessità per il fronte conservatore che si oppone a Francesco di individuare un leader sufficientemente autorevole da rappresentarne umori, aspettative, intenti.

Un’esigenza di visibilità rafforzata dalla composizione di un collegio cardinalizio largamente plasmato dal pontefice argentino.

D’altro canto, quasi subito sono cominciate le speculazioni sulle possibili dimissioni di Francesco, quasi che fosse ormai tempo di prepararsi a un conclave.

In realtà Bergoglio per il momento non ha nessuna intenzione di lasciare il suo posto, come pure ha confermato nell’intervista rilasciata all’Associated Press, diffusa nella giornata di ieri.

Da questo punto di vista le speranze delle fazioni più decisamente anti Francesco sono destinate a non trovare un riscontro positivo nella realtà; certo, resta il dato di fatto di un papa di 86 anni, con vari problemi di salute (normali considerata l’età), e dunque di una prospettiva di durata de pontificato non lunghissima.

Tuttavia, gli impegni nell’agenda di Bergoglio non mancano, a cominciare dal prossimo viaggio in Africa che lo porterà nella Repubblica democratica del Congo e in Sud Sudan dal 31 gennaio al 5 febbraio, trasferta fra l’altro non priva di rischi, considerata la conflittualità riaccesasi in Congo per il controllo delle regioni più ricche di materie prime con Burundi, Ruanda e Uganda (per questa ragione è stata cancellata la tappa della visita prevista nel nord Kivu).

Tuttavia, gli oppositori del papa – e qui sta forse il limite della loro impostazione – sono più preoccupati e indignati per le forti restrizioni imposte da Francesco alla messe preconciliari in latino, che per le condizioni di vita, le guerre, le povertà che riguardano le popolazioni di un’ampia parte del mondo.

La carica di Müller

Nel frattempo, fra i primi a uscire allo scoperto e di fatto a candidarsi come leader dell’opposizione al papa argentino, si è distinto il cardinale Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, in sintonia con Benedetto XVI, ma fino a un certo punto.

In effetti Müller, da tradizionalista autentico, ha giudicato negativamente le dimissioni di Ratzinger, che indebolirebbero l’autorevolezza del papato come istituzione.

«Io sono assolutamente contrario anche a una rinuncia di papa Francesco – ha detto nel corso un recente dibattito sul tema –  e penso che si debba riflettere di più  anche sulle dimissioni dei vescovi a 75 anni. La chiesa non è una istituzione mondana, noi non dobbiamo modernizzarci».

«Rispetto Ratzinger – ha aggiunto – ma questa sua decisione credo che non sia stata riflettuta dogmaticamente e canonisticamente», «questo titolo di Papa emerito è falso, è  teologicamente falso», ha affermato il cardinale dando finalmente voce allo sconcerto dei sostenitori più accesi del papa emerito rimasti spiazzati dalle sue dimissioni.

L’omosessualità che divide

Per Francesco le critiche arrivate da alcuni vescovi e cardinali subito dopo la morte di Ratzinger rappresentano uno sfogo forse fastidioso, ma necessario.

«Preferisco che lo facciano – ha detto all’Ap – perché questo significa che c’è libertà di parola. Se non fosse così ci sarebbe una dittatura a distanza, come la chiamo io, dove c’è l’imperatore e nessuno può dirgli niente. No, lasciali parlare perché... le critiche ti aiutano a crescere e a migliorare le cose».

Che poi è la conferma di un metodo: la chiesa sinodale, la chiesa ospedale da campo, capace di accogliere e di dialogare con tutti, è anche una chiesa dove finalmente c’è libertà di parola e di critica, pure del papa.

Anche se su questo versante la convivenza fra le diverse anime ecclesiali appare sempre più difficile. Ne è riprova l’approccio al tema omosessualità: per Müller il problema resta quello di negare la benedizione alle coppie omosessuali, la cui sessualità resterebbe contraria al disegno di Dio, secondo Francesco invece la parola chiave è ancora una volta «accoglienza»: «Siamo tutti figli di Dio, e Dio ci ama così come siamo e per la forza con la quale ciascuno di noi combatte per la propria dignità», ha detto in proposito Francesco.

Quindi ha ribadito che l’omosessualità «non è un crimine. “Sì, ma è un peccato”. Va bene, ma prima distinguiamo tra peccato e crimine. È peccato anche mancare di carità gli uni verso gli altri».

Infine Francesco ha definito «peccato» anche quello dei vescovi che sostengono leggi che criminalizzano l’omosessualità o discriminano la comunità gay, «questi vescovi devono fare un processo di conversione» ha aggiunto.  

Chiesa dal cuore stretto

Al di là delle polemiche di giornata, tuttavia, il papa aveva espresso la sua idea di chiesa lo scorso 22 gennaio nella messa celebrata in occasione della «Domenica della parola di Dio»: «Se la salvezza è destinata a tutti, anche ai più lontani e perduti, allora l’annuncio della parola deve diventare la principale urgenza della comunità ecclesiale, come fu per Gesù».

«Non ci succeda – aggiungeva Bergoglio – di professare un Dio dal cuore largo ed essere una chiesa dal cuore stretto – questa sarebbe, mi permetto di dire, una maledizione – non ci succeda di predicare la salvezza per tutti e rendere impraticabile la strada per accoglierla; non ci succeda di saperci chiamati a portare l’annuncio del regno e trascurare la parola, disperdendoci in tante attività secondarie, o tante discussioni secondarie». 

E ancora, nella recente lettera apostolica diffusa lo scorso 28 dicembre e dedicata a san Francesco di Sales nella ricorrenza dei 400 anni della morte, il papa aveva indicato nella capacità di leggere i cambiamenti dei passaggi d’epoca l’eredità del santo di origine francese ancora valida per il presente. 

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