Il Qatar, un piccolo paese di 11.586km² con soli 333mila abitanti, protagonista dei prossimi mondiali di calcio. E della geopolitica. Come è stato possibile? Doha ha creato fin dagli anni Novanta un autonomo percorso internazionale, differenziandosi dalle altre monarchie del Golfo sunnite e sviluppando una particolare relazione con l’Iran, di cui è stata storicamente parte e con il quale condivide il più grande giacimento di gas al mondo, il South Pars.

Di questo percorso, il calcio e la tv sono stati due motori. Partendo dalla scelta di aderire, non alla corrente sunnita wahabita dei sauditi, ma alla Fratellanza musulmana. Anch’essa sunnita, ma con orientamento diverso. Che osteggia la trasmissione del potere per via ereditaria e, dunque, critica della legittimità delle monarchie assolute del Golfo.

Non a caso, il Qatar è una monarchia costituzionale. Grazie alla Fratellanza, il Qatar ha fatto sponda con la Turchia di Erdogan, abbastanza lontana da concederle una agibilità che Teheran e Riad non avrebbero permesso, e bisognosa della forza economica di Doha. Una forza da oltre 24 trilioni di metri cubi di gas, il 13 per cento delle riserve globali, per una capacità produttiva di 79 milioni di tonnellate all’anno, 126 milioni entro il 2027; e che rende il Qatar uno dei primi cinque paesi più ricchi per Pil pro capite a parità di potere d’acquisto, con oltre 89mila dollari.

L’ombrello Usa

Ma il ruolo del Qatar è stato possibile anche grazie alla scelta della famiglia regnante degli Al Thani di collocarsi sotto l’ombrello Usa. Doha ha firmato un trattato con Washington nel 1992. Nel 2001 mette a disposizione degli Usa la base di Al Udeid. Nel 2003, qui si trasferisce il comando centrale dell’aeronautica statunitense dalla base di Prince Sultan in Arabia Saudita. Uno scacco. Poi, arriva il trasferimento della Us combat air operation centre. Nel 2011, il Qatar si unisce alle operazioni della Nato in Libia.

In seguito, diventa uno dei principali finanziatori dei gruppi ribelli nella guerra civile siriana. Per blandire gli americani, che puntavano al rovesciamento del filorusso Assad, ma perseguendo una propria strategia, in asse con la Turchia. Doha, ancora, gioca il ruolo del mediatore nelle crisi in Yemen nel 2007 e nel Libano nel 2008; infine, organizza gli incontri tra i talebani e gli Stati Uniti.

Gli Accordi di Doha del 2020, dunque, coronano un percorso ultraventennale e vedono il protagonismo indiscusso di questo piccolo stato a cui gli Usa lasciano la responsabilità dell’Afghanistan post taliban. Ciliegina sulla torta: nella sostituzione del gas russo, sarà il gas naturale liquefatto del Qatar a cui gli europei si dovranno affidare.

Lo scontro con Riad

L’antagonismo della Fratellanza, in generale, e del Qatar, in particolare, fanno sì che Riad, abbia tentato due colpi di stato, nel 1996 e nel 2002. Il culmine dello scontro è nel 2017, allorquando i paesi del Golfo interrompevano le relazioni diplomatiche con il Qatar e ne bloccavano lo spazio aereo e le rotte marittime. Una crisi scatenata a seguito delle accuse a Doha di finanziare il terrorismo e delle primavere arabe, ispirate anche dalla Fratellanza musulmana, e che consentono al Qatar di proiettarsi su tutto lo scacchiere mediorientale in modo fortemente antagonista, per poi giocare una partita in antitesi con Riad pure sullo scacchiere siriano.

Ma l’ascesa geopolitica del Qatar non è avvenuta solo attraverso la politica. Nel 1996, il paese lanciava Al Jazeera, con l’obiettivo di parlare al mondo. Infatti, la tv trasmette in inglese. Al Jazeera sports acquista i diritti in esclusiva per Champions league ed Europa league, sbarcando in Francia nel 2012, con il marchio BeIn media group.

Fondamentale, poi, è il fondo Qatar sports investments, guidato dal presidente Nasser Al-Khelaifi, ex modesto tennista, è anche presidente del Paris Saint-Germain, del FC Miami city club di calcio, della European club association, di beIN media group, del fondo sovrano Qatar investment authority, proprietario del piano di sviluppo Porta Nuova e dell’Hotel Gallia a Milano. BeIN Sports, che assorbe ed eredita Al Jazeera sports, ha a disposizione una leva fondamentale della geopolitica dello sport: ventidue canali, inclusi diciassette canali HD, che trasmettono tutto il calcio europeo in medio oriente, nord Africa, Europa, nord America, Australia e Asia.

A fronte dell’elezione della Francia come paese chiave per il Qatar, BeIn ha i diritti francesi di Ligue 1, FA Cup, Serie A, la Liga e Bundesliga. Nel novembre 2019, beIN sports ha perfino minacciato di rescindere la sua partnership con la Serie A, a seguito della decisione di giocare la partita di Supercoppa italiana tra Juventus e Lazio in Arabia Saudita. Lo scontro fra Doha e Riad è anche sul campo di calcio e in tv.

Operazione Psg

È comunque il Paris Saint-Germain (Psg) l’operazione calcistica più importante per il Qatar. Oggi, il Psg è considerata la settima squadra più ricca al mondo, con un valore netto di 3,2 miliardi di dollari e un fatturato annuo di 661 milioni di dollari. Grazie ai suoi flussi di denaro monstre, ha alterato il campo di gioco, favorendo un’inflazione generale, a seguito dei trasferimenti di Neymar e Kylian Mbappé, che porteranno, alla fine, anche Lionel Messi a Parigi. Una vera beffa, se si pensa che il Qatar, prima di concentrarsi sul Psg, aveva puntato proprio sul Barcellona.

Il Barça aveva infatti ufficializzato nel 2010 un accordo di sponsorizzazione con la Qatar foundation, pari a 40 milioni di dollari, un record fino ad allora. Eppure, quell’accordo si rivelava avvelenato: nel 2017, Barcellona sarà travolta da vari attentati jihadisti, e saranno proprio i tifosi del Barça a scendere in piazza per chiedere l’espulsione dello sponsor qatariota, accusato di finanziare moschee integraliste e i terroristi.

Accuse e soft power

Queste accuse, mai provate, vengono replicate anche Oltralpe, dove anche i fan del Bastia e del Saint Etienne contestano il Psg. Ma se il calcio è una religione laica, anche quella sacra funziona come soft power. Prima dello scoppio delle polemiche in Catalogna, l’emiro Tamim bin Hamad al Zani giungeva addirittura a promettere un investimento di 2.200 milioni di euro per l’acquisto dell’arena monumentale della Plaza de Toros di Barcellona per convertirla nella terza moschea più grande al mondo, dopo quelle della Mecca e Medina. Ma non c’è solo il terrorismo a imbarazzare Doha. Molte accuse riguardano la corruzione per l’assegnazione della World Cup 2022.

Doha vince la candidatura nel 2010 e già nel 2014 Mohammed bin Hammam, il presidente qatariota della Asian football association, viene accusato di aver comprato i voti. Viene reintegrato nel 2014 in appello e, ad oggi, non c’è prova della sua colpevolezza. Solo un tribunale americano condanna tre ufficiali Fifa per quel caso di corruzione: l’argentino Julio Grondona, morto nel 2014. Un altro, Nicolás Leoz, muore in Paraguay nel 2020. Un terzo dirigente, Ricardo Teixeira, rimane in Brasile tranquillamente, perché il paese non ha un trattato di estradizione con gli Stati Uniti e non ha nessuna intenzione di collaborare. Il report Garcia della Fifa su queste ipotesi di corruzione sarebbe intanto al vaglio di un’autonoma inchiesta in Svizzera ancora all’inizio.

Se tutte queste accuse rimangono aleatorie, due cose sono però chiare: calcio-spettacolo-politica rappresentano oramai un unico sistema di soft power. E Doha lo ha utilizzato benissimo. La seconda è che il calcio è un ottimo modo per promozionarsi, ma è anche un’arma a doppio taglio. Il Qatar ha schivato le accuse di corruzione o terrorismo, ma in questo momento è al centro di polemiche per lo sfruttamento di manodopera immigrata per costruire gli stadi.

Infine, ci sono gli attacchi delle comunità Lgbtq+ relative alle condizioni dei gay in quel paese. Basterebbe che una nazionale occidentale scendesse in campo in Qatar con la bandiera arcobaleno al braccio per minare tutti gli investimenti fin qui fatti. Il calcio è geopolitica. Un potere “soft”, ma anche fragile.

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