La crisi in Ucraina si avvia a riconfigurare la geografia dei flussi energetici. Dall’inizio della crisi, l’Europa ha avviato un drammatico ripensamento della sua quarantennale interdipendenza energetica dalla Russia, maggiore fornitore di gas e petrolio del vecchio continente. Tale ripensamento implica la necessità di sostituire il 40 per cento delle importazioni di gas europee, in un contesto di mercato particolarmente difficile vista la scarsità di offerta. L’Europa guarda gli Usa, ma occorre considerare i limiti del gas americano e in generale del gas naturale liquefatto (gnl) nella sostituzione delle forniture russe.

Un nuovo ruolo per il gas americano

Per sostituire circa un terzo delle importazioni di gas russo, l’Ue è alla ricerca di circa 50 miliardi di metri cubi di gnl. Lo sguardo degli europei si è rivolto negli ultimi mesi soprattutto verso gli Stati Uniti, la cui esportazione di gnl è cresciuta dal 2016 al 2021 da 5 a 95 miliardi di metri cubi all’anno. Nonostante il ruolo significativo dell’Europa come mercato di sbocco, negli ultimi anni i mercati che hanno offerto al gnl Usa maggiori opportunità di espansione sono stati quello latinoamericano e cinese. Fra il dominio del gas russo e il declino della domanda europea, l’Europa sembrava quindi destinata a un ruolo residuale per il gas americano.

Le cose sono cambiate a partire dalla crisi del gas del 2021, quando la crescita senza precedenti dei prezzi europei – derivante dalla ripresa della domanda post-Covid combinata con anni di sottoinvestimento, pressioni di fattori climatici e meteorologici sull’equilibrio di domanda e offerta, e non ultimo la decisione russa di limitare le forniture ai soli obblighi contrattuali e di lasciare semivuote le proprie infrastrutture di stoccaggio in Europa – ha favorito la diversione del gas americano dall’Asia all’Europa. Grazie a un differenziale di prezzo sul mercato spot giunto a circa 70-80 dollari/MWh fra Europa e Usa dopo un decennio di stabilità fra i 10 e i 20 dollari/MWh, nei primi due mesi del 2022 l’importazione europea di gnl americano è quadruplicata rispetto al primo bimestre dell’anno precedente, a fronte di un calo del 90 per cento dei flussi di gas americano verso la Cina.

Questa dinamica, che ha consentito all’Europa di assicurare gli approvvigionamenti durante lo scorso inverno, dovrebbe stabilizzarsi nel prossimo futuro, considerando le aspettative di alti prezzi in Europa e il persistente rischio di riduzioni non programmate nei flussi dalla Russia.

Implicazioni commerciali e strategiche

Per i produttori Usa, il conflitto ucraino rappresenta un’opportunità di espansione. Dopo anni di dubbi relativi alla combinazione fra agenda climatica, crolli dei prezzi e il ruolo dominante del gas russo in Europa, il sentimento di operatori e investitori sembra cambiato. Progetti finora di dubbia profittabilità vedono aumentare le loro possibilità di finanziamento. Se prima della guerra gli operatori americani pianificavano di aumentare la loro capacità di esportazione di gnl per circa 35 miliardi di metri cubi entro il 2028, l’attuale dinamica potrebbe favorire decisioni finali di investimento ancora pendenti per progetti ulteriori fino a 70-120 miliardi di metri cubi.

Del resto, disconnettere la Russia dall’Europa significa rimuovere dal mercato mondiale circa 160-170 miliardi di metri cubi corrispondenti al 20-22 per cento delle esportazioni mondiali. Uno spazio in cui solo Usa e Qatar sembrano capaci di inserirsi nei prossimi anni con quantità significative.

Alle dinamiche del mercato si sovrappone una dimensione politica. L’apertura di nuovi profittevoli spazi sul mercato europeo rende l’espansione della capacità di esportazione americana meno dipendente dalla domanda cinese, e dunque meno esposta alla crescente instabilità delle relazioni politiche sino-americane. Sebbene la Cina assorba meno del 10 per cento dell’export Usa di gnl, prima del conflitto in Ucraina quello cinese era il principale mercato ad assicurare una prospettiva di espansione sostenuta. Della capacità di importazione mondiale aggiuntiva di gnl prevista nel corso del presente decennio, la Cina contava infatti per più del 55 per cento. Una dinamica che dovrebbe ora ribilanciarsi grazie alla corsa europea a nuovi rigassificatori.

Opportunità e rischi

Per l’Europa, una maggiore dipendenza dal gnl americano presenta opportunità, ma anche limiti e rischi. In primo luogo, il gas americano costituisce un raro esempio di importazione di gas proveniente da un regime democratico e alleato, la cui contrattazione si ritiene meno soggetta a interferenze o condizionalità politiche. Un vantaggio non trascurabile in un’epoca di crescente tensione geoeconomica, in cui gli stati cercano di accorciare e accrescere il controllo sulle catene del valore più strategiche.

In secondo luogo, il gas statunitense offre maggiore flessibilità rispetto alla durata dei contratti, consentendo dunque un maggiore allineamento alle esigenze climatiche dell’Ue. Proprio negli ultimi giorni, il negoziato tedesco con il Qatar si era infatti arenato sulla richiesta del paese del golfo di contratti ventennali, incompatibili secondo i tedeschi con i piani di decarbonizzazione della Germania. Tale flessibilità si estende inoltre all’estrazione del gas Usa. Secondo il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia Fatih Birol, i brevi tempi di sviluppo e di recupero degli investimenti offerti dal gas di scisto americano rispetto alla lunga vita dei progetti convenzionali renderebbero il gas Usa un’opportunità di diversificazione meno rischiosa per gli obiettivi climatici europei, nonostante le criticità ambientali della tecnologia di estrazione e le maggiori emissioni del trasporto di gas via mare rispetto ai gasdotti.

Il gas americano presenta tuttavia per l’Europa anche limiti e rischi. Non costituisce infatti una soluzione immediata né completa alla rimozione del gas russo dal mix energetico europeo. Gli Usa esportano al momento al pieno della loro capacità. In questo contesto, il presidente Biden ha sottolineato che nel 2022 al massimo 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi saranno disponibili dagli Stati Uniti per l’Europa. Per i prossimi tre-quattro anni, l’intera capacità di esportazione aggiuntiva in costruzione negli Usa non supererà i 30 miliardi di metri cubi, a copertura – se interamente destinata all’Ue – di appena il 20 per cento dei volumi russi. Insomma, il gnl rappresenta una sostituzione parziale del gas russo in un contesto di uscita programmata, ma non una soluzione a una forte riduzione improvvisa delle forniture russe.

Secondo, la caccia europea al gnl sui mercati internazionali in una fase protratta di offerta contratta non può che influire negativamente sulle prospettive di importazione dei paesi in via di sviluppo. Questi ultimi si trovano da mesi a dover competere inaspettatamente con un’Europa disposta a pagare il gnl più di loro. Una dinamica che ha già contribuito a una crisi energetica in Asia meridionale.

Terzo, il gas Usa soffre una particolare esposizione al rischio climatico. I terminali si trovano nel Golfo del Messico, soggetti dunque a frequenti interruzioni dei flussi durante la stagione degli uragani.

Infine, anche negli Usa esiste un rischio politico. Gli Stati Uniti non sono solo grandi esportatori, ma anche grandi consumatori. Di fronte a eventuali forti aumenti dei prezzi interni, alcune amministrazioni potrebbero essere particolarmente attente a richieste da parte di industrie consumatrici favorevoli a restrizioni all’esportazione.

Insomma, se il gnl Usa costituisce senz’altro un aiuto importante per le attuali difficoltà energetiche europee, l’Ue dovrà guardare a esso nel quadro di un delicato esercizio di bilanciamento fra obiettivi di sicurezza energetica, politica estera e decarbonizzazione. Per ridurre a zero la dipendenza europea dall’energia di Mosca, misure aggiuntive – dalla sostituzione del gas con altre risorse alla riduzione della domanda – si renderanno necessarie in misura maggiore degli aumenti di importazioni di gnl.

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