«Netanyahu ha detto che non deve rimanere nemmeno una casa in piedi a Gaza e così sta accadendo». Dopo i raid di ieri notte, gli sfollati stanno scappando dalla zona di Khan Yunis che nelle ultime ore, è diventata il bersaglio principale dei bombardamenti israeliani. In 24 ore sono morte oltre 60 persone, di cui 22 bambini, nell’intento di colpire Mohammed Sinwar, fratello dell'ex leader ucciso Yahya Sinwar.

«Non si sa se sia stato ucciso – spiega il giornalista Hassan Isdodi – Per ora Hamas non ha fatto alcuna dichiarazione e nessuno sa nemmeno se davvero fosse in zona». Lo Shin Bet e l'Idf hanno solamente fatto sapere di aver colpito agenti di Hamas che si trovavano in un "centro di comando e controllo" nella zona di Khan Yunis, senza ulteriori dettagli dell’operazione.

Vivere di incubi

«Non abbiamo mai avuto a che fare con Hamas, ma ci tirano bombe in testa ugualmente», dice Abdul Karim Salman, 48 anni, insegnante originario di Gaza City. «Stiamo andando verso sud, di nuovo, ci stanno muovendo come topi in una gabbia. La nostra casa è stata colpita e per miracolo siamo vivi, ma i miei figli hanno incubi e la mia figlia minore non parla più».

I raid di queste ore hanno distrutto quelle ultime infrastrutture che c’erano e da oggi l’ospedale europeo di Khan Younis è fuori servizio. «È un dramma, perché abbiamo feriti che non possono essere trasportati e saranno costretti a morire, senza che nessuno possa nemmeno alleviare i dolori», dice Mahmoud Bassal, portavoce della Protezione civile. Quei pochi volontari che sono rimasti, tra ieri e l’altro ieri sono riusciti a recuperare 28 vittime nella zona intorno all’ospedale, gli altri sono sepolti sono troppe macerie.

La mancanza di strutture sanitarie e di personale è un problema, ma sta diventando ancor più drammatica la situazione idrica della Striscia. Secondo gli analisti di laboratorio che lavoravano per il municipio di Gaza City, quella poca acqua rimasta ha percentuale di contaminazione del 25 per cento, mentre il 90 per cento della popolazione non ha accesso all’acqua. «Il sistema di tubature è saltato completamente – spiega Ashraf Al Qudra, portavoce del ministero della salute – Inoltre, l’85 per cento degli impianti di desalinizzazione è completamente fuori servizio, mentre l'uso dei pozzi di assorbimento per i servizi igienici rappresenta un rischio per la falda acquifera. È anche per questo – dice ancora Ashraf Al Qudra – che si stanno diffondendo varie malattie infettive tra la popolazione».


Le temperature si stanno velocemente alzando a Gaza e se non arriveranno presto le scorte idriche, i gazawi rischieranno di morire anche di sete. Al momento, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) sta gestendo cinque pozzi d'acqua a Gaza e sta lavorando per ripararne almeno altri due che sono stati distrutti, ma non sono sufficienti per tutti e comunque la falda è inquinata.

Che ne è degli aiuti?

Intanto, dopo il rilascio dell’ostaggio americano, la popolazione di Gaza attende le prossime mosse. Se fino a qualche settimana fa Donald Trump era considerato un demonio, pronto a trasformare la Striscia in un resort di lusso, oggi è quasi considerato un portatore di speranza, solo perché si sta opponendo al piano di Benjamin Netanyahu e pare stia provando a trattare direttamente con Hamas.

Sono le voci che si rincorrono tra le strade distrutte di Gaza, anche se di certo non c’è nulla. «Il piano di distribuzione del cibo sembra sparito dall’agenda», spiega il giornalista Isdodi – ma da altre fonti sappiamo che l’appalto per la consegna dei pacchi alimentari a privati sta andando avanti e questo fatto agita tantissimo la popolazione».

«L’Unrwa conosceva i nostri nomi, conosceva le nostre famiglie e sapeva chi aveva bisogno – aggiunge Samer Al-Khatib, 31 anni, ingegnere civile. «Le aziende non ci vedono come persone, ma come numeri, come mercato. Non hanno né la capacità né l’interesse ad aiutarci davvero. Anzi, stanno approfittando della situazione. È una nuova forma di colonizzazione economica». E ancora: «Hamas – aggiunge il cronista - usa noi civili come arma e la nostra fame come strumento al tavolo delle trattative per il rilascio degli ostaggi».

Ancora trattative

Ieri l'emissario di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, e l'inviato per gli affari di ostaggi Adam Boehler si sono incontrati con un'alta delegazione israeliana a Doha per discutere di un accordo sugli ostaggi e di un cessate il fuoco.

Il clima, dicono i ben informati, è cordiale ma teso, perché il timore del governo è che Trump possa scavalcare Netanyahu per ottenere un accordo per il rilascio di tutti gli ostaggi e siglare un accordo di pace. Esattamente quello che il primo ministro israeliano non vuole, intenzionato com’è a radere al suolo fino all’ultima casa di Gaza.

Le operazioni militari degli ultimi giorni hanno risvegliato anche alcuni leader europei che finora non si erano espressi più di tanto sul massacro di Gaza. In una intervista sulla rete francese Tf1, infatti, il presidente Macron ha detto che «quel che il governo Netanyahu sta facendo è inaccettabile. Niente acqua né medicine, i feriti non possono uscire e i medici non possono entrare. È una vergogna». Bisogna fare «tutto il possibile per fermarlo», ha aggiunto Macron – anche a costo di rivedere l’Accordo d’associazione Ue-Israele».

La reazione di Netanyahu non si è fatta attendere. «Macron ha scelto nuovamente di schierarsi al fianco di un’organizzazione terroristica islamista e assassina, facendo eco alla sua propaganda menzognera e accusando Israele con sanguinose calunnie», è quel che si legge in una nota diffusa dall’ufficio della Knesset. Netanyahu ha ribadito ancora una volta che Israele non si fermerà e che, Trump o non Trump, le operazioni di Gaza continueranno. L’invasione è sempre più vicina.

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