A quasi tre mesi di distanza dal 7 ottobre il conflitto in Medio Oriente sta entrando in una nuova fase nella quale vuole inserirsi un altro protagonista finito nel dimenticatoio: lo Stato islamico. A ventiquattro ore di distanza dalle due esplosioni che hanno colpito la città di Kerman, l’Isis ha infatti rivendicato ufficialmente l’attacco che portato all’uccisione di 84 persone e al ferimento di un altro centinaio. Il movente è antico e richiama la divisione intrareligiosa tra sunniti e sciiti del mondo musulmano. Lo ha spiegato il portavoce dell’Isis, Abu Hudhayfah al Ansari, che ha criticato l’alleanza tra Teheran e le fazioni palestinesi sunnite per combattere «una guerra per procura per l’Iran». Un chiaro riferimento a Hamas che, nonostante sia di ispirazione sunnita, da anni è finanziata e sostenuta militarmente dall’Iran, che usa l’organizzazione palestinese per i suoi interessi anti israeliani. Inoltre, al Ansari ha lanciato ieri un appello a «colpire ovunque ebrei e cristiani», in un messaggio audio di oltre 30 minuti incentrato sul conflitto israelo-palestinese e diffuso sui canali social.

Libano, Iraq, Iran e mar Rosso costituiscono oramai il terreno parallelo alla Striscia di Gaza in cui si combatte la guerra tra Hamas, i suoi alleati dell’Asse della Resistenza, e Israele. Gli ultimi attacchi riportano l’uccisione di quattro persone in un raid israeliano nel sud del Libano, nella città di Naqoura, tra le vittime ci sarebbe almeno un esponente di Hezbollah. Due combattenti di alto rango sono stati invece uccisi a Baghdad in un attacco contro una base di milizie sostenute dall’Iran; secondo emittenti irachene, però, il numero delle vittime è di quattro persone e sei feriti. «In un’aggressione e violazione palese della sovranità e della sicurezza irachena, un drone ha effettuato un’azione simile ad attività terroristiche colpendo oggi uno dei quartier generali della sicurezza a Baghdad», ha annunciato il generale iracheno Yehia Rasool, portavoce del ministero della Difesa e del comandante in capo delle Forze armate. «Un’azione che compromette gli accordi stabiliti in precedenza tra le Forze armate irachene e le forze della Coalizione globale», ha aggiunto il portavoce. La tensione nell’intera area è alta. Il rischio di escalation aumenta di giorno in giorno dopo l’uccisione in Libano di Saleh al Arouri (uno dei vertici di Hamas) e gli attentati in Iran. Ai funerali di al Arouri hanno partecipato ieri migliaia di libanesi intonando cori contro Israele e gli Stati Uniti. Alcuni media libanesi hanno riportato l’ipotesi che il leader di Hamas sia stato ucciso con un attacco di un caccia israeliano, e non da un drone militare come sostenuto nelle prime ore. L’operazione militare rischia di diventare anche un caso diplomatico: ieri il premier libanese Najib Mikati ha avuto un incontro con il comandante della missione Onu in Libano (Unifil) al quale ha denunciato «violazioni israeliane della sovranità libanese».

La Striscia

Anche a Gaza non si fermano i combattimenti. È di almeno 14 morti il bilancio di un bombardamento che ha colpito un’abitazione che ospitava sfollati a ovest di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. Negli attacchi è stata coinvolta anche una sede della Mezzaluna rossa. Nelle ultime ore i combattimenti israeliani si sono intensificati nel centro e nel sud della Striscia. Secondo media israeliani, il governo sta valutando l’apertura del valico di Erez, nel nord di Gaza per far entrare aiuti umanitari. Sarebbe la prima apertura in tre mesi, una scelta dettata anche dal fatto che da giorni nel sud sono in corso bombardamenti nei pressi del valico di Rafah al confine con l’Egitto, luogo da dove sono entrati i camion con gli aiuti inviati dalla comunità internazionale nelle ultime settimane.

Al momento le trattative per arrivare a un cessate il fuoco e trovare una soluzione politica di lungo corso sono in stallo. L’attacco israeliano in Libano non ha fatto altro che aumentare la distanza tra le parti, con Egitto, Hamas e Jihad islamica che hanno deciso di sospendere i negoziati. Le dichiarazioni dei ministri israeliani di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir sono diventate un caso politico. La loro proposta di espulsione dei gazawi, di rioccupazione della Striscia e costruzione di nuovi insediamenti ha fatto infuriare i paesi arabi, Arabia Saudita in primis, e la comunità internazionale. Anche le Nazioni unite hanno bocciato le loro dichiarazioni. L’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk, si è detto «molto turbato dalle dichiarazioni di alti funzionari israeliani su piani di trasferimento dei civili da Gaza a paesi terzi». «L’85 per cento della popolazione di Gaza è già sfollata interna. Hanno il diritto di tornare alle loro case. Il diritto internazionale proibisce il trasferimento forzato di persone protette o la deportazione da un territorio occupato».

Intanto, secondo la Nbc, Washington starebbe valutando un intervento più concreto nel mar Rosso per far fronte agli attacchi dei ribelli sciiti Houthi che iniziano a preoccupare anche India e Cina.

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