La tolleranza della comunità internazionale verso l’offensiva israeliana su Gaza è al limite. In pochi giorni il nuovo scenario di guerra ha suscitato rimostranze e preoccupazioni. Tutti i leader internazionali vogliono evitare il massacro della popolazione civile e l’allargamento del conflitto. Per la prima volta dall’inizio della guerra l’Egitto ha deciso di militarizzare il suo confine e ha annunciato conseguenze catastrofiche nel caso in cui il gabinetto di guerra israeliano prosegua con il suo piano. Eppure, per il momento, le forze armate israeliane sono convinte che per “eliminare” Hamas devono radere al suolo Rafah, considerata la loro ultima roccaforte. Ma un’operazione militare a tappeto comporterà conseguenze che non si possono evitare.

Dopo gli ultimi attacchi la Mezzaluna Rossa palestinese ha già riferito di circa un centinaio di morti. Questo perché nel sud della Striscia si sono rifugiati oltre un milione di palestinesi che nei scorsi mesi hanno abbandonato le loro case prima dell’assedio israeliano nel nord di Gaza. Qui nelle scorse settimane sono stati diffusi gli aiuti umanitari entrati dal valico confinante con l’Egitto e questo ha contribuito ad avere un’alta concentrazione di civili in uno spazio di terra molto ridotto. Bombardarlo, anche con le più sofisticate armi di precisioni, rischierà inevitabilmente di fare crescere i numeri delle vittime arrivate a quasi 28mila secondo i numeri del ministero della Salute controllato da Hamas.

Senza contare che le autorità del Cairo sono preoccupate di un possibile esodo di rifugiati sul suo territorio. Da un lato significherebbe fornire aiuti umanitari a centinaia di migliaia di persone e le casse del paese non possono permetterselo, dall’altro equivarrebbe alla perdita territoriale di Gaza dato che non ci sono sicurezze di un ritorno dei profughi nella Striscia una volta finita la guerra. Sul caso si è espresso anche il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, che finora ha mantenuto un approccio neutro a differenza di quanto accaduto nella guerra in Ucraina. «Sono profondamente preoccupato per il bombardamento segnalato e la potenziale incursione di terra da parte delle forze israeliane a Rafah», ha detto Khan su X.

Corsa contro il tempo

Per evitare una crisi umanitaria senza precedenti si sono mobilitati diversi leader politici lanciando messaggi di preoccupazione. Lo hanno fatto il portavoce del premier britannico Rishi Sunak, il governo australiano e l’Alto rappresentato degli Affari esteri dell’Ue, Josep Borrell che ieri ha chiesto di non chiudere l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, come richiesto da Israele. Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si sta muovendo in prima persona, è arrivato ad Abu Dhabi e nei prossimi giorni sarà in Egitto. Al Cairo arriverà invece il direttore della Cia, William J. Burns, per proseguire le trattative per la liberazione degli ostaggi (ieri in un blitz delle forze israeliane ne sono stati liberati due).

A Washington è previsto un incontro tra il re Abdullah II di Giordania e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, a Washington, per lavorare al cessate il fuoco. Ma secondo i media statunitensi i rapporti tra Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu sono ai minimi storici. Secondo la Nbc Biden sarebbe «furioso» con Netanyahu e lo avrebbe anche insultato in privato con il suo entourage. Da giorni la Casa Bianca chiede a Tel Aviv di fermare i suoi piani e di proteggere i civili, ma le rassicurazioni di Netanyahu non convincono.

Il caso Albanese

Ad alimentare le tensioni tra Israele e le Nazioni unite è il caso di Francesca Albanese, la relatrice speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, a cui ieri è stato negato l’accesso in Israele. La decisione è stata annunciata in un comunicato congiunto pubblicato dal ministero degli Esteri e dell’Interno israeliano: «Il tempo del silenzio degli ebrei è finito. Se le Nazioni unite vogliono tornare ad essere un organismo rilevante, Antonio Guterres deve sconfessare pubblicamente le parole antisemite della loro “inviata speciale" Francesca Albanese e rimuoverla immediatamente dal suo posto. Impedirle di entrare in Israele servirà a ricordare le atrocità commesse da Hamas». ,

Ad Albanese vengono contestate le sue parole secondo cui i fatti del 7 ottobre «sarebbero stata una reazione all’oppressione israeliana». Dopo il divieto d’ingresso da parte del governo israeliano la relatrice Onu ha detto che comunque proverà entrare attraverso il valico di Rafah. «Sono due anni che Israele mi nega di fare il mio lavoro come chiesto dall'Onu non facilitando il mio ingresso nel Territori palestinesi occupati. E sono 17 anni che lo fa nei confronti di tutti i relatori speciali che hanno ricoperto questo mandato», ha detto ieri Albanese all’Adnkronos.

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