Non arriverà nessun camion di aiuti umanitari finché non inizierà l’operazione israeliana volta all’occupazione completa della Striscia, annunciata da Netanyahu. Che si telefona con Putin. I miliziani: «No alla tregua». Le testimonianze dei gazawi: «Tra noi la domanda più ricorrente è: tu come preferisci morire?»
Gaza sta morendo di fame. Anche le ultime provviste rimaste nei magazzini sono finite e persino delle scorte trafugate nei mesi da Hamas non ne è rimasta che qualche briciola. Da quattro giorni, dunque, più di tre quarti della popolazione non hanno più nulla da mangiare, nemmeno una goccia di latte.
«We are starving», sono gli appelli che arrivano dalla Striscia, eppure il primo ministro Benjamin Netanyahu ha deciso che non entrerà nessun camion di aiuti umanitari prima che inizi ufficialmente l’operazione soprannominata “I carri di Gedeone”. «Il punto è che nessuno sa ancora quando si avvierà questa fase – spiega il giornalista Hassan Isdodi – e intanto moriamo di stenti. Ma forse è questo l’obiettivo, ridurre ancora la popolazione, così che poi deportarci sarà più facile».
Possibile blackout
Nelle prossime ore potrebbe esserci anche un prolungato blackout delle comunicazioni con Gaza, a causa del razionamento della benzina. «Per ottimizzare il carburante rimanente, che serve per i generatori ospedalieri ed è vitale per il mantenimento dei servizi sanitari, i generatori condivisi saranno spenti per molte ore», hanno fatto sapere i medici della Striscia. Gaza, dunque, attende isolata e inerme il suo destino che, in queste ore, viene deciso da un lato dalla Knesset, dall’altro dai capi di Hamas.
L’organizzazione terroristica ha fatto sapere che l’approvazione della nuova operazione da parte del governo d’Israele rappresenta «una chiara decisione di sacrificare i prigionieri israeliani» e di continuare il ciclo di fallimenti iniziato diciotto mesi fa. Hamas ha poi aggiunto che non è più interessata a proseguire i colloqui di pace, a meno che Israele non cessi immediatamente il blocco dei viveri.
«Non ha senso impegnarsi in colloqui o prendere in considerazione nuove proposte di cessate il fuoco finché continua la guerra della fame nella Striscia», ha detto uno dei portavoce di Hamas, Basem Naim.
Ma il governo di Israele non ha intenzione di cedere, perché il piano è già strutturato e pronto ad entrare in azione, si attende solo la visita di Donald Trump in Medio Oriente prevista per il 13 maggio.
Il presidente americano sarà in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti per rafforzare i patti di Abramo e potrebbe avere un colloquio con Netanyahu. Se per allora, fa sapere il governo israeliano, non ci sarà un passo avanti nella trattativa per la liberazione degli ostaggi, allora Gaza sarà invasa.
Intanto, però, la mediazione di Qatar ed Egitto è ancora sul tavolo. «I nostri sforzi continuano anche se la situazione è difficile», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari. «Noi andiamo avanti e, nonostante la catastrofica situazione umanitaria a Gaza, ci sono ancora contatti permanenti tra le parti interessate», ha assicurato al-Ansari.
Le prospettive sono appese a un filo. A un filo che il primo ministro israeliano vuole spezzare a tutti i costi per poter portare avanti il suo progetto. «L’operazione sarà dura – ha ribadito Netanyahu – Le forze israeliane non entreranno per poi ritirarsi, non siamo lì per quello. L’obiettivo è l’opposto». Martedì 6 maggio il primo ministro ha avuto anche un colloquio telefonico con Vladimir Putin, con cui ha discusso, tra le varie cose, dei recenti sviluppi in Medio Oriente. È la prima chiamata tra i due dal 2023.
«Da quel po’ che abbiamo saputo – spiega il giornalista locale Hassan Isdodi – l’Idf avanzerà da sud verso nord spingendo la popolazione a spostarsi verso Rafah, diventata base operativa e di fatto territorio israeliano. Noi civili – dice Isdodi – saremo perquisiti, interrogati e schedati come bestiame e solo dopo potremo entrare nell’area di Rafah. Ma queste sono solo indiscrezioni. Al momento, alla popolazione non è stato comunicato ancora nulla».
Zone “sterili”
Secondo i piani diffusi dai media israeliani, l’obiettivo dell’Idf è creare altre zone “sterili” come quella di Rafah, sia per poter creare una sorta di cuscinetto tra Gaza e il confine israeliano sia per separare i civili dai miliziani. Anche gli aiuti umanitari, nel momento in cui saranno autorizzati a entrare, saranno gestiti da personale straniero e verranno distribuiti esclusivamente all’interno della così detta area sterile: oltre il corridoio di Morag e cioè nella zona sotto controllo israeliano. Solo chi sarà già stato “vagliato”, dunque, potrà ricevere cibo, acqua e beni di prima necessità, non gli altri.
«Questo piano è folle e inumano – dice Yamen Abu Suleiman, direttore della protezione civile del governatorato di Khan Yunis – Primo, la popolazione è letteralmente deportata in un’altra zona, secondo quali saranno i criteri per poter passare al controllo dei militari? E chi sarà non passerà i controlli, perché magari ha avuto parenti che hanno appoggiato Hamas, cosa farà? Sarà condannata? Terzo, quanto ci vorrà per realizzare questo disegno? Troppo. Saremo tutti già morti».
I dettagli dell’operazione non sono ancora stati resi noti, mentre è ufficiale la creazione di un «piano di trasferimento volontario per i residenti di Gaza». Ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa Israel Katz secondo cui i gazawi potranno scegliere in quale paese trasferirsi. A rincarare la dose è il ministro delle finanze Bezalel Smotrich: «In pochi mesi potremo dichiarare che abbiamo vinto, Gaza sarà completamente distrutta».
«Gli accordi bilaterali non sono ancora stati definiti – riferisce una fonte anonima israeliana – ma nei prossimi giorni sarà nominato il capo del Relocation Office for Gaza Residents e si inizieranno a gettare le basi. L’obiettivo – dice ancora la fonte – è permettere solo a chi non ha nulla a che fare con Hamas di trasferirsi e lasciare i combattenti isolati in un angolino di terra, per poi disintegrarli».
Dopo l’annuncio di Israele, a Gaza le cose sono precipitate. La fame, la sete, i continui raid hanno reso la popolazione molto debole e la prospettiva di essere spostati chissà dove ha spento lo spirito vitale. «Abbiamo perso ogni speranza. Ora, la gente in strada non si saluta più, si chiede: tu come vuoi morire?», racconta Besan Emad, che una volta era insegnante.
© Riproduzione riservata