«Ogni volta che l’Idf tenta di recuperare i suoi rapiti con la forza, finisce per riportarli indietro dentro le bare». Così si è espresso uno dei portavoce di Hamas, Abu Obeida, dopo che, ieri, a seguito di un lancio di razzi, le forze armate israeliane hanno emanato un nuovo ordine di evacuazione per la zona nord di Gaza.

«Restituiremo tutti gli ostaggi ancora qui nelle bare se Israele non smetterà di bombardare», ha puntualizzato ancora la Jihad islamica allontanando ancora di più la possibilità di ritornare a un tavolo di trattativa. Intanto, però, la rabbia contro Hamas è arrivata a quel limite che non si era mai raggiunto prima, e così, nella Striscia, sono scoppiate le proteste.

Brandelli di lenzuola

Usando pezzi di lenzuola, brandelli di tende e fondi degli scatoloni che contenevano gli aiuti umanitari, i cittadini di Gaza hanno creato cartelli con slogan contro Hamas. «Vattene». «Il popolo di Gaza non vuole la guerra». «Hamas fuori dalla Striscia». «Non siamo tutti terroristi». Lo ha gridato a squarciagola una folla inferocita che ieri mattina, per la prima volta da oltre vent’anni anni, è scesa in strada.

La protesta è iniziata a Beit Lahiya, nel nord di Gaza, uno dei territori maggiormente devastati dai bombardamenti, ma pian piano anche in altre aree, a Shejaiya e a Jabalia, la gente si è riunita per inneggiare contro la Jihad islamica. «Non l’avevamo programmata, ma ora siamo stufi. Loro sparano e noi moriamo. Tanto i combattenti sono nei tunnel, noi qui su a morire come topi in trappola», grida uno dei manifestanti. «Hamas scommette sul nostro sangue per qualcosa che non riuscirà mai a ottenere», dice Karim Abu Marad, ventenne di Beit Lahya.

I giovani in strada a protestare sono tanti, loro che fino a qualche anno fa facevano a gara per iscriversi tra le fila dei combattenti. Ma ora le cose sono cambiate. Da quanto è scoppiata la guerra, dopo la strage del 7 ottobre in Israele, il consenso per Hamas si è affievolito sempre più a Gaza.

Così tanto da costringere i capi a promettere molti soldi o un passaggio sicuro fuori dalla Striscia per figli o madri, pur di convincere le nuove leve ad unirsi alla causa. Non ha funzionato del tutto. E mentre Hamas provava a reclutare, intanto, le prime avvisaglie delle proteste erano già comparse. Negli ultimi mesi, infatti, sempre più persone hanno iniziato a criticare apertamente l’organizzazione, cosa impensabile, prima.

«Fino all’anno scorso – spiega il giornalista Hassan Isdodi – nessuno avrebbe detto qualcosa contro Hamas alla luce del sole, per paura delle conseguenze. Oggi è diverso, la popolazione si sta rivoltando in massa». Durante le proteste la gente ha girato video, ha scattato foto apertamente, senza timore, e ha sfogato dolore e frustrazione covate per quasi due anni.

«Devono lasciarci vivere, devono smettere di provocare Israele», dice tra le lacrime Shirin, che si era da poco sposata quando suo marito è morto sotto le bombe. «Abbiamo perso tutto, non vogliamo più sentir parlare nessuno, che sia di Hamas o dei Fratelli Musulmani», insiste ancora Sherin, ma a lei si uniscono in coro altre persone. «C’è il sospetto che queste proteste siano state fomentate da Fatah – spiega ancora Isdodi – perché l’obiettivo potrebbe essere quello di scalzare Hamas e prendere il controllo della Striscia. Ma non è di questo che Gaza ha bisogno».

Ne è convinto anche Abdullah Saher, che era docente di storia contemporanea all’università di Gaza City secondo cui Hamas ha definitivamente distrutto il territorio. «Non mi riferisco solo alle macerie fisiche, ma anche quelle culturali e politiche», spiega il professore. «Hamas è un cancro che ci ha condotti tutti alla morte e queste manifestazioni di dissenso, ahimè, arrivano troppo tardi».

Una nuova leadership

Disperazione e frustrazione hanno accompagnato le proteste che fino a questa mattina hanno agitato l’intera Striscia, consapevole che le cose non cambieranno, almeno non velocemente.

«Se anche domani Hamas se ne andasse, cosa succederebbe? – aggiunge il professore – Israele e gli Stati Uniti non permetteranno mai di ricostruire Gaza per noi. Ecco perché abbiamo bisogno di una nuova leadership che faccia gli interessi del popolo, non più Hamas o Fatah che sono agglomerati di potere corrotto e al servizio di altri».

Durante le proteste quei pochi gazawi rimasti fedeli ad Hamas hanno definito i partecipanti dei traditori che hanno giurato che Hamas gliela farà pagare a tutti. «In effetti – spiega il giornalista Isdodi – quando nel 2007, all’indomani della presa di potere di Hamas, ci furono delle proteste, i manifestanti furono massacrati, ma non credo che succederà ancora, o almeno lo spero. Ora la situazione è diversa, c’è mezza Striscia ostile e i combattenti sono impegnati nella guerra con Israele. Però – ammette ancora il cronista – non credo che queste proteste avranno grossi sbocchi».

Che le manifestazioni non possano ottenere dei risultati lo pensano tutti a Gaza, ma i cittadini hanno comunque voluto lanciare un messaggio chiaro e inequivocabile e che potrebbe rappresentare una svolta nella politica palestinese. Intanto, da quanto è ripresa la guerra dopo due mesi di cessate il fuoco, sono morte altre 700 persone. Soprattutto bambini innocenti.

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