Gaza, ritornano gli aiuti (su ordine Usa). Ma i raid israeliani non si fermano

Dopo oltre 72 ore di chiusura totale, da mercoledì mattina almeno uno dei valichi di Gaza è stato riaperto al passaggio dei camion con gli aiuti umanitari. È stato, in particolare, il checkpoint di Zikim, tra Israele e il nord della Striscia, a ritornare in attività, come annunciato dal Cogat, l’organismo del ministero della Difesa israeliano incaricato degli affari civili nei territori palestinesi. A rilento e con una coda che superava i 4 chilometri, dunque, i tir hanno ripreso il loro viaggio verso il territorio di Gaza. «Sono stati giorni difficili – racconta la giornalista Noor Shirzada – perché non è arrivato nulla e tante persone non sono riuscite a mangiare per due giorni. Non è un bene per l’organismo – spiega la cronista – riabituarsi pian piano al cibo solido, dopo tante settimane di carestia, e poi di nuovo il vuoto nello stomaco». «Qui a Gaza soffriamo ancora, aiuti scarsi». E Bibi richiude i valichi La gestione americana Il blocco era stato imposto da Israele e si dice che il via libera alla riapertura di Zikim sia arrivato solo grazie a una imposizione dagli americani. Nel Centro di coordinamento civile-militare di Kiryat Gat, infatti, i funzionari americani hanno preso in mano la gestione degli aiuti e avrebbero cancellato tutte le ultime disposizioni imposte dal governo di Benjamin Netanyahu. «Il timore – racconta una fonte vicino ai mediatori – è che le continue ritorsioni di Israele e i veti che continua a porre sulle diverse pratiche aperte possano finire per impantanare il piano Trump». Se non è già un pantano, comunque, sicuramente è uno stallo prolungato. Sembra che non si riesca a procedere né sul fronte della ricerca dei corpi degli ostaggi, né sul fronte del ritiro delle truppe. Anzi. La cosiddetta zona gialla entro la quale si muove l’Idf è diventata una sorta linea di fuoco dalla quale i militari possono sparare senza dover ammettere di aver violato il cessate la tregua. E così, proprio ieri i soldati hanno effettuato tre raid nel nord-est di Beit Lahia uccidendo almeno due gazawi, accusati di esser terroristi in procinto di un attacco. «Non sappiamo chi fossero quegli uomini – racconta il giornalista Hassan Isdodi – ma si dice che non volessero attaccare. Erano solo entrati nell’area gialla senza rendersene conto. Le nostre fonti dicono fossero disarmati». Il confine tra zona militarizzata è molto labile in certe zone di Gaza e non è sempre una linea retta: ci sono curve e anse che entrano ed escono da quest’area gialla per cui finirci dentro è abbastanza facile, nonostante gli annunci. «Don’t cross the yellow line», non attraversate la linea gialla, ha fatto sapere l’Idf, che in alcuni punti ha anche affisso dei foglietti scritti in arabo e inglese. Eppure, questo invisibile muro che taglia in due la Striscia non impedisce a Israele di continuare a distruggerla. «Le demolizioni, soprattutto nel nord di Gaza procedono a vista d’occhio – racconta ancora il cronista Isdodi – e infatti, da alcuni punti si vedono gli escavatori e nuvole di polvere che si alzano. Si dice stiano facendo pulizia nella zona al confine con Israele e che stiano spianando intere aree dove erano rimasti in piedi alcuni ruderi». Il motivo? Forse per far posto a un nuovo centro di controllo, dove dovrebbero insediarsi gli americani a guida dell’ipotetico board of peace. Che Israele stia continuando a distruggere Gaza nonostante il cessate il fuoco, lo afferma anche un reportage della Bbc che ha analizzato immagini satellitari recentissime. Secondo l’emittente britannica, dall’inizio della tregua Israele ha distrutto più di 1.500 edifici nelle aree della Striscia di Gaza rimaste sotto il suo controllo. Secondo gli esperti interpellati dall’emittente britannica, queste demolizioni potrebbero violare i termini dell’accordo di tregua negoziato da Stati Uniti, Egitto, Qatar e Turchia. Tuttavia, le forze armate israeliane sono tranquille, perché hanno ha avuto l’ok proprio dagli Stati Uniti. Non a caso, giusto qualche giorno fa, alcuni emissari del presidente Trump, hanno presentato un progetto racchiuso in 67 slide per spiegare dove sarà, come funzionerà e a cosa servirà la nuova base americana a Gaza. Ammesso che servirà davvero. Per ora la fase due del piano di pace è in stasi, quasi in bilico. Gaza, la partita della ricostruzione: il progetto palestinese anti Riviera Controlli serrati Intanto, nelle ultime ore lo smistamento e l’immagazzinamento dei rifornimenti di cibo e beni essenziali sta procedendo con lentezza a causa dei serrati controlli imposti da Israele. La settimana scorsa, infatti, in uno dei tir entrati a Gaza erano stati trovati dei panetti di hashish la cui provenienza è ora al vaglio delle autorità. Sulle indagini c’è assoluto riserbo, ma quello dello spaccio di droga nella Striscia è sempre stato un tema molto delicato. «Prima del 7 ottobre – riferisce ancora il giornalista Isdodi – c’era la collusione degli spacciatori israeliani, riforniti dal Marocco. Dopo la guerra, però, i trafficanti marocchini si sono rifiutati da vedere agli israeliani e ora il business sta cambiando». Quel che sicuramente nei camion c’è e che davvero serve ai gazawi è il cibo. «Finalmente stanno arrivando scorte di alimenti altamente proteici e nutrienti e non solo prodotti zuccherini e scarsamente sostanziosi», racconta un’operatrice umanitaria». Mancano però ancora moltissime forniture mediche. «C’è urgente necessità di protesi per arti inferiori e superiori», spiega il dottor Marwan Al-Hams, direttore degli ospedali da campo di Gaza. «La percentuale di bambini amputati è del 25 per cento, mentre la percentuale di donne è del 12,7 per cento. Senza risorse mediche e strumenti di supporto – spiega il dottore – aumenta la sofferenza dei feriti». Cosa prevede la bozza del piano sulla governance di Gaza: dal Board of peace al ruolo del contingente internazionale