Israele pare arrivata in un territorio accidentato dove la sua storia si biforca in due opposti vocabolari. È «la battaglia della percezione», come la chiamava Drod Eydar, ex ambasciatore a Roma. La strategia aveva dato risultati eccellenti. La guerra di Gaza ha dimostrato che i filtri garantiti dal vasto giornalismo amico non sono affidabili con internet e social. Parole fino a ieri evitate, se non disprezzate come prova di antisemitismo, stanno diventando di uso corrente. Non senza rischi
Affrontare finalmente le parole terribili con le quali l’Europa e l’ebraismo libertario cominciano a raccontarsi la guerra di Gaza – Genocidio, Pulizia etnica, Apartheid. Oppure continuare a rifiutarle e barricarsi dietro perifrasi auto-assolutorie, rassicuranti – Danni collaterali, l’Esercito più etico della Terra – e alzarle come scudi rivolti contro l’antica ostilità del mondo, l’evidenza, la cecità di chi non può intuire la grandezza del disegno divino che si compie. Israele pare arrivata in



