«Era terrorizzato. Stava soffrendo. Quello era un grido d’aiuto». A parlare con una voce bassa e interrotta dalle lacrime è Darnella Frazier, una ragazza 18enne che martedì ha raccontato, per la prima volta di fronte ai giudici, ciò che ha visto il 25 maggio del 2020 durante l’arresto dell’afroamericano George Floyd.

«Quando guardo George Floyd, guardo mio padre» ha detto Frazier di origine afroamericana. «Guardo i miei cugini, i miei zii e e penso che sarebbe potuto accadere a uno di loro». Racconta che spesso la sera non riesce a dormire perché ripensa a quel giorno e vorrebbe aver fatto di più per salvare Floyd dalla morte. Ora sul banco degli imputati c’è Derek Chauvin, il poliziotto americano che ha premuto il ginocchio sul collo e sul torace del ragazzo afroamericano fino alla sua morte. «I can’t breathe» aveva provato a urlare Floyd con respiro flebile. Era il «grido d’aiuto» testimoniato da Frazier. I video di chi era presente alla scena hanno fatto il giro del mondo e scatenato una grande ondata di proteste negli Stati Uniti che si sono allargate anche in altre città del mondo. 

Per ricordare quei fatti, i famigliari di Floyd insieme ai presenti radunati fuori dal tribunale si sono inginocchiati per 8 minuti e 46 secondi, lo stesso tempo trascorso da Chauvin sopra il corpo dell’afroamericano.

Il processo

Il processo sul caso durerà varie settimane e già si discute se chiudere le porte alle telecamere per evitare di influenzare la giuria popolare, composta da dodici membri più due di riserva, chiamata a esprimere la sua opinione sul caso.

Derek Chauvin «ha tradito il suo distintivo, il suo giuramento di proteggere i cittadini e di usare compassione nell'esercizio delle sue funzioni», ha detto il procuratore che rappresenta l’accusa.

«Mettiamo la politica da parte in questo processo» ha invece chiesto Eric Nelson, l’avvocato che difende l’agente. In aula ha riferito che Floyd si trovava in uno stato non lucido per via delle sostanze stupefacenti in circolo nel suo corpo e per due volte si è rifiutato di ridare indietro le sigarette che aveva provato ad acquistare con una banconota falsa da 20 dollari.

«L’America chiede giustizia, il mondo intero ci sta guardando», ha invece affermato Benjamin Crump, uno degli avvocati che rappresentano la famiglia di George Floyd. «Questo assassinio non è un caso difficile da giudicare» ha aggiunto dopo aver visto il video in aula, trasmesso più volte durante l’udienza.

Chauvin è accusato di tre capi di reato, dall’omicidio involontario all’omicidio con “disprezzo” del valore della vita, un tipo di reato che esiste nello stato del Minnesota. L’agente può essere condannato per tutti e tre i reati o solo per qualcuno di loro. Nel primo caso rischia di scontare una pena che arriva fino a 75 anni di reclusione.

Tra le prime a parlare nel processo c’è Jena Scurry, una dipendente del numero di emergenza 911 che ha detto: «Dopo alcuni minuti ho capito che qualcosa non andava e ho fatto quello che non avevo mai fatto in vita mia: chiamare la polizia perché intervenisse su altri poliziotti».

Nel frattempo, nell’angolo di strada in cui è morto Floyd continuano a radunarsi migliaia di cittadini. C’è chi lascia un fiore, chi un bigliettino e oggetti vari. Tutti in attesa della sentenza finale dei giudici.

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