Che succede in Germania, cuore del progetto europeo? “L’economia tedesca sta deragliando: la domanda è cosa fare per evitare il disastro”: questo il titolo, molto esplicito, di una analisi di Claus Hulverscheidt pubblicato sulla Suddeutsche Zeitung nei giorni scorsi dove si analizza la preoccupante situazione dell’economia tedesca.

Il paese è in recessione tecnica e la produzione industriale è scesa per il secondo mese consecutivo, ma il calo dell’1,5 per cento registrato a giugno rispetto a un mese fa è stato più ampio rispetto allo 0,1 per cento di maggio. La febbre sale. A preoccupare è che il settore automobilistico, peso massimo dell’industria tedesca, ha registrato un calo significativo del 3,5 per cento.

Un caso isolato? «Le prospettive per l’economia industriale restano fosche nonostante l’aumento della domanda, perché queste sono fortemente influenzate dalle fluttuazioni dei grandi ordini», ha dichiarato il ministero dell’Economia. «Viste le modeste aspettative delle aziende in materia di attività e di esportazioni, al momento non si intravedono segnali di una ripresa apprezzabile», ha aggiunto in tono cauto.

Investimenti e timori

La Germania ha i conti pubblici in ordine ed è il paese europeo che con le tasche profonde sta mettendo sul piatto più aiuti pubblici di tutti i partner, sostegni diretti ai suoi campioni nazionali per aiutarli a superare la situazione di frenata determinata dall’aumento dei costi energetici e dell’inflazione.

Dopo l’accordo da 30 miliardi di euro tra l’americana Intel e il governo tedesco, nei giorni scorsi è stata la volta del colosso dei semiconduttori taiwanese Tsmc di investire a Dresda, capitale della Sassonia, la Silicon valley tedesca.

Secondo il quotidiano Handelsblatt, il governo tedesco darà un contributo a Tsmc di 5 miliardi di euro su 10 complessivi. Tsmc avrà il 70 per cento, il restante 30 per cento sarà suddiviso tra Bosch, Infineon e l’olandese Nxp. Basteranno questi investimenti a trovare nuove fonti di alternative di profitti rispetto alle produzioni tradizionali in calo? Questa è la scommessa esistenziale del cancelliere socialdemocratico, Olaf Scholz, uomo poco carismatico ma combattente tenace.

Carsten Brzeski, analista di Ing Bank, ha dichiarato che gli ultimi dati negativi sono «un altro segnale della stagnazione in atto nel paese» e ha avvertito che potrebbero essere forieri di ulteriori cattive notizie. «Con i numeri attuali, è aumentato il rischio che la stima flash di una crescita stagnante del Pil nel secondo trimestre possa essere rivista al ribasso», ha affermato. Possibile?

La politica si agita

I due partiti di opposizione, la Cdu/Csu, hanno chiesto un programma di emergenza in cinque punti che prevede, tra l’altro, una riduzione degli oneri per l’utilizzo della rete elettrica, nonché una moratoria degli adempimenti burocratici per le imprese.

Inoltre, i due partiti cristiano-sociali vorrebbero migliorare le condizioni per l’ammortamento fiscale e abbassare l’imposta sui trasferimenti immobiliari. In effetti l’aumento dei tassi di interesse e dei mutui ha colpito il mercato immobiliare ma il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, è prudente verso ipotesi di riduzioni fiscali e di sostegno sul lato della domanda.

Sempre secondo la Suddeutsche Zeitung anche il presidente dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), Marcel Fratzscher, di solito una “colomba” stavolta ha messo in guardia il governo “semaforo” (composto da socialdemocratici, Verdi e liberali) dal cedere alle richieste di un pacchetto di stimolo economico con ulteriori sussidi e tagli fiscali.

«Un pacchetto di stimolo economico sarebbe controproducente, e non cambierebbe i problemi economici», ha affermato. La Germania non ha un problema economico ma strutturale. Quello che è importante, secondo Fratzscher, è «un programma di trasformazione a lungo termine con una dose massiccia di investimenti, una sburocratizzazione su larga scala e un rafforzamento dei sistemi sociali». Non sembra un programma di facile realizzazione per una coalizione “semaforo” conflittuale e poco coesa.

Pompe di calore e idrogeno

Secondo il quotidiano finanziario francese Les Echos, in Germania sta prendendo piede una tendenza macroeconomica fondamentale e per spiegare di cosa si tratta fa una citazione: dal picco della produzione industriale nel 2018, «la creazione di valore industriale è diminuita del 4 per cento», ha ricordato di recente, sul quotidiano economico Handelsblatt, Volker Wieland, direttore generale dell’Istituto per la stabilità monetaria e finanziaria della Goethe University di Francoforte.

I settori che potrebbero compensare il declino dell’industria automobilistica tardano ad emergere. «Le pompe di calore invece del riscaldamento a gas e l’idrogeno invece del gas naturale non innescheranno un altro miracolo economico», ha scritto. «Le prospettive per la situazione industriale sono ancora fosche», ha osservato il ministero dell’Economia, commentando il calo degli ordini industriali.

Anche il quotidiano francese della finanza dunque sta riflettendo sul fatto che il potente vicino renano sta affrontando un cambiamento economico dagli esiti incerti. Poi c’è la politica monetaria restrittiva: il 4 agosto la Bundesbank ha dichiarato che da ottobre smetterà di remunerare i depositi per il settore pubblico tedesco, una mossa che potrebbe spingere gli investitori verso le obbligazioni a breve scadenza.

Il ceto medio si riduce

Ma c’è anche la demografia a preoccupare. Il ceto medio in Germania si è ridotto negli ultimi dieci anni: se nel 2007 vi apparteneva il 65 per cento della popolazione, nel 2019 è sceso al 63 per cento.

È quanto emerge da uno studio dell’istituto tedesco Ifo. «Anche se la contrazione dal 2007 appare modesta, è considerevole se paragonata ad altri paesi europei. Nel 2007 il ceto medio tedesco era al nono posto in classifica, mentre nel 2019 è sceso al quattordicesimo»’, spiega il ricercatore dell’ifo, Florian Dorn.

Inoltre rispetto agli altri paesi europei, stando all’istituto bavarese, il ceto medio in Germania sopporta uno dei più alti prelievi fiscali e contributivi, pari al 50 per cento del reddito lordo. Il contratto sociale tedesco (fondato sull’economia sociale di mercato come teorizzata da Ludwig Erhard, per 14 anni ministro e artefice dal 1949 al 1963 del miracolo economico tedesco) si basava sul libero mercato e la giustizia sociale, cioè su alte tasse in cambio di ottimi servizi pubblici in scuole e sanità.

Ma se l’economia manifatturiera frena o sbanda, potrebbe saltare l’equilibrio di tutta l’impalcatura del welfare state e far salire nei sondaggi le forze più estreme e populiste di estrema destra come l’Alternative für Deutschland (AfD), partito nazionalista, xenofobo ed euroscettico. Finora è restato ai margini della stanza dei bottoni, ma fino a quando?

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