Il tornado Trump ha colpito ancora: dopo l’annuncio da parte della Commissione del deludente piano Rearm Europe (che, per fortuna, già non si chiama più così), venerdì la Germania ha varato un pacchetto fiscale da centinaia di miliardi di euro, modificando inoltre la costituzione per allentare il famigerato “freno al debito” (Schuldenbremse), la versione tedesca del Patto di stabilità.

In una forzatura che ha giustamente fatto storcere il naso a molti, il cancelliere in pectore Merz ha fatto votare la riforma al Parlamento uscente, dove gode di una maggioranza sufficiente ad introdurre modifiche costituzionali, invece di aspettare l’insediamento del parlamento uscito dalle elezioni del mese scorso.

Una virata a 180 gradi

Il pacchetto è giustamente considerato storico, una rottura netta rispetto al passato. In primo luogo, sarà istituito un fondo speciale di 500 miliardi di euro per finanziare, nei prossimi dodici anni, investimenti in infrastrutture, transizione ecologica, e modernizzazione dell’economia (parliamo di circa l’1 per cento del Pil ogni anno). Questa è una concessione che Merz ha dovuto fare a Verdi e socialdemocratici, sconfessando ancora prima di diventare cancelliere la svolta rigorista che aveva annunciato durante la campagna elettorale.

Per quel che riguarda la riforma del freno al debito, ai Länder sarà concesso un disavanzo annuo dello 0,35 per cento del Pil, una (sia pur limitata) flessibilità che in precedenza si applicava solo al governo federale. Inoltre, le spese per la difesa in eccesso rispetto all'1 per cento del Pil potranno essere finanziate ricorrendo all’indebitamento. Essendo i bisogni in investimenti del settore stimati a oltre 400 miliardi, il totale del pacchetto sfiora i mille miliardi di euro.

La sindrome tedesca

Quale è il significato, per la maggiore economia europea, di questa rivoluzione copernicana? In primo luogo si tratta di un riequilibrio atteso, e salutato quasi unanimemente al di fuori della Germania, che per quasi trent’anni è stata vittima della "sindrome del risparmiatore": un eccesso di risparmio da parte di imprese e consumatori ha generato una domanda interna cronicamente insufficiente, costringendo il paese a puntare sulle esportazioni come principale motore della crescita. Non sorprende, quindi, che gli avanzi commerciali tedeschi siano tra i più elevati al mondo.  

Le conseguenze di questa frugalità sono ben note (il Diario Europeo ne ha parlato a più riprese):  lo stock di capitale pubblico e privato tedesco si è progressivamente deteriorato. Da grande economia avanzata all’avanguardia in settori ad alto valore aggiunto, la Germania è progressivamente diventata il "grande malato d'Europa", in panne di produttività e incapace di sostenere una crescita robusta e autonoma.

Ma gli effetti dell’eccesso di risparmio si sono fatti sentire anche oltre i confini tedeschi. Una Germania con una domanda interna debole e persistenti avanzi commerciali ha generato pressioni deflazionistiche sull’economia globale: un paese con avanzi commerciali persistenti, infatti, produce beni ma non genera una domanda equivalente, inducendo un eccesso di offerta a livello globale. Questo ha a lungo implicato che altri paesi dovessero assorbire le eccedenze tedesche, oppure affrontare una recessione globale. Anche in periodi meno conflittuali, le amministrazioni Obama e Biden hanno criticato la Germania per il suo modello mercantilista (che Berlino ha con successo imposto al resto dell’Eurozona), ritenendolo dannoso per la crescita economica globale.

Per questa ragione, al di là di qualunque altra considerazione, quello che è successo in questi ultimi giorni è importante. La Germania sembra intenzionata ad abbandonare il proprio modello di crescita tirata dalle esportazioni e a uno sforzo di lunga durata per sostenere investimenti e domanda domestica.

La svolta di Merz ha ovviamente sollevato preoccupazioni, soprattutto in patria, tra i fautori dell’austerità. Ma come sottolineato più volte dal Diario Europeo, la sostenibilità del debito non è determinata dal suo livello assoluto, bensì dalla capacità di generare crescita e dalla disponibilità di risparmi per finanziarlo. Per questo, le preoccupazioni non sono giustificate: da un lato, lo stimolo fiscale potrebbe rilanciare una crescita che è ormai stagnante dal 2019; dall’altro, i circa 200 miliardi di risparmi annui che finora partivano all’estero per finanziare imprese e governi stranieri, potranno finalmente essere impiegati per aumentare lo stock di capitale tedesco (privato e pubblico) riducendo gli squilibri finanziari globali.

Quel mito mandato in soffitta

Ma c’è un altro aspetto fondamentale da considerare. Le crisi a ripetizione degli ultimi quindici anni hanno mandato in soffitta il mito di mercati capaci di autoregolarsi e di una politica economica non interventista. Per stabilizzare l’economia e per sostenerne le trasformazioni strutturali occorre una capacità di intervento della politica di bilancio, di cui oggi l’Europa non dispone: da un lato, manca un vero bilancio comune; dall’altro, le regole fiscali dell’Unione, anche nella loro versione riformata, continuano a limitare gli investimenti in politiche industriali e beni pubblici essenziali.

Per questo motivo, forse ancora più importante del piano di rilancio, è l’intenzione (non ancora formalizzata) di Merz di rivedere il Patto di stabilità per consentire in modo permanente sforamenti alla regola del 3 per cento per la spesa in difesa. Certo, è difficile rallegrarsi del fatto che una "regola d’oro", l’esclusione delle spese per investimenti dai vincoli di bilancio, potrebbe essere introdotta solo per le spese militari, quando questa strada è in passato stata ostinatamente esclusa ad esempio per gli investimenti nella transizione ecologica. Tuttavia, se il cantiere della riforma delle regole verrà effettivamente riaperto, introducendo nella nostra costituzione economica il principio dell'esenzione per spese considerate strategiche, questo rappresenterà un grimaldello che, si spera, consentirà in futuro di destinare risorse a scopi più nobili del riarmo.

Negli ultimi tempi avevo preso l’abitudine di concludere i miei interventi pubblici e le discussioni con gli studenti notando  provocatoriamente come la sola speranza di salvare l’Europa dal dogma della frugalità risiedesse nell’aggravarsi della crisi tedesca, fino al punto di far cambiare idea alle élites di Berlino. Onestamente, non mi aspettavo che questo sarebbe avvenuto così presto. Ora resta da capire se la rivoluzione copernicana appena avviata sarà duratura, o se, superata l’emergenza, il riflesso della riduzione del debito tornerà a imporsi come principio cardine della politica economica tedesca.

Proprio per questo, sarebbe importante prendere la palla al balzo e avviare una “riforma della riforma” del Patto di stabilità in senso più favorevole agli investimenti. Oggi in difesa; domani, si spera, nella transizione ecologica e nel capitale sociale.

© Riproduzione riservata