Nel paese c’è una grave carenza del cereale, dovuta al consumo turistico, alle temperature e a problemi nella distribuzione. Non bastano le riserve strategiche, a cui Tokyo ha fatto ricorso, né le rare importazioni dall’estero. I cittadini criticano l’incapacità del governo, complicando il voto di luglio. E il ministro dell’Agricoltura, che si era vantato di ricevere riso in regalo dai sostenitori, è stato costretto a dimettersi
Per i giapponesi deve essere stato un trauma quando a marzo il loro governo ha deciso di ricorrere alle riserve strategiche di riso, portandone sul mercato 200.000 tonnellate. Forse lo è stato ancor di più quando il mese scorso è stato costretto a chiedere un aiuto alla Corea del Sud, importando due tonnellate del cereale per la prima volta dal 1999.
Per Tokyo il riso è una questione di orgoglio nazionale e, per questo, solitamente è restia a comprarlo da fuori. Ora però non può fare altrimenti. Il prezzo è cresciuto a livelli da record, nonostante si sia registrata una lieve diminuzione dopo diciotto settimane, complice una carenza che oscilla tra le 200.000 e le 300.000 tonnellate.
Le ragioni sono tante, dunque non ne esiste una principale. Sicuramente c’entra il grande consumo dei turisti, sempre più numerosi; c’entra anche un rallentamento nella catena di distribuzione; così come il grande caldo che ha influito negativamente sui raccolti; infine bisogna contare anche la decisione dei grossisti di tenersi parte delle scorte per nuove eventuali buchi.
Il risultato è un’inflazione complessa da arginare. Tanto per dare un’idea: se ad aprile 2024 servivano circa 15 dollari per comprare 5 chili di riso, oggi ne occorrono quasi il doppio. A due mesi dal voto, è ovviamente un macigno che pesa sulla schiena del governo.
Un cereale come termometro politico
Martedì il primo ministro Shigeru Ishiba è stato costretto a rimproverare il suo ministro dell’Agricoltura Taku Eto per un’uscita infelice, con cui ha ammesso di ricevere riso gratuitamente dai suoi sostenitori. Parole «estremamente deplorevoli» per cui è stato costretto alle dimissioni, in quanto il suo compito è «trovare soluzione all’impennata dei prezzi».
La frustrazione del premier è comprensibile. Secondo un sondaggio dell’agenzia Kyodo, Ishiba è ai suoi minimi storici. Il tasso di approvazione è del 27,4 per cento, mai così basso da quando si è insediato a ottobre e con un crollo di 5 punti percentuali da aprile. La sua spina nel fianco non è tanto la tassa sui consumi (10 per cento) che il premier non si decide a eliminare o perlomeno ridurre, quanto piuttosto la questione relativa al riso.
Per quasi 9 intervistati su 10, il lavoro svolto dal suo governo è «insufficiente» per arginare la crisi in corso, mentre il 74 per cento nutre pochissime speranze che i colloqui con gli Stati Uniti possano portare a qualcosa di positivo. Due dati che evidenziano la poca credibilità di Ishiba agli occhi degli elettori.
Una delle ultime mosse per provare a recuperare qualche consenso è il rilascio di ulteriori 300.000 tonnellate di riso. Una parte verrà consegnata direttamente agli esercizi commerciali, senza passare dai grossisti così che si possano ridurre i tempi. Questo perché, nonostante tutto, i giapponesi non intendono rinunciare al loro cibo per antonomasia. Anche a costo di mangiarne uno diverso.
Non soltanto quello sudcoreano, ma anche americano. Con grande sorpresa piace al palato dei cittadini, motivo per cui la grande catena di supermercati Aeon ha deciso la scorsa settimana che da giugno venderà il Calrose prodotto in California. Può sembrare una banalità, ma per il Giappone è un cambiamento radicale per niente scontato.
Quando nel 1993 si era verificata una carenza simile a quella odierna, il riso della Thailandia venne ignorato dai consumatori. La legge nipponica prevede che, per entrare nel paese, le importazioni non devono superare le 100.000 tonnellate all’anno, equivalenti all’1 per cento del consumo nazionale. Superata questa cifra, si pagano circa 2,5 dollari per ogni chilogrammo in più.
Non solo riso
Per Ishiba ci sono tante questioni in ballo che complicano la sua posizione in vista del voto di luglio. Quella del riso è forse la principale, visto che ha giocato un ruolo importante a quelle dello scorso anno. Ma non l’unica.
Altre ragioni vanno ritrovate in casa, all’interno del Partito Liberal Democratico, estremamente impopolare. Con la Camera bassa persa a ottobre poco dopo la nomina di Ishiba, con le prossime elezioni si gioca molto. Forse però lo ha già perso.
Nel bel mezzo della crisi del riso, a marzo, è esploso lo scandalo dei regali ricevuti da alcuni funzionari del partito. La legge giapponese vieta le donazioni da parte dei privati cittadini ai politici ma, ammettendo che erano stati davvero consegnati, Ishiba si è assunto tutta la responsabilità. «Ho pagato io stesso i regali. Non era una donazione, ma un segno di gratitudine. Ma sebbene non ci siano problemi legali, devo scusarmi». Da vedere se basterà per convincere i cittadini dentro l’urna.
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