La sponda meridionale del Mediterraneo è in fermento per la vittoria di Giorgia Meloni. Nell’Egitto, i giornali di regime festeggiano la vittoria consapevoli che, ancora più che in passato, il nuovo governo non metterà l’assassino di Giulio Regeni sulla strada dei mutui rapporti.

Ma dall’altro capo del Mediterraneo si suona una musica diversa. Nel lontano regno del Marocco, l’atteggiamento è di prudente attesa. E non solo perché il governo «più di destra dai tempi di Benito Mussolini» potrebbe prendere di mira i musulmani che vivono in Italia, e in particolare i circa mezzo milione di cittadini marocchini, come ha notato la popolare newsletter marocchina Morocco World News. Ai sudditi di Mohamed VI non sfugge un altro dettaglio della biografia di Giorgia Meloni, un particolare che in Italia sono in pochi a ricordare: la sua amicizia con il popolo Saharawi e la sua passione per la causa dell’indipendenza del Sahara occidentale, una storica spina nel fianco per il regno del Marocco.

Il Sahara occidentale

Non c’è articolo pubblicato in Marocco sulla vittoria di Meloni che non ricordi l’amicizia della leader di FdI con «Brahim Ghali & co», come li chiama il giornalista marocchino Mohammed El Kenabi, prendendo il nome del leader dell’organizzazione indipendentista Polisario per identificare i circa 500mila Saharawi. Di origine berbera e araba, i Saharawi provengono dal Sahara occidentale, una vasta striscia arida tra Marocco e Mauritania, poco più piccola dell’Italia, dove il deserto arriva fino alle sponde dell’Oceano Atlantico.  È un territorio povero e inospitale, per circa un secolo dominato dalla Spagna e poi, con la decolonizzazione, conteso tra Marocco, Algeria e Mauritania. Nel 1975, il Marocco ne ha occupato la gran parte mentre l’Algeria si è schierata con gli abitanti autoctoni della regione, i Saharawi, e ha iniziato a sostenere la loro guerriglia di resistenza.

Dopo un quindicennio di combattimenti, le Nazioni unite ha ottenuto un cessate il fuoco e la promessa di un referendum per decidere la sorte del paese. Da allora, la situazione del Sahara occidentale è rimasta immobile: una crisi congelata nel tempo che, lontano dall’attenzione dei media, non ha fatto un passo avanti né indietro.

Oggi, il Marocco occupa poco meno di due terzi della regione, compresa quasi tutta la costa dove opera l’unica industria dell’area: quella della pesca. I Saharawi del fronte indipendentista Polisario occupano l’entroterra desertico, così inospitale che la maggior parte di loro è costretta da decenni a vivere nei campi profughi dell’Algeria. Il referendum che avrebbe dovuto decidere sull’indipendenza del paese non è mai stato organizzato. Da trent’anni le armi tacciono, i Saharawi continuano ad essere un popolo senza nazione e il Sahara occidentale rimane la più grande area del mondo a non essere autogovernata.

Meloni e Saharawi

Anche se quella dei Saharawi non è una causa conosciuta come quella dei palestinesi o dei curdi, il nostro paese ha una lunga tradizione di sostegno al popolo del Sahara occidentale. «In Italia c’è una commovente solidarietà per i Saharawi – dice Fatima Mahfud, rappresentate in Italia dell’organizzazione indipendentista Saharawi – Ci sono oltre 300 comuni gemellati con realtà saharawi, chiese, parocchie e ong che accolgono bambini Saharawi nei mesi più caldi. I politici italiani conoscono la situazione e moltissimi di loro sono membri dei gruppi che sostengono il diritto all’autodeterminazione del popolo Saharawi».

Le radici di questo sostegno risalgono agli albori socialisti della rivolta, quando il fronte Polisario era appoggiato anche da Cuba. «Sosteniamo da sempre la causa dei Saharawi», dice oggi Marco Consolo, responsabile esteri di Rifondazione comunista.

Ma con il passare degli anni e la fine della guerra fredda, il Polisario ha abbandonato l’orientamento socialista e oggi si presenta come un movimento puramente nazionalista, che demanda la soluzione delle questioni sociali ed economiche a dopo l’indipendenza. «La storia del popolo Saharawi non ha a che fare con l’ideologia, ma con il diritto internazionale», dice Mahfud.

Questa è, in parte, la ragione per cui i Saharawi hanno ottenuto un appoggio trasversale e sono diventati una delle poche realtà egualmente amiche dell’estrema sinistra così come della destra.

Negli anni Ottanta, delegati del fronte Polisario erano ospiti frequenti ai Campi Hobbit organizzati dalla corrente rautiana del Movimento sociale. Nel 1990, il giovane Gianni Alemanno ha guidato una delegazione di partito in Sahara occidentale, dove, diceva, il coraggioso popolo Saharawi si batte per «l’indipendenza nazionale e in contrapposizione al modello egemone dell'occidente neocapitalista».

È in questo ambiente che Meloni incontra per la prima volta la causa Saharawi. Negli anni duemila visita per due volte i campi profughi in Algeria. I rapporti sono proseguiti anche con la nascita di Fratelli d’Italia. «Abbiamo sempre avuto rapporti con i rappresentanti del Fronte Polisario», dice oggi Marco Scurria, senatore di Fratelli d’Italia che si occupa della causa Saharawi fin da quando era nelle giovanili del partito. Ora che Fratelli d’Italia è arrivato al governo «sicuramente ci sarà attenzione visto che è uno scenario di crisi. Le Nazioni Unite se ne sono occupate anche pochi giorni fa», ma aggiunge: «Per capire come aspettiamo che si definiscano gli assetti di governo e di parlamento».

La prudenza è d’obbligo in questi giorni in cui Meloni sembra pesare attentamente ogni azione. Ma la storia del popolo Sharawi non è un accidente del suo percorso politico. Nella sua biografia, “Io sono Giorgia”, Meloni dedica diverse pagine, ben «quattro» precisa Mahfud, all’esperienza del suo viaggio al campo profughi di Tindouf dove ha incontrato un popolo che le ha insegnato, scrive «che anche un pugno di sabbia può diventare il nostro pezzo di cielo».

La crisi oggi

Il governo marocchino teme che con l’arrivo in Europa di un capo di governo così personalmente sensibile alla causa dei Saharawi la richiesta di una soluzione della crisi in Europa possa ottenere una nuova spinta. Il rischio è più serio di quanto può sembrare a prima vista. Per una volta, l’idealismo non è in contrasto con gli interessi materiali del nostro paese. L’Algeria vuole un Sahara occidentale indipendente e amico per contenere il Marocco e l’Italia vuole buoni rapporti con l’Algeria, che con le sue esportazioni di gas è sempre più cruciale per le forniture energetiche del nostro paese. 

La questione migratoria, la leva principale con cui il Marocco ha ottenuto sconti e favori dall’Europa, non tocca il nostro paese. Il Marocco è diventato un crocevia per le rotte che portano alle isole Canarie e alle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla. Questo ha contribuito a spostare la Spagna su posizione sempre più filo marocchine, ma l’Italia non rischia le ritorsione marocchine per una pura questione geografica.

Il terzo elemento è la questione del terrorismo. Fino ad oggi, il popolo Saharawi ha dimostrato una capacità notevole di resistere al richiamo della violenza e anche i gruppi jihadisti hanno avuto difficoltà a reclutare tra i suoi membri. «Non voglio dire che il tempo che passa senza una soluzione non abbia un impatto sulle nuove generazione, ma comunque non c’è nessuna aggressività né nei confronti dei marocchini», dice Mahfud.

Ma le cose potrebbero cambiare. Il leader di al Qaida nel Sahel, ucciso dai francesi nel settembre 2011, era originario del Sahara occidentale, come lascia intendere il suo nome de guerre: Adnan Abu Walid al Sahrawi. Risolvere la questione del Sahara occidentale potrebbe essere un modo di togliere terreno sotto ai piedi dei gruppi fondamentalisti.

È una partita complicata per Meloni, che avrà molti problemi da affrontare nei prossimi mesi. Ma rispetto alle altre grandi questione mediterranee – dimenticare le torture per far affari con l’Egitto, ignorare le brutalità libiche per fermare l’immigrazione – nel caso del Sahara occidentale, portare avanti gli interessi italiani non sembra necessariamente in contrasto con i diritti umani.

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